LA CUCINA ITALIANA 1933

N. 3 - 15 Marzo 1933-XÏ L À C U C I N A I T A L I ANA' Pag. 7 2PRCPASAZ , D " ' (/ENZ'ANKC iBvsTALdG0-iPU(ONeL44O ribasso 5% C i i i m > N. < MAGNESIA S. PELLEGRINO Ot culto gradevolissime • un .«turni pur««".» pre gii ««Jvitf ¿per Itombini.FkIIi da digerire. rWse» "«M» adato rlnfr». •canta e disinfeUans» dello stomaco a lla«l. »ntesMno, a» eww» Vèr* perfetamente ni «cau«.»tatti,,«o» Impana. »• hm co« fOBOMiTl : Un rasentai» I SL2KJ5! l ìì2 COME IWIHttltlt Un cucchiaino P»n>matine©ttr* i «taso«*. tatta.«»«* (Jre 0 , 60 * flkcons ptecofo Urt 4,40 — Fiaeont grand» U* 8.80 puntar* te carline che non èort««. «ulta chiusura io Marc» 0 PaWt c» (« ft» l rfTino) -con «opra (a firma Ptpdtl. . , • • • • • ' "' COMPOSIZIONE. Mattiti* cuito idrato - ¿accanito «% * * Hcm * Laboratori Chimoic Farmaceuotic Modeorn MILANO - Vi» L. Castelvetro, 17 NANDO E LA CUCINA SAGGIO DI ECONOMIA A ROMANZO di U M B E R T O N O T A R I Una ventina di giovani dome- stici mescono il caffè, e i liquori, mentre Mazzacorati adempie agli onori di casa sistemando i convi- tati e le convitate che gli si affol- lano intorno, complimentandolo e civettando nel raggiustare ca- pelli, labbra e scollature dalle lie- vi avarìe della lunga seduta con- viviale. L'attesa è visibile, nonostante il calore delle conversazioni e la deambulazione di gruppi che si formano e si scompongono sen- za posa. Un colpo di gong riempie la sala di lunghe onde armoniose. I ritardatari si affrettano a se- dere; il cicaleccio si spegne d'ac- chito. II cortinaggio della porta di fondo si schiude e sul soppalco appare l'uomo della maschera ¡nera. Con una mano regeg una se- dia, nell'altra tiene una sottile bacchetta d'avorio, Deponendo la sedia, l'illusio- nista fa un sobrio inchino al pub- blico e tendendo la bacehettina : — Prego — egli dice — il si- gnor Demos Grattaròla di voler favorire accanto a me. Dopo un istante di profondo silenzio, le teste degli spettatori si appuntano in varie direzioni alla ricerca del direttore del Silu- rante. — Non c'è — avverte una voce. — Non c'è; non c'è — confer- mano altre. — Ha tagliato la corda! — sog- giunge il direttore del Corriere Nazionale. La battuta provoca l'ilarità. Sotto la maschera, l'illusionista ha un movimento di labbra che sembrerebbe di contrarietà mal dominata. — Non è possibile; il caso è stato previsto. il collo e gli attacchi del seno, sor- ride nel nembo di luce che le av- vampa i capelli biondi legati alla greca. — Chi sei tu? — chiede l'uo- mo della maschera. — L'Intelligenza — risponde l'apparizione. — Sii la benvenuta! — esclama l'illusionista. — Vieni: troverai qui molti amici tuoi. La fanciulla incede a piccoli passi di levità e di grazia accom- pagnandosi col raggio luminoso che le attraversa i veli della tuni- ca, disegnando un corpo perfetto. Il viso è sereno; gli occhi stel- lanti; la bocca dischiusa al più dolce sorriso. La folla dei convitati, affasci- nata da tanta bellezza, segue il tragitto della fanciulla quasi *en- lunga ovazione mentre l'azzurra visione s'erge sul palco. Capitolo quindicesimo Il coltello in bocca — La Ricchezza sono io e non ho bisogno di nessuna protezione! La frase è pronunciata con al- terigia da una terza figura fem- minile apparsa sul palco. Uno scintillio di veli trapunti d'oro sot- tolineano le sue forme giunoni- che di mirabile fattura. Le brac- cia nude, il seno opulento, le ma- ni affusolate risplendono di gio- ielli. I grandi occhi metallici saet- tano sguardi dominatori. La folla dei convitati ha un lungo mormorio. L'ermetismo del giuoco scènico che non si com- prende dove voglia parare, tiene accesa la curiosità generale. — Non sono del tuo parere, Ricchezza — riprende l'Intelli- genza con voce sempre più armo- niosa, ~ Più d'ogni altro, più del- la stessa Povertà, tu hai bisogno za respirare, e prorompe in una -dì protezione; ma pochi ti pro- teggono perchè non sai farti ama- re; così tu vai lentamente alienan- do simpatie e poteri. — Non divaghiamo — inter- viene l'illusionista. — Ho chiesto all'Intelligenza un responso sul- „ _ ,, . ,,.,< • l'attacco che il rappresentante del Cessata 1 ovazione, I illusioni- , , . . uur • i ^ l • • a con L'entrata delle serventi larghissimi vassoi rotondi, ricol- mi, protesi in alto ed emananti una calda fragranza, è accolto da un lungo applauso. Il direttore del Silurante dà una manata e si alza di scatto: — E' troppo! — grida — Qui si insulta la miseria! Succede. un "brevissimo silen- zio. La sala piomba all'improvvi- so nell'oscurità. Grattaròla si stacca risoluto ed attraversa la sala in direzione del soppalco; i suoi occhi sono fosfo- rescenti, le mandibole serrate. — Sentite — dice a bassa voce l'attrice a Mazzacorati — se tutto ciò è un giuoco, devo dichiararvi the quel Demos Grattaròla è il più grande attore che io abbia co- nosciuto. Avete visto l'espressio- ne della sua faccia? Non si può fingere con una faccia a quel tnodo. Mentre il direttore del Siluran- te sale il soppalco rimbomba un Secondo colpo di gong. Un getto di luce al magnesio scatta dall'alto e va a frangersi pila stessa porta di fondo. Un grido di stupore e di ammi- razione sfugge da tutte le bocche. Una figura femminile di una bellezza sconvolgente, avvolta in .una lunga tunica di veli azzurri jehe le lasciano scoperti le braccia, sta si rivolge alla fanciulla e ad- ditandole con la bacchetta d'avo- rio Demos Grattaròla ch'egli ha fatto sedere : — Conosci — le dice questo si- gnore? La fanciulla guarda il giorna- lista : — Nò — risponde. — Non hai letto alcuna sua opera? Non ti sovviene di qual- che scritto di lui? - N o . — Leggi questo. L'uomo dalla maschera le por- ge una copia del Silurante. Il pubblico non perde una sil- laba. — Vuoi che io legga ad alta voce? — chiede la fanciulla. — Oh no; i presenti già cono- scono quello squarcio di prosa. Esaminalo per tuo conto rapida- mente. Ti sembrano giuste quel- le argomentazioni? — Perchè vuoi saperlo? — Per classificare un uomo. — E chiedi il responso a me? — Chi meglio di te, Intelli- genza, può darlo? Dal cortinaggio della porta del soppalco sguscia unafigurettaesi- le, dal viso diafano, malamente coperta di veli grigi che la lascia- no quasi ignuda. — Io! — risponde la giovinet- ta andando a collocarsi vicino al giornalista. ! — Tu? — interroga con aria 'possibile il denaro che possiede? l'opinione pubblica qui seduto ha mosso ad uno dei più eminenti e generosi cultori dell'arte e della scienza gastronomica. — L'attacco è giusto e merita- to! — esclama la Povertà. — La gastronomia non è che espressio- ne di volgare materialismo. Io a- vevo suggerito al mio scrittore parole più crude. — Lantemuta insolente! — in- terrompe la Ricchezza. — Sfruttatrice insaziabile! — ribatte la Povertà. — Silenzio, voi ! — ordina l'il- lusionista. — Parla tu, Intelligen- za. La fanciulla biondo- azzurra si avvicina a Demos Grattaròla, che sembra totalmente estraneo all'ambiente e alla vicenda: — Che cosa penseresti tu — gli domanda con lieve gesto — del critico che accusasse lo scrittore di profondere il suo ingegno in grandi opere d'arte? Il giornalista guarda con aria trasognata la bellissima creatura che gli sta innanzi : — Non so niente, — risponde. — Perchè vuoi schermirti? Sai quanto me che sarebbe una criti- ca insensata. Non costituisce l'o- pera d'arte la funzione essenziale e più utile dell'artista ricco di ta- lento? Ora dimmi : qual'è la fun- zione più utile dell'uomo ricco dì denaro ? Non è quella di mettere in circolazione nel miglior modo sorpresa l'illusionista. —- Perchè? Chi sei tu? — Sono la Povertà! I miei oc- chi sono aguzzi come quelli del nibbio. Assumo la responsabilità di quello scritto: io l'ho ispirato. — A che scopo ? — Chi è povero non ama chi è ricco; chi campa con scarso pa- ne e magro companatico detesta chi vive in baldoria. — I tuoi affanni ti offuscano la mente — osserva l'Intelligenza con pacatezza. — Ti ho dimostra- to altre volte che i tre quarti de- gli spropositi degli uomini sono dovuti a cotesta tua insana teoria. Che m'importa? Tu parli Volgere con mètodo alla mi- gliorìa dell'alimento, mirare alla sua perfezione, elevarlo al suo più alto rendimento fisico, etico ed estetico non costituisce, forse, il modo più utile di spendere il pro- prio denaro? (La Ricchezza e la Povertà fan- no con la testa ripetuti segni di denegazione). — Voi non riflettete abbastan- za — prosegue "l'Intelligenza ri- volta alle due interlocutrici. —- Avete voi mai calcolata la somma di lavoro che ogni alimento, an- che il più modesto, significa ? Vi siete mai domandato quanti uo- mini siano in moto, quante brac- così perchè proteggi la Ricckezsi». eia occupate, quanti cervelli uti- lizzati per potere presentare alle vostre labbra un semplice pez- zetto di zucchero? Vedete voi l'imponente catena di fatiche, di scambi, di traffici, di mansioni, di guadagni che ha per ultimo anello il più umile boccone di pane? Dal contadino che getta il seme nel solco al ma- novale della fabbrica di concimi; dall'impiegato che stilla la poliz- za contro la grandine, al mecca- nico che regola la trebbiatrice; dal guardiano di sylos, allo scarica- tore di mulino; dal garzone di forno, al commesso di bottega; e il movimento dei trasporti : dalle flotte dei transatlantici da carico, ai parchi di vagoni ferroviari; dai traini automobilistici, alla soma dei muli sospinti per le erte im- pervie onde giunga ovunque il prezioso cereale; non è tutto ciò il corollario di un pezzo di pane ? — Il pane è l'alimento di tutti — mormora la Povertà. —- Non è vero! — ribatte la Intelligenza. — Ci sono popoli che non lo conoscono affatto. —• Popoli selvaggi. —• Appunto: dunque il pane rappresenta un primo segno del- la civiltà alimentare; milioni e milioni di uomini ne hanno be- nefici facilmente misurabili quan- do tu sappia che la produzione mondiale del grano può essere valutata grosso modo al prezzo corrente a trecento miliardi ogni anno. Per un alimento tanto u- mile come il pane, è una cifra notevole, non è vero? Se esistes- se, per ipotesi, una Povertà più povera di te... — Non è un'ipotesi: io esi- sto... (Una risata rompe la battuta e accoglie una svelta negretta, ap- pena coperta da una sciarpa alle reni, balzata d'improvviso sul palco). -— Sono la Povertà Negra! —• continua la nuova venuta, sgranando due grosse sclerotiche infantili — tu sei una signora in mio confronto ed io vengo a protestare contro l'ingordigia de- gli uomini bianchi che divorano favolose somme in un cibo di lus- so come il pane, mentre milioni e milioni di miei confratelli si nutrono di formiche e di radici... —• Vattene! — dice l'illusio- nista alla negretta che sparisce come una scimmia dietro il cor- tinaggio. — Credi tu che abbia torto o ragione quella piccola negra? — domanda l'Intelligenza volgen- dosi alla Povertà. {La Povertà alza le spalle). — Tu rispondi con lo stesso gesto con il quale la Ricchezza rispondeva poc'anzi alle tue in- vettive contro coloro che hanno mense imbandite. Se la Ricchez- za è una insaziabile sfruttatrice, tu pure lo sei. — I o? — Non domandi tu aiuti continui, invocando le tue soffe- renze? Non ti rivolgi frequen- temente alla stessa Ricchezza, talvolta con supplice gesto, tale altra con arroganti minacci«? Non concentri da qualche tem- po i tuoi sforzi per ottenere l'in- tervento dei Pubblici Poteri? Non hai chiesto e non chiedi la divisione dei beni, la proprietà e l'esercizio collettivo delle fabbri- che, la spartizione delle terre? Non domandi a gran voce un maggior rendimento dell'agri- coltura per lenire col più copio- so raccolto i tuoi affanni? Il tuo desiderio di risorgimento della Terra è giusto e i Pubblici Poteri lo hanno accolto stimolando i coltivatori con ogni sorta di ri- forme. La terra italiana ha dato un formidabile balzo non solo per la quantità, ma anche per la qualità delle messi. I campi, i vigneti, gli orti, i frutteti offrono doni di cui hai potuto stasera vedere il prodigio. Sono doni che comportano cure infinite, lavoro tenace, rischi in- numerevoli. Non puoi meravi- gliarti, nè adirarti se il costo di cotesti doni è alto e se l'agricol- tore chiede un compenso rimu- nerativo del suo sforzo. Ma a chi vendere il frutto opulento, ma costoso? Tu, Povertà, non hai mezzi sufficienti. Ogni volontà sarebbe dunque vana, ogni progresso sterile, ogni maggior rendimento cadùco qua- lora al mercato non si presentas- sero i ricchi contro i quali vice- versa tu scagli il tuo disprezzo. Analogamente potrei discorrerti dell'allevamento, di prospere in- dustrie e di possenti commerci alimentari che da una rigogliosa agricoltura dipartono e ad essa convergono. La Ricchezza interrompe: — Da me creati e sostenuti ! La Povertà ribatte: — E a te giovevoli! — Dite il vero ambedue •— riprende l'Intelligenza, L'uomo della maschera nera interviene : -— Concludi, Intelligenza. Qui non siamo a tavola; il tempo si agita. -— Hai ragione. La conclusio- ne è presa. Io so, Povertà, che tu sei assillata da una crisi acerbis- sima e anche tu, Ricchezza, n paventi gli ulteriori sviluppi. Ora io dico a te, Povertà : non è dalla diminuzione delle ore di lavoro e del volume della Produzione che tu puoi sperare un sollievo, bensì dall'aumento dei consumi. Tu vuoi un'agricoltura fioren- te e protesti contro chi consuma i vini più squisiti, le carni più fine, gli ortaggi più sontuosi, le frutta più nobili. Tu vuoi i commerci più svi- luppati e ti sdegni contro coloro che dal commercio cercano di at- tingere maggiori guadagni, mèta che tu consideri lecitissima allor- ché è perseguita dai tuoi lavora- tori. Com'è possibile in tal modo dilatare i consumi e, per conse- guenza, attivare i commerci. « maggiorare » i redditi della ter- ra e attutire le ansie di chi la- vora ? E dico a te, Ricchezza: spetta alle classi abbienti da te gratifi- cate di dare la prima spinta ai consumi spendendo più larga- mente anziché restringersi, per pavidità 0 per spilorceria, in de- primenti economie. Dico a entrambe voi, che nes- sun consumo è più dilatabile e fe- condo del consumo alimentare. Un piccolo semplice calcolo ve lo dimostra con evidenza. Supponendo che la spesa testa- tica dell'alimento sia in media di cinque lire al giorno — e la sup- posizione appare misurata — voi troverete che la spesa alimentare annua di un popolo di 42 milio- ni, com'è oggi il popolo italiano, ammonta a oltre settantacinque miliardi. Imprimete una lieve spinta a tale consumo, aumentandolo- di appena un ventesimo, vale a dire portando la spesa alimentare gior- naliera da cinque lire a 5,25 e a- vrete un maggior introito annuo di un miliardo e mezzo a bene- ficio dell'agricoltura, dell'indu- stria e del commercio alimentare. C'è da scommettere, o Povertà, che con simile margine verrebbe automaticamente sistemato il tuo milione di disoccupati che tanto ti affligge e tanto preoccupa te pure, o Ricchezza. A che prò, dunque, infierire con acrimonia, contro coloro che fanno della tavola una palestra d'arte, un rito di godimento, una arce di raffinatezza, un tempio di ospitalità? Non sarebbe meglio scuotere i gretti e gli astinenti ? — I poveri lo sono per forza. ^— I ricchi devono essere pru- denti. — Ogni tavola, qualunque sia lo stato economico, può avere la sua parte di abbondanza e di serenità. Di' alle tue massaie, o Povertà, di rivolgersi a me ed io insegnerò loro la regola prodi- giosa del massimo rendimento col minimo mezzo... L'illusionista interviene di nuovo: — Intelligenza, tu hai detto cose interessanti, ma io ti ho chie- sto un responso sullo scritto di questo signore. Ti prego di ac- cedere alla mia domanda : merita egli un castigo? —- Io sto sempre per la gene- rosità e propongo un premio. (La Ricchezza si ritrae con un moto di sdegno). — Egli ha accettato con do- cilità — prosegue l'Intelligenza — di essere tuo compare e ha ascoltato la nostra discussione con deferenza. Forse ha imparato no- zioni che probabilmente ignora- va. Ma una cosa, sopratutto, egli deve imparare; il premio che ti presento e che ti prego di conse- gnargli a nome del nostro gentile ospite, per sfortuna assente, è chiaro. La curiosità del pubblico, che durante il dialogo si era qua e là allentata, ridiventa acutissima. Molti si alzano e si accostano per meglio vedere. L'Intelligenza ha nelle mani un largo astuccio di cuoio che porge all'illusionista. Questi lo apre: sul fondo di velluto rosso brilla un coltello da tavola dal mànico d'oro finemen- te cesellato. — Un coltello? — interroga l'illusionista. — Perchè? — Perchè egli impari a ser- virsene senza introdurne la lama in bftcca. Della civiltà alimentare, que- sto è il secondo segno. Capitolo sedicesimo Cotoletta nuziale — Scusami, Cicì, se vengo a trovarti fuori ora. — Oh, Rachelina, che piace* re vederti! Sono mesi c mesi..« Come mai? — Novità... — Raccontami. Stai bene?. Vedo che hai messo su una bella faccina. Perchè non vieni più al club? —• A proposito del club; ra* segno le mie dimissioni. — Tu? Possibile? Rinneghi resti dunque l'idea naturista? —- L'idea no; ma la pratica.., Ho capito che lui non ha piacere.- — Lui? Chi « lui? »? —• Il mio fidanzato. —- Sei fidanzata? Rallegrai menti, cara Rachelina. Ora capi* sco la bella faccetta, il vestitino iti ghingheri, la tua visita fuori ora, e un certo piglio che hai nella voce. Raccontami, raccontami..* Da quando? — Da pochi giorni. —* Sul serio? «— Sul serio. .— Ufficialmente?, ;— Quasi. — Intendi dire, insomma, che questa volta ti sposi? — Mi pare di sì. -— Brava Rachelina! Mi fa tanto piacere. Chi è? — Un bravissimo uomo. —• Un « bravissimo uomo » Í Non mi piace questa espressione. — Cicì, vuoi che sposi una donna? —i Scema! Dovevi dire ufi giovanotto, un bel giovanotto. •— Non è un giovanotto. -— E' vedovo? —- Ma no; cerca di capirmi:] non è tanto giovane. — Che età ha? — Quarantacinque. — L'ideale, mia cara! — Anche tu sei del mio pa- rere? Mia madre, invece, trova che è vecchio. —- Le nostre madri non se n« intendono. Dimmi: è bello? — No: è brutto. — I mariti sono meglio brut- ti: sono più « naturali » e non si corre pericolo di farseli c< soffia- re »... — E' tanto intelligente! — Ahi! — Perchè? —- Non so; mi pare che, alla lunga, un marito intelligente possa anche dare fastidio. E* ricco? •— Benestante. Ne hai le prove? —1 Papà ha controllato la sua posizione bancaria; seicentomila lire liquide; più una casa in cam- pagna dove andremo ad abitare, — Cribbio! —- Cioè? — Non mi pare una bazzajj meritavi di più. —1 Ai tempi che corrono? 'M me pare una grazia; siamo in sefc< te in famiglia e con il solo sti- pendio di papà, capirai... — Lo ami? — Come si fa a saperlo?! Quand'è che una donna può dir« con sicurezza : « Amo » ? UMBERTO NOTARI (Continua).

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