LA CUCINA ITALIANA 1933
LA CUCINA ITAL f M.angiar meglio, spender meno» T B T £ GIORNALE DI GASTRONOMIA PER LE FAMIGLIE E PER 1 BUONGUSTAI CUC INA CASAL INGA - AL TA CUC INA . CUC INA CONV I V I A LE . CUC INA F O L C L O R I S TA - CUCINA P E R S TOMACHI D E B O L I • CUCINA A L B E R GH I E RA . AJRTE DELLA T AVO LA . R I C E T T A R I N. 4 — ANNO V — 15 APRILE 1933 - ANNO XI ESCE IL QUINDICI DI OGNI MESE TELEFONI: N. 62041, 62042, 62043, 62044, 62045 — ROMA Palazzo Sciarra ROMA _ TELEFONI: N.~ 62041, 62042, 62043, 62044, 62045 OGNI NUMERO CENT. 50 — ABBONAMENTO ANNUO L. 5,30 . ESTERO L. 10 — INSERZIONI: L. 4 AL MILLIMETRO N. 4 — ANNO V — 15 APRILE 1933 - ANNO XI ESCE IL QUINDICI DI OGNI MESE congreso cosmoopolitism gastronomic o mÉ folclorista masesai Non loderò mai abbastanza Eu- genio Giovannetti per il suo arti- colo Via le minute barbare, pub- blicato su quello che voi avete saputo rendere. — esimia signora Delia — il miglior foglio gastro- nomico fra tutti quanti — e fu- rono molti in questi ultimi tem- pi _ vollero emularvi (dalle Ri- viste alle pagine speciali di molti quotidiani politici). Basta coi cosmopolitismo' alber- ghiero! Siamo stanchi di questo ibridismo internazionale nella lin- gua, nei costumi, nei prodotti..-., nella gente! Ma sopratutto in tut- to quanto si riferisce ad alberghi e albergatori. Snobismo Bisogna ammettere che il co- stume, il gesto, la posa grandal- berghiera, sono una necessità da- t a dall'abitudine, per buona par- te dei clienti d'albergo e, per un'al- t ra parte della clientela, data dal desiderio di rinfrescare il borghe- se casato con una spècie d'auto- battesimo di aristocrazia. E' da notare, anzi, che si sen- tirà parlare delle grandi metropo- li europee, di Parigi e della cucina oltremontana, anche perchè pos- sono mostrare sopra tali argo- menti, una erudizione... diffìcil- mente raggiunta in altre materie. E' un po' il villano piovuto a Fiorenza, deprecato da,l padre Dante. E' l'esterofilia bollata da Umberto Notari, è l'invernìciatura forestiera degli alberghi sontuosi d'oltr'alpe di cui fa parte inte- grale la cucina barbara e relati- ve minute. Veniamo a qualche esempio di mensa: Il conte A. sta per pranzare col • marchese B-, la duchessa C„ il milionario D., ecc. ecc. Si presen- t a loro la minuta per la scelta delle portate; ed ecco impegnarsi una piccola gara di cosmopoliti- smo conviviale, cioè si scartano i piatti regionali o nazionali, sotto un pretesto p l'altro, salvo alcuni di fa&a oramai mondiale, accet- tati da numerosi personaggi di quelli che fanno professione.... di Infischiarsene delle grullaggini del Piccolo mondo- Quando, però, gli stessi commensali, mangiano se- paratamente, allora, come nel regno delle fate, si rovesciano i gusti: la cucina paesana, vilipe- sa in pubblico, risorge a nuova vita: quello che ieri fu respinto come cibo della taverna, torna og- gi in onore. Mangiare seguendo il proprio gusto.-, purché nessuno lo sappia. Nel nostro paese 1 non si gustano più i piatti regionali, all'iniuori del fritto, ch'è una vivanda tipi- camente italiana, oltre ad essere specialmente romanesca, coi rela- tivi supplì. L'arte del cuoco ha, al pari del- l'architettura, i suoi ordini, i qua- li, non dissimilmente da questa arte, vanno dal più classico od accademico, — non per nulla si fondarono le Accademie Gastro- nomiche in varie parti del globo i— al novecentista ed al futurista. (Bontempelli e. Marinetti inse- gnino). La padrona di casa in encina Ma, all ' infuori di ogni scuola, la cattedra della cucina deve es- sere tenuta sopratutto dalle mas- saie. Certe tradizioni non si tra- smettono che attraverso la don- na- Si potrà sempre trovare un gran cordon bleu per allestire le quaglie disossate, il pasticcio di fegato grasso, il fagiano farcito, ecc.; ma è difficile trovare chi prepari bene il buon brodo, il buon bollito, la buona bistecca; insomma, la cucina d'ogni giorno. E non soltanto sotto l'aspetto uni- co del gusto e dell'estetica, ma anche, e specialmente, da quello dell'igiene alimentare, soltanto la brava massaia saprà allestire con rara abilità e, al tempo stesso, con parsimonia, il pranzetto quo- tidiano. Un'ottima e sana mensa fami- gliare, creando nell'Italia di Mus- solini l'esercito dì queste artiste della cucina famigliare, si impor- rà, come la moda dell'abbiglia- ménto, ai gusti estetici delle al- tre nazioni, ai sani palati di tutti i popoli. La donna saprà pure corregge- te, con l'equilibrio che la distin- gue in tutto, l'abuso (riscontrabi- le specialmente nella cucina re- gionale) di droghe e grassi. Ciò avverrà all'infuori di ogni scuola gastronomica, almeno nel senso di come sono concepite og- gi le scuole di gastronomia: tut- te, nient'altro che riproduzione, èco, scimmiottamento di principi! tecnici a fondo forestiero. La esimia signora Amalia Pran- di, direttrice della Scuola femmi- nile « Fusinato » di Roma, mi dis- se un giorno: «Io non ho mai mangiato cosi male, come nei paesi ove esistono scuole di cu- cina ». Questo giudizio, espresso più di venti anni fa, non ha at- tenuato il suo valore poiché, al miglioramento della tavola, si suole pensare col cervello di tut- ti i popoli. Tutti? No, senza quel- lo italiano. Scuole di gastronomia? Financo le pizze alla napolita- na oramai sono talmente rovina- te dai supercuochi ultramontani che non si riconoscono più. Basti dire che in esse, un cuoco di alta classe, che per riguardo non no- mino, si permette di sostituire al- 1?, comune pasta di pane, la finis- sima pasta di brioche, dosata, si capisce, con zucchero, e aromatiz- zata con scorza di limone! Si può essere fautori delle mi- gliorie tecniche su vasta scala, ma si mantenga almeno l'intangibili- tà dei caratteristici manicaretti popolari. Vi sarebbe di che continuare per un pezzo, riia i concetti che 10 vorrei svolgere sono già stati ampiamente trattati da illustri scrittori contemporanei, e basti per tutti Umberto Notari col suo capolavoro II coltella in bocca, nonché con l'altro magnifico « saggio di economia pubblica » : 11 Signor Geremia. Proposte pratiche Prima, però, (di nhìuClere, mi sia permesso lanciare idue idee' pratiche: Fra gli innumerevoli congressi di cui va ricca l'epoca attuale, ti- no mi sembrerebbe assai profit- tevole: Congresso di cucina regio-. naie con intervento di massaie, nel quale dovrebbero essere poste all'ordine del gicrno le più impor- tanti questioni alimentari di at- tualità, che hanno anche riferi- mento con la pubblica economia: le sofisticazioni degli alimenti, la valorizzazione dell'olio d'oliva genuino; i vini italiani conside- rati come condimento nelle pie- tanze, il vitaminismo di molti ci- bi, le qualità terapeutiche degli agrumi, la bevanda nazionale. Eccellenza Marescalchi, voi che siete l'apostolo di tutti questi prin- cipii non potrete, nonostante la Vostra illuminata facondia, pari alla Vostra passione italianissima ottenere vantaggi pratici, finché... non saranno le donne di casa, le massaie a mettere in pratica i Vostri sacrosanti sermoni. E così Voi, Umberto Notari, e così Voi, Alberto De Stefani, e così Voi, Aldo Rossini, e quanti altri vi battete per la stessa nobile cau- sa, ricordatevi che Gesù Cristo applicò il gran principio: «Per far penetrare le idee, per far riu- scire le propagande, bisogna, pri- ma di tutto... convincere le don- ne ». (Fors'anche perché le donne parlano più degli uomini, e di- ventano così a loro volta le più grandi propagandiste). Si bandiscano in ogni regione gare di cucina folcloristica con vi- stosi premi. Ho buttato il seme di due im- portanti campagne che ritengo, se bene attuate, assai proficue. On- de mi auguro di vederle accolte. La loro effettuazione pratica potrà avvenire sotto gli autore- voli auspici di questo importante giornale- Amedeo Pettini. Capo-cuoco dì S. M. il Re simili cose; andai in eucina e far. tanto bene che... un'ora dopo (era- vamo in quegli anni di guerra in cui facilmente accadevano queste cose) un'ora dopo, dicevo, le mie due perso- ne di servizio mi avevano abbandona- ta e navigavano verso altri Udì! Erano le diciotto. Mi trovavo a un paio d'ore di distanza dal pranzo. Per prima cosa, andai in cucina e in dispensa. Rovistai nella ghiacciaia per vedere quali erano le provviste destinate al nostro pasto serale. C'e- ra un magnifico pezzo di carne, non sapevo nemmeno se si trattasse di manzo o vitello, che oh, fortuna! era già preparato e arrotolato. Non ci pen- sai un momento. Lo presi, lo misi in casseruola con un' pezzo di burro, ac- cesi il forno e vi collocai la mia ven- tola. Intanto avevo pensato di fare pasta asciutta. Digiuna com'ero massaia m n a Ogni tanto pel desiderio, che ri- Le tignole e le tarme si nutrono, teniamo un dovere giornalistico, di alio stato di bruco, di lana, d» pfi- esse re tempestivi— O, come moder- 15 H1w.risr.nnr» ori iliminanii namente si dice, tempisti — dob- biamo contravvenire al program- ma preannunziato in questa ru- brica per il numero successivo. L'attualità s'impone. E così, mentre oggi avremmo do- vuto riprendere l'interrotto discor- so sull'eleganza e la gastronomia per intrattenerci sulla moda del franciosizzare parole e locuzioni relative alla mensa, a nomi di pie- tanze, a vocaboli di cucina, ci ha preso viceversa, sopravvento il la- to pratico che deve costituire la nota essenziale di questa rubrica d'ogni pratica cucinaria, non avevo la | p" ; farla riuscire sempre gradita minima idea della quantità occor- e utile alla «massaia moderna ». rente. Andai in dispensa; pensai che La, questione dei vocaboli stra- IL GIOERNAL dael l DOMAENIC il più grande, il più moderno, il più vivace settimanale di attualità e di letteratura pubblica in ogni numero i resoconti dei viaggi nel mondo dei suoi reporter* più »^venturosi: e racconti « novelle « fotografie e articoli di Moda e disegni di eleganze femminili. Rubriche speciali, di corrispondenza coi lettori Intorno alla scienza grafologica, all'Igie- ne, ecc; concorsi di enigmistica, articoli di volgarizzazione scientifica renderne sempre più vario e Interessante IL GIOERNAL dae l l DOMAENIC 15 eoi abì&maxaento da OGGI al SO aprile 1934, costa L. 12 sete. CHIEDETELO IN TUTTE LE EDICOLE. Le mie sventure Consigli pratici alle signorine Adesso che molta gente mi immagi- na col volto rugoso ed i capelli bian- chi, adesso che anch'io ho due nipo- tini, uno dei quali canta a squarcia- gola « lo ho una vecchia zia »; io, che pur sono «sorella di papà», adesso che c'è un po' la mania in tutti di scrivere articoli d'arte cucinaria, ades- so, insomma, senza tante scuse, ma per il semplice fatto che ne ho voglia, mi prendo il lusso di parlare di me e raccontare alle mie amiche lettrici qualche aneddoto della mia infanzia e della mia giovinezza, nonché altri della, mia vita successiva, che possono servire di consiglia ammonimento ed esempio, specialmente alle mamme nell 'educazione delle lor.o figliole, e a queste per evitarsi, finché è loro pos- sibile quei piccoli guai che son cavi- tati 'a me: Comincerò col dire che — come al- lora molte signorine di buona fami- glia — educate con l'istitutrice al fian- co. io non avevo messo piede in cuci- na che assai dì rado. Ansi dirò di più; quando eventualmente mi veniva fat- to di scendere nelle cucine che erano nel sottosuolo della nostra villa, a co- minciar dal cuoco ver finire a. tutti ì componenti della servitù e dei fami- liari. facevano a gara non solo per mandarmi via, ma per rimproverarmi. « La cucina non è il posto adatto al'e ragazzine! » mi sentivo dire, e venivo rispedita nei miei appartamenti com- posti della mia camera da letto, un terrazzo e un salotto, dove studiavo, lavoravo, suonavo il piano, leggevo e specialmente — oh! quanto! — gioca- vo con le mie bambole. E' così che a causa di questa — forse aristocratica, ma certo errata educazione — mi suc- cesse di sposarmi giovanissima senza saper cuocere nemmeno., ma si!, le tradizionali uova alla coque! Pensavo anch'io, come tutte le signorine del mio stampo, che avrei sempre avuto una cucca od un cuoco a mia disposi- zione e che in caso di... crisi domesti- ca sarei andata al ristorante. Non mi occupavo menomamente della grave lacuna rimasta nella mia educazione. Sapevo, per essere vissuta in un am- biente lussuoso, ordinare un ménu e ricevere gli invitati, sapevo parlare le lingue estere di maggior uso. ordinare una toilette o scegliere un filo di per- le... Ma presiedere alla cotttura di un piatto di maccheroni sarebbe stato più difficile che tradurre una favola la- tina. Ero sposata da circa un anno, ed avevo girato il mondo con mio mari- to,i fermandomi in lunghi soggiorni a Parigi, Madrid, Londra e Berlino, nei più grandiosi alberghi delle capitali. Quando io — volendo che il mio pri- mo rampollo fosse italiano nato in terra d'Italia — decìsi di partire per Roma dove avreirimo stabilito il no- stro domicilio. E fu così che mi accin- si, a « metter su casa »r La compera dei mobili, della bian- cheria, la scelta degli oggetti e degli utensili, le prove delle tappezzerie, dei tappeti, tutto questo fu un vero diver- timento per me. Trovai un apparta- mento delizioso: ingresso, cucina, guardaroba, camera per la cameriera, per. la cuoca, bagno di servizio, came- ra per il « bebé » nursery (in attesa di farci giocare il futuro neonato sa- rebbe servita di salotto per la magni- fica infermiera da bambini che avevo fissato in Inghilterra), e poi due sa- lotti, camera da pranzo, camera da bagno e camera da letto con spoglia- toio. Come si vede, una casa dove non mancava nulla e c'era anzi abbastan- za superfluo. Mentre badavo all'arredamento mi ero preoccupata di trovare la sei'vitù, e avevo fissato una cuoca ed una ca- meriera. che, con lo chaufieur (allora non si chiamava autista o « autiere ») e la nurse avrebbero formato il mio « personale ». Il primo giorno in cui presi le redi- ni di padrona di casa ero felice, ma un po' spaventata. Sentivo che le co- se non erano così facili come sembra- vano « prima vista. Come tutte le spo- sine, volevo essere una massaia mo- dello. votevo che nella dispensa, che era uno stanzino attiguo alla cucina, vi fossero promiste d'ogni genere. Ed avevo ordinato ad mia fabbrica di Na- poli una tale quantità di spaghetti che poi dovetti buttar via perchè si erano riempiti di piccoli vermi. Le pa- tate mi fecero i germogli, le marmel- late ammuffirono e., dovetti venire più tardi nell'economica determinazio- ne che è meglio provvedere giornal- mente quello che occorre alla casa e alla famiglia. E' il scio mezzo di evi- tare lo spreco. Avevo detto a mio marito che egli avrebbe sempre potuto — anche sen- za preavvisarmi — condurre a casa degli amici per il pranzo o per la ce- na. Avrebbe sempre trovato (glie lo avevo promesso con un sorriso sicuro e sincero) una mogliettina gaia, alle- gra, in ordine, e un pranzo o una ce- na presentabilissimi! Ed ecco il mio primo guaio! Erano parecchi mesi ohe avevo casa. Tutto funzionava pressoché discretamente, anzi benino. Quando un giorno, a pro- posito di certe posate da pulire — « Non tocca a me », « Tocca a te». « Io sono la cameriera . » « Io sono la cuoca » — scoppiò una lite violentis- sima fra le mie due fantesche. Lite che degenerò ben presto in una semi- tragedia poiché le due., serve, finiro- no per tirarsi addosso le mie movere posate. Naturalmente, volli fare un at- to di forza e dimostrare che io, pa- drona di casa, non potevo permettere era meglio far molta minestra piutto- sto che pena. « Tuti'al più, se ne ri- marrà, la mangeremo domani » pen- sai. Presi un pacchetto intero levai la carta, misi i a pasta nella casse- ruola vi versai sopra l'acqua del rubi- netto ben fredda, e misi tutto al fuo- co, dopo. di. aver. messo nella casse- ruola, una manciata di sale, una di pepe, un po' di burro e di parmigia- no. Ma riflettendo a quanto facevo (pasta al burro e formaggio no?) ri- cordai che a mio marito piaceva di più la pasta al sugo. Cenai nel cesto della verdura, trovai dei pomidoro che misi nella pentola, senza nemmeno curarmi di lavarli!!! E così accesi il gas. Intanto escogitavo il piatto di ver- dura. C'erano dei fagiolini, ma erano da pulire. Pensai che era un lavoro troppo lungo e noioso. Presi invece qualche cipollina e alcune patate pic- cole. Le lavai e le misi in casseruola coperte d'olio. E tutto al fuoco. « Dopo tutto far da mangiare è as- sai facile » dicevo tra me e me. Che ci ho messo io? Nemmeno mezz'ora. E Rodolfo tornando troverà un pran- zetto coi fiocchi! Andai in sala da pranzo e preparai la tavola. Questo là sapevo fare davvero e mi disimpegnai benone. Quando fu pronta, andai in camera mia, e mi vestii con l'abito da pranzo che più piaceva a mio ma- rito. Mentre stavo guardando allo specchio se ero in ordine e se al ri- torno mio marito avrebbe trovati una mogliettina abbastanza « chic », sentii suonare ripetutamente il campanello= Corsi ad aprire credendo di trovarmi di fronte al mio impazientissimo con- sorte, e vidi invece la portinaia con gli occhi fuori dall'orbita che urlava: — Ma non sente che puzzo? il fu- mo arriva giù in cortile, su al quarto piano, ma che succede qua dentro? Prima Che mi rendessi conto di ciò che accadeva, eravamo in cucina. Un fumo terrìbile' bruciava gli occhi e impediva il respiro. Io non sapevo co- sa fare. La portinaia guardò le pen- tole sul fuoco, spegnette il gas, aprì il forno.„ Carbonizzato, fumante, stava il mio povero arrosto dentro la pentola in- forme, rovente... Suonò il campanello. Mcgia mogia, coi capelli arruffati, l'abito che odo- rava di bruciato, andai ad aprire. Mio marito non era solo. Convinto deW mie asserzioni, aveva portato un amilo a pranzo! Non ebbi il co- raggio dì parlare per paura di pian- gere. Egli, da uomo pratico, mi sug- gerì di preparare un antipasto con le scatole che tenevo in dispensa. A- vremmo mangiato poi la pasta, asciut- ta, la verdura e una frittatina. Che c'è di più semplice' da fare d'una frittata? Andammo in cucina. Ecrtuna volle che mio marito desse un'occhiata alle pentole sul fuoco... In un mare d'olio nuotavano poche patatine e cipolline nere nere. E nella pentola della pasta asciutta un mise- rabile intruglio invitava a scappare... Finimmo al ristorante. Io ero af- flitta, delusa, mortificata. Giurai di imparare a far la cuoca. Prima di riu- scirvi però mi capitarono altre sven- ture. Ma di quelle, dirò un'altra volta. Rina Simonetta. li, che digeriscono ed eli i a o i sotto forma di polverina gialla. ! Quanta di questa polvere nei resi-i dui lasciati dalla lana dei mate-l rassi, dopo la battitura o cardatu-! ra fat ta dal materassaio! Le larve vivono entro bozzoletti. che si tra- scinano dietro come le chiocciole, e, al momento della trasformazio- ne in farfalle, li fissano in un pun- to qualunque, anche sul soffitto. Negli appartamenti riscaldati, le farfalline sj cominciano a vedere nell'aprile : compiono tre o quat- tro generazioni, invece di due. La farfallina della tignola dei panni (Tinea tapetzella, L-) ha le al| anteriori nere e grige con fa- scia bianca: la larva rode soltan- to la lana, ma, in mancanza di que- sta, attacca piume e pellicce. La tignola speciale delle pellicce (Ti- nea pellionella, L.) recide in lun- ghe gallerie il pelo, alla base, ed è diffìcile distruggerne uova e lar- ve. La farfallina è grigia, con mac- chioline nere, uguale alla prece- dente. per grandezza. La tignola del crine animale (Tinea crinella o bisselliella, Humm) di colore gri- gio, reca gravi danni: si trova nel- le case dal maggio al settembre. Inefficaci, per queste tignole, so- no i forti odori di lavanda, pepe, canfora, tabacco: più energica è l'azione" della naftalina pura (le palline sono talvolta fabbricate con residui di vecchie naftaline) : ma ha l'inconveniente di esalare un odore sgradevole ed emana dei va- pori, che hanno un'azione scolo- rante sui colori delicati e sulle pel- licce tinte. L'essenza dj mirbana, distribuita a gocce sulle carte a - sciuganti, che si mettono fra i ve- stiti, esala un forte odore di man- dorle amare, è più indicata, scolo- ra meno le tinte vivaci. Si adope- ra per preservare, dagli attacchi di altri insetti, le farfalle raccolte in cassette per collezioni entomo- logiche. La polvere di piretro è spesso sofisticata^: pura, serve al- meno per allontanare le nuove ge nieri viene a tempo, mentre... Lo stenografo teneva pronta la sua stilografica per dare l'ostraci- smo a un urrosare o grillettare, a [ nerazioni. ma non distrugge le uo- un gratin, o ad un foie gras, quan- do all'improvviso si è sentito det- tare: «Per la conservazione delle pelliccie... ». — Scusi, signora, non si doveva trattare...?. — Già, ma non sente come ci disturba quel battipanni che im- perversa cui terrazzone? E' perchè la cameriera deve mettere via le pellicce. E non sarò mica io la sola ad averne e volerle conservar bene per il prossimo inverno. — Gli è ' che io mi ero vista dinan- zi la schiera delle «mie intime a- miche sconosciute » a chiedermi consiglio sul modo migliore di pre- servare dai tarli pellicce e- tappe- ti: aspettano il mio verbo sopra- tutto le inesperte sposine che si trovano per la prima volta a do- versi occupare di cmesta importan- te briga domestica e che si abbo- narono alla cucina Italiana pro- prio per essere aiutate a risolvere tutti i quotidiani problemi della umile (grande e sacra!) vita di famiglia. — Scriva, dunaue — ho ordinato un po' nervosetta allo stenografo. Nervosetta, perchè? Sarò sincera: Dopo aver rinfoderato l 'art ico- lo di letteratura gastronomica, mi andavo già vincendo pure per il principio di questo: chè mentre lo esordio mi si sarebbe presentato assai spontaneo su « l'ora del tem- po e la dolce stagione » (dal- l'ultimo piano arrivava sì il ru- more dei colpi imperversanti sul- la roba da inverno, ma, intanto dal grande balcone spalancato sul parco, arrivavano oure in casa tut- te le profumate carezze della pri- mavera) sì che avrei avuto gran voglia di innestare al discorso di economia domestica come a- vrebbe fatto al mio posto qualun- que giornalista — un saluto fe- stoso, alla primavera che « brilla ne l'aria e per li campi esulta » — invece mi sono saggiamente vinta. Un preludio ad argomento così pratico e, taluno dirà, così pro- saico — avrebbe potuto apparire stonato, accademico, retorico. E poi, non Io sanno ben da loro, le nostre lettrici, che siamo a Pa- squa e che bisogna mettere via la roba d'inverno? Consigli utili esse si attendono da « Delia » e non divagazioni. Vengo dunque all'essenziale, al- la sostanza, com'è mia abitudine. Ecco dunque: Le tarle e le tignole Premetto due parole di ento- mologia domestica rilevandole con qualche lieve modifica dai saggi insegnamenti che ci porge la pro- fessoressa Paribeni Valvassori nel- la sua Enciclopedia ad uso delle famiglie; libro veramente prezio- so, a cui — mi sia perdonata la franchezza — fa soltanto difetto la troppo farraginosa distribuzione della materia che non permette le debite proporzioni tra le varie par- ti e i diversi soggetti. Anche il no- stro eminente confratello editore mi perdoni se mi permetto rile- vare che Ber libri destinati alla massima volgarizzazione il prezzo appare piuttosto eccessivo, indi- pendentemente dal valore del vo- lume- Se le pellicce, i tappeti, i mate- rassi, gli indumenti di lana e in genere, SÌ tarlano, questo cattivo servizio è reso còme tutti sanno dalle tignole e dalle tarle. va e le larve già penetrate nelle lane. Un buon insettifugo è il Flit, spruzzato intorno alle pareti delle casse, o sopra le lenzuola che av- volgono i panni. Meglio si preservano i panni, con la battitura all'aria, la spazzolatu- ra e l'esposizione per un giorno al sole, quindi con la chiusura erme- tica in sacchi dì carta incatramata da pacchi, bene incollati, con vera colla da falegnami, sciolta in ac- qua calda al 7 per cento- Le colle d'amido, di pasta, sono intaccate da un vorace coleottero, piccolissi- mo, l'Anobio del pane (che divora il pan secco, caffè, cioccolatto car- ta comune, pergamene, auaari di- pinti e rovina interi scaffali di li- bri). Le casse di zinco o di cartone si rivestono negli angoli con strisce di carta incollate con la solita colla da falegname; sopra ai panni si dispongono due boccette di solfu- ro di carbonio, chiuse con garza. I vapori del solfuro, più pesanti dell'aria, si diffondono in basso e fanno morire ogni insetto: bisogna avere l'avvertenza di fare questa operazione di giorno, e di riaprire le casse pure di giorno, perchè il solfuro di carbonio è infiammabi- le. Si avverte la sua presenza dal- l'odore agliaceo. Basta la dose di 50 grammi per ogni metro cubo di spazio. Volendo distruggere i tarli che rovinano quadri antichi di valore, cornici, mobili, pergamene, libri antichi, si ricorre alla chiusura di questi in casse con solfuro, per ot- to giorni. Queste notizie pratiche è bene diffonderle, perchè contribui- ranno a conservare il patrimonio nazionale artistico di mobili, stof- fe e quadri, affidato ai conventi ed alle piccole chiese di campagna. A prezzi modesti, si trovano in commercio dei pratici sacchi di carta rinforzata a chiusura erme- tica, che facilitano la conservazio- ne delle pellicce, da ogni tarlo. La custodia Kristee, con chiusu- ra scorrevole Zipper, di tessuto gommato, permette di tenere ap- pesi internamente più pellicce e vestiti, ed a sua volta si può la- sciare attaccata nell'armadio stes- so, con la sicurezza di preservarli non solo dalle tarme, ma dall'u- mido e dalla polvere. Giova per gli indumenti che si indossano di rado deporre nella cassa delle scatolette da lucido, bucherellate, bene pulite, conte- nenti la seguente pasta: acquara- gia parte una, canfora parte lina, resina di eucalyptus parte una. Il frigorifero infine, con le sue celle speciali, oggi viene utilizza- to dagli industriali per conserva- re ogni sorta di pelli, tappeti e stoffe. Pellicce e abiti Sono contraria a rinchiudere pellicce fini e abiti di riguardo in casse che naturalmente andrebbe- ro espressamente costruite o quan- to meno rivestite da lamiere me- talliche sì da essere sicuri che la polvere non vi possa penetrare. Sono contraria perchè il pelo e le stoffe fine si ammaccano terri- bilmente pigiate una sull'altra con i relativi segni sferici bianchi delle pallottoline di naftalina (buona occasione per dire che se mai la naftalina è preferibile in polvere a sacchetti e per cose che si deb- bano nuovamente indossare). Sem- pre preferibile la canfora il cui o- dare non è sgradevole. Superfluo aggiungere che, quan- to ai tappeti, i quali, in linea ge- nerale, vanno conservati come le pellicce, si possono semplificare le operazioni, specialmente nei pic- coli appartamenti di città, se non si posssggono due o tre grandi cas- soni ove rinchiuderli. Basterà, dopo averli spazzolati e battuti a perfezione, (attenti eh... la battitura avvenga dal rovescio e la spazzolatura all'indritto) ro- tolarli su se stessi mettendoci in mezzo una tela o fosli di carta bianca e avvolgerli in carta catra- mata. In un precedente numero, in questa, stessa rubrica, parlando del guardaroba, insegnai come con- servare speciali pellicce di maggior pregio e valore. Non voglio ripetermi. L'argomento mi sembra esau- rito. Delia. La tavola — Signor Pretore, mi maltratta quando è ubriaco. E' causa di tut- te le mie malattie... — Non le dia retta: non fo' che bere alla sua salute. • * « Un vinaio chiudeva bottega in certi giorni.... E si ritirava in can- tina ad annacquare vini. Attaccava allora sulla porta un cartello con la scritta: — Chiuso per causa di batte- simo! » * » Il garzone di un oste ha vinto il primo premio in una gara di nuoto. Ai rallegramenti risponde con un sorriso dì modestia: — Eh già, io devo essere prati- co di acqua- Sono stato sei anni... garzone di vinaio! , , » » » Pierino. — Mamma, vuoi anco- ra dolce? La madre —« No, caro. Pierino — E adesso, mamma, non potresti fare tu la stessa do- manda... a me? » . » * Un ubriaco rimane paralizzato al braccio sinistro. Gli si fanno dal medico e dal- la famiglia serie osservazioni sul suo vizio di bere, sulle conseguen- ze fatali che ne derivano! — Ma questo non ha nulla a che fare col bere... Per bere ado- pero sempre il braccio destro!... * * « Un buon macellaio aveva mes- so nella sua bottega questo car- tello: Non si fa credito altro che a quelli che pagano subito « • * — Ho mangiato salame! — di» C2 uno all'amico. L'altro malizioso: — Ti sentirai una forza da ca*. vallo! * *. « La padrona è esigente, di ca- rattere aspro, intollerabile: la cuoca si è licenziata. E piange- — Che assurdo! Vi siete licen- ziata: e ora piangete... — Piango per quella sciagurata che dovrà prendere il mio posto... * *. * Le donne di servizio si lam.exfc tano sempre di un lavoro «¡ecesst- vo e, accortamente, cercano di ri- sparmiarsi fatiche inutili. Una signora dice alla sua donna: — Vedete come queste seggiole sono polverose. — Sfido: oggi non ci s'è anco- ra seduto nessuno! E' usocit ni . 6 ristama p (fino al 60. migliaio) La Jugoslavia contro l'Italia documenti e rivelazioni di VIRGINIO GAYDA Chiedetelo nelle librerie e nelle edi- cole di tutta Italia e Colonie L i r e 1 , 50 Chiedetelo alla Amministrazione del Giornale d'Italia che lo invia frane• a domicilio ovunque, in Italia e CO- lonie, contro rimessa di Li 1.5®.
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