LA CUCINA ITALIANA 1933
N. 7 - 15 Luglio 1933-XI LA CUCINA ITALIANA P a a r . ? MODE F u o r i i t s o f t o o r » ! ni. Non mi ero ingannaa nel ri- volgermi alla ìntima amica sco- nosciuta (così io chiamo e sento ogni Abbonata al nostro giorna- le) per accaparrarmela quale col- laboratrice nell'apostolato contro le parole straniere in cucina, nel- la crociata per la epurazione del linguaggio gastronomico Italiano: La valanga di lettere che quo- tidianamente mi perviene da o- gni parte d'Italia ne è la più ef- ficace dimostrazione. Riprendo quindi la terza punta- ta sull'argomento con maggiore entusiasmo. Dicevamo, dunque?... CONSOMMÉ' Siamo risolutamente contrarli alla traduzione consumato, quan- tunque osservi il Rigutini che, forse, i Francesi hanno tolto il vocabolo dall'Italiano e quantun- que ci dica l'illustre Accademico Alfredo Fanzini che: di consuma- to non mancano ottimi esempi ci- tati dalla « Crusca ». Roma — erede, anche in mate- ria linguistica, del grande patri- monio latino, per istinto rifugge più d'ogni altra regione o città i- taliana dall'uso di vocaboli esoti- ci. E i Romani infatti ci dànno lezione anche su questa parola: Essi dicono semplicemente «bro- do ristretto ». Come si potrebbe esprimersi me- glio? PATÉ* SI: è un po' lunghetto pasticcio di fegato d'oca, ma, almeno, serve a distinguere subito, a tutta pri- ma, di quale «paté» s'intende parlare, dato che con questo voca- bolo si passa ad indicare le più svariate preparazioni di cucina raffinata: il «pasticcio di caccia- gione?' (al quale non sempre si aggiunge la spiegazione « volar- le »); 1 «pasticcini di sfogliata ri- pieni di carne », o magari « di pe- sce » ecc. Paolo Monelli consiglia una vec- chia parola nostra — che, del re- sto, si trova nei libri di cucina del Sec. XV — da cui i Francesi han- no preso il vocabolo «paté»: la parola sarebbe pastetto. Ma per quanto i dotti, sapendo questa origine etimologica, trove- rebbero giusta la traduzione, è e- vidente la impopolarità cui an- drebbe oggi soggetta la parola pastetto per paté. Anche in questo caso, dunque, semplicità e chiarezza: che impor- ta se occorrerà una parola ai più? Non vogliamo fare la concor- renza ai Tedeschi che aggruppa- no quattro o cinque vocaboli, pur di formare una parola unica, di moltissime sillabe; e come dicia- mo «timballo dì maccheroni» senza sentirci prolissi per questo, perchè non vorremmo dire: pa- sticcio di fegato d'oca, pasticcio dì cacciagione, sfogliata ripiena? GATEAU Non mi attardo neanche un mi nuto su questa traduzione, poi- ché la massaia moderna — che è intelligente e colta — mi ha già prevenuta nella traduzione: torta. OMELETTE Per quanto sia vero ciò che sentenziano i puristi: « L'omelette è nè più né meno che una fritta- ta », devo però riconoscere (forse perchè io m'intendo di cucina mentre i puristi cui accenno s'in- tendono .soltanto di lingua) che una differenza sostanziale esiste tra omelette e frittata, sia nella preparazione, sia nella forma con cui viene presentata. In casa mia, con molta sempli- cità ed altrettana chiarezza, ho adottato le due definizioni: frìt- ta all'italiana e frittata alla fran- cese: la prima, per quella che tut- ti chiamano frittata, e le secon- da appunto per l'altra detta ome- lette. Le cuoche e i cuochi mi han- no sempre capita, i commensali pure. Superfluo aggiungere che 1' « o- melette-confiture » dovrà essere tradotta con « frittata dolce ». GRATIN Tutti sanno che la parola gra- tin vuol dire crosta. In questo ca- so, è applicata ai cibi poiché, in- fatti, una volta messi al forno (sia carne sia verdura) e conditi con salsa besciamella, parmigia- no, burro ecc., formano una cro- sta sopra e sotto. E allora, dunque, perchè non chiamare tali pietanze con l'ag- gettivo di crostati? Non è più simpatico: cardi cro- stati, maccheroni crostati, di car- di al gratin o maccheroni al gra- tin? GRILLER Da grille tedesco, e grill inglese che significano graticola o gra- tella. Ma, poiché in italiano abbiamo appunto la bella parola graticola, diremo anziché carne grillé, (o più antipatico ancora, alla griglia) « carne alla gratìcola ». Molti dicono ai ferri; ma i ferri è generico; mentre la graticola è specifico. Gli è che tutti i provinciali sno- bisti, tutti i coloniali che si dàn- no l'aria del cosmopolìsmo, tutti •1 camerieri da strapazzo, si vergo- gnerebbero a parlare con la sem- plicità italiana. Esempio: — C'è la rosticcerìa? — Le pare? Ma questo è un grande albergo: qui c'è il grill room. » * * Se taluno non segue con piace- re queste puntate per la epurazio- ne del linguaggio gastronomico, e preferirebbe vedere, le colonne della presente rubrica occupate anch'esse da succulenti ricette piuttosto ohe da conversazioni lin- guistiche inerenti alla mensa, quel taluno si tranquillizzi, poiché que- sta è la penultima puntata in ma- teria e col numero di settembre, riprenderemo x soliti argomenti di consigli pratici, di nonni basilari per la Massaia Moderna. DELIA C u ca i n f u t u r i s t a La bistecca ai ferri è diventata una cosa antidiluviana e la cotoletta alla milanese, vestita di modestia, un ri- cordo arcneologico. i l cuoco dev'es- sere scultore, pittore, musico e ar- chitetto. insomma, il pranzo moderno, per entrare nella nuova estetica, de- ve passare da una specie di congres- so delle arti, infatti, uno dei capisal- di della culinaria futurista dice: «Ad ogni cuoco si richiede la formazione di una mentalità che deve compren- dere come la forma e il colore siano altrettanto importanti del sapore. De- ve arrivare a concepire per ogni vi- vanda una architettura speciale, ori- ginale, possibilmente diversa per ogni individuo in modo cioè che tutte le persone abbiano la sensazione di man- giare oltre che dei buoni cibi, an- che delle opere d'arte. Deve, prima di preparare il pranzo, studiare il ca- rattere e sensibilità di ognuno, te- nendo Presente, nella distribuzione dei cibi .dell'età, del sesso, della confor- mazione fisica e dei fattori psicolo- gici... ». Guai a quei cuochi che non sono psicologi: comprometterebbero irrimediabilmente oltre allo stomaco, la personalità dei signori... diventi. Meno male cho la fantasia gastro- nomica futurista, anche in questioni di filosofia applicata, o piena di tro- vate dinamiche, una ricetta per ogni psicologia. Dimmi che cos a mangi e ti dirò ehi sei... V'è il Pranzo Astrono- mico e quello Simultaneo, il Boccone Squadrista e La Zuppa Zoologica, i Garofani allo spiedo, l'Antipasto In- tuitivo. Siete innamorati? Eccovi una ricet- ta che fa per voi. Si chiamà: Vi ame- rò così. «Piccoli tubi di pastafrolla ri- pieni dì sapori diversissimi, cioè uno di prugne, uno eli mele cotte al rhum, uno di Patate intrise di cognac, uno di riso dolce ». Siete un filologo? Pranzerete con un Alfabeto Alimentare. «Tutte le let- tere dell'alfabeto vengono ritagliate (con grande spessore in modo da far- le restare dritte) nella mortadella di Bologna, nel formaggio, nella pasta frolla e nello zucchero bruciato; si ser- vono due per commensale, secondo le iniziali dei suoi, nomi che decideran- no così l'accoppiamento dei diversi a- limenti ». Per gli sportivi c'è il Dolcelastico. «Si riempie una spera di pasta frol- la con dello zabaione rosso nel quale è immersa una striscia (3 cm.) di li- quirizia in nastro». Per i meccanici e i signori che dige- riscono... bene, c'è il Pollo d'acciaio. «Si fa arrostire un pollo, svuotato del contenuto interno. Appena fred- do, si pratica un'apertura sul dorso e si riempie l'interno di zabaione ros- so su cui si dispongono due etti di confetti sperici argentati. Tutto attor- no all'apertura del dorso si ¿nna^ano delle creste di pollo». C'è una ricetta Persino per i mariti 0 le mogli infelici; Uova Divorziate. «Dividere a metà delle uova sode e- stràendone intatti i rossi. Disporre 1 rossi sopra una poltiglia di patate e 1 bianchi sopra una Poltiglia di ca- rote ». Volete illudervi di esser per cinque minuti milionari? Non dovete che far- vi servire una Rapa-portafoglio. «Pic- cole rape novelle bollite per io minu- ti con lauro, cipolle e rosmarino. Spaccarle poi a portafoglio e farcirle Con acciughe intrise nell'uovo e con ruhm. Passate le rape farcite nel tuor- lo d'uovo e nel pane pesto e cuocerle al forno». Dopo di ciò, non mi resta che au- gurarvi buon appetito... in quanto alla digestione, non metterei la mano sul fuoco. Questa rivoluzione gastronomi- ca ,come tutte le rivoluzioni, ha pur bisogno dei suoi martiri e dei suoi eroi Raffaele Carrieri * ra m A illustrare il brioso articolo del Carrieri, riproduciamo una Wf-pwsn santissima lista di pranzo futurista chiama a Catalogo vivande », non già teorica; ma quale figurò nel gran ban- chetto offerto il 16 giugno u. s. alla Galleria di Pesaro di Muano, in mez- zo alla Esposizione Futurista. Eccola: 1. — Suoni dall'alto 2. — Le grandi a cque 3. — Architettura gastronomica 4. — Intermezzo aerolfattico 5. — Meteori alimentari 6. — Sintesi astrale 7. — Quisibeve rose e sole 8. — Solidoliquìdo 9. — Coro agilizzatore 10. — Polibibdta sanatrice. , Gas t ronomia del duemi la Oltre a ricette cucinarie di perfetto stile futurista, F. T. iviarinetti — l'il- lustre Poeta ed Accademico d'Italia — propone altresì l'abolizione della forchetta e del coltello — per com- plessi Plastici che possono dare un piacere tattile prelatoiale »; l'uso di- profumi per favorire la degustazione, da conceilarsi poi mediante ventila- tori (quali più allettanti odori di quel- li stessi dei cibi ben preparati?) e la creazione di «bocconi simultanei e congiunti che contengano 10-20 saponi da gustare in pochi attimi». Anche la scienza fa capolino in tali propo. ste. Ecco la fornitura delie calorie ne- cessarie, in polvere od in pillole; ec- co gli ozonizzatori, che danno il pro- fumo dell'ozono (!?) a liquidi e vi vande; e le lampade a raggi ultravio- letti per irradiare le sostanze alimen- tari; e cosi via. Insomma, per dirla con frase passatista, un'insalata russa di nozioni scientifiche, moderne e ul- tramoderne. Senza dubbio, che nel futuro, la no- stra gastronomia subirà delle modifi- cazioni nei gusti e nelle abitudini (come le ha subite dai tempi degli antichi romani a noi), connessi pro- babilmente con nuova importazioni (il granoturco, la patata, il pomodo- ro ,eCc., ci sono venuti *n tempi re- centi ed hanno integrato la nostra vittitazàone) e con cambiamenti eco- nomici e sociali lentissimi a verificar- si e, ad ogni modo, non influenzabili nè dal volere di singoli, nè da pare- ri di scienziati. Ma l'Italiano d'oggi, col suo sano appetito, non rinuncia a i sapido ri- chiamo della pasta asciutta, che lo attende fumante sul desco famigliare al ritorno dal lavoro, certo, essa non deve essere nè l'unico nè il prepon- derante cibo dell'uomo moderno; gli enormi ventri, in c ui si sprofondano dei mezzi chili di maccheroni, non sono cereamente adatti per la dinami- ca vita odierna, mentre l'unilaterali- tà porta .anche nella dieta, ad uno sqUiDriò dannoso. Nulla vi è di più contrario ad una sana igiene alimen- tare che l'eccesso in qualsiasi senso (nella quantità come nella qualità) e la monotonia. L'alternare ed il variare 1 cibi è una delle doti essenziali per farli gu- stare e per fornire una nutrizione completa. Ma lasciamo stare le com- plicazioni eccessive, le polpette con undici varietà diverse di verdure cotte e simili amene ricette. Anche se am- mantate di stile futurista, è roba che sente di vecchio estetismo, di arte da decadenti, che ricorda il vecchio Huys. mans della prima maniera. Il vero antidoto alle malefatte ne- cessariamente connesse con l'agitata vita odierna è il ritorno alla semplici- tà: semplicità di gusti e di maniere, espressione di quella sana gioia di vivere che non ha bisogno di ricet- te per gustare un buon piatto di pa- sta asciutta (1), allietata dal rosseg- giante pomodoro delle nostre terre, una bistecca, un cespo d'insalata ed un giocondo bicchiere di vino. La poesia e la musica che l'acca- demico Marinetti vorrebbe come in- gredienti per «accendere i sapori», non sono necessari per ehi ha il sano appetito dell'uomo sobrio che lavora; ed appartengono ad una categoria di godimenti spirituali elevati che mal si mescolano col piacere del mangia- re e si disturbano reciprocamente. Ogni cosa a suo tempo e « suo luo- go: la pasta asciutta e la lirica! Aggiungiamo che, se alcuni popoli civili, come il nord-americano, l'in- glese e il tedesco, conoscono piuttosto alla lontana 1 maccheroni e, in genere fanno poco uso dei nostri cibi farina- cei., anche di pane, sopperiscono al bisogno di idrocarbonati con un lar- go consumo <y patate e, sovrattutto, di dolci, i quali, dai lato fisiologico sono generalmente meno raccomanda- bili dei farinacei, poiché impongono alle isole di Langerhans e al paren- chima epatico un sopralavoro improv- viso, che col ripetersi frequente può esaurirli: da ciò, forse, l'incremento del diabete e il graduale prevalere delle - forme giovanilii, gravissime di questa malattia. Vogliamo ancora ricordare che i Romani, durante il periodo in cui an- dava affermandosi la loro potenza. era- no consumatori di cibi farinacei, in particolare di farro e legumi, il eh» non toglie che dimostrassero una at- tività prodigiosa e una straordinaria agilità mentale e che fossero in gra* do di creare una civiltà delle più per. fette e raffinate — pure in mancanza dei mezzi meccanici odierni — e di conquistare tutto il mondo allora co- nosciuto. A. Filippini fegoat (1) Della campagna contro la pasta asciutta, aperta e combat- tuta dal nostro eimnente amico Marinetti, si occupò largamente La Cucina Italiana a suo tempo anche con un importante Refe- rendum. fra i più illustri Clinici, irìE-i'ologlcis, universitari, ecc. I - N. d. R.). E S A M I N A T E B E N E LE C I MO S S E ' P AR L ANTI Leggete e "La Cucina 55 Il signor Lerati aveva appena aperta la porta di casa, che un grato profumo lo solleticò viva- mente. Egli sorrìse, deglutì,, e, in- vece di fermarsi, come soleva, nel- l'anticamera a sfogliare il gior- nale del mattino, entrò difilato in cucina. La signora Lerati lo ac- colse molto cordialmente; tuttavia gli disse: «Vai, vai, caro, questo «paté» ha bisogno ancora di as- sidue attenzioni... ». Ma Lerati vol- le prima alzare il coperchio della teglia di alluminio che splendeva sul fornello a gas esclamando: « Soave, soave... Raimondi andrà in sollucchero ». A questo punto trillò il campanello del telefono e Lerati si precipitò in antica- mera. Dopo pochi minuti riappariva sulla soglia della cucina con un viso, da funerale. — Lucilla, Raimondi non viene.. — Non viene? La signora Lerati spalancò i suoi occhi grigi, che un dì erano stati belli, e rimase con il mesto- lo alzato in aria in un atteggia- mento statuario. —Mi telefona sua moglie per av- vertirmi che arriverà con il tre- no del pomeriggio, per improvvisi impegni... Un silenzio di tomba calò sui due coniugi: s'udiva appena il frusciare delle ali del cardellino che si moveva irrequieto nella gabbietta appesa al davanzale. Es- si avevaio preparato quei pran- zetto con qualche sacrificio, biso- gna confessarlo, e l'avevano cura- to nei particolari con un'attenzio- ne straordinaria. Il «paté impe- riale» era un piatto costoso, un piatto che richiedeva la più scru- polosa confezione e la più scrupo- losa sorveglianza. Il giornale ga- stronomico « La Cucina Italiana » nella sua ricetta raccomandava: «a fuoco lento, trenta minuti, in- di.... ecc. ecc. ». Ed ecco, all'ultimo momento, che l'invitato non po- teva venire! Lerati facev aun in- vito all'anno, ma quella volta ci teneva, gareggiando con i cono- scenti e colleghi d'ufficio, che spendevano un terzo dello stipen- dio in inviti. Lerati si scosse e con voce fon- da disse: — Bisogna rimediare. Non è ammissibile che abbiamo speso cinquanta lire così, senza che nes- suno se ne accorga... — Invità Lamé... — suggerì la signora. — Bene, brava, inviterò Lamé... E Lerati si precipitò al telefono mentre sua moglie si chinava con tenerezza materna sulla teglia lu- cente del pasticcio di fegato. — Siete voi, Lamé? Pronto, pronto. Lamé? Si, sono io, Lerati. Mia moglie ed io vi abbiamo pre- parato una sorpresa. Volete veni- re a pranzo da noi, fra un'oretta? Come? Perchè non ve l'ho detto prima? Una sorpresa, caro mio, una sorpresa. Non potete venire? Aspettate un invitato? Vostro suo cero? Ma ditegli che... Vi prego, Lamé, vi prego. Proprio no, pro- prio no? Ebbene, amen, caro La- mé. Mi date un dolore, un grande dolore... Lerati riappese il ricevitore e se- dette accasciato sulla poltroncina. Triste destino! «Lo mangeremo noi due... » pensò. Ma il pensiero che il « paté » era invece suffi- ciente per tre persone, e che la parte della terza non avrebbe a- vuta la preveduta destinazione, gli s'infisse come una spina nel cuore. Ma una nuova idea lo illu- minò: «Invito Besana. Costui vie- ne di corsa. E parlerà del « paté » in ufficio, al caffè, per le strade ».. Lerati chiamò al telefono Be- sana. , — Signorina, mi dia Besana, Giacomo Besana... Sì, Besana... sa- na, sana, non sona. A, a, a, per- dinci... Ma lei scherza, signorina... Non capisce? Io telefono benissi- mo, sa, e da quando lei non era ancora nata. Besana, a come a- more. Macché onore! Amore, dico, amore, amore... ». E la voce di Le- rati si fece melliflua, strisciante, per contenere tutta l'ira che sta- va per scoppiargli in petto. In quel mentre un grido lo fece vol- gere. La signora Lerati era sulla soglia in atteggiamento minac- cioso. — A chi telefonavi, a chi, dim- mi, rispondimi. — A Besana. — Ah, sì, veramente? E lo chia- mi amore, amore, amore Besana? E poi, perchè a Besana? E poi, perchè a Besana? M'avevi detto che avresti telefonato a Lamé. A poco a poco la voce della si- gnora Lerati, da roca che era, di- venne fievole, fievole, sinché finì in un singulto. Al singulto seguì un fragoroso sbattere idi 1 porta, poiché la signora Lerati si era ermeticamente chiusa nella sua camera, gridando: «Traditore, in- fame...». Egli era rimasto col ricevitore appiccicato all'orecchio. Il suo vi- so era l'espressione più sublime e perfetta della costernazione e dello stupore. Fu la voce di Besa- na a scuoterlo: «Sei tu, Lerati...». « Sì, sono io. Vieni a pranzo da me, subito; ti abbiamo preparato E, senza aggiungere altro, Lera- ti riappese il ricevitore e corse da- vanti alla porta della camera di sua moglie. «Lucilla, ti supplico, sii ragionevole... Ti giuro, è un e- quivoco. Lucilla... ». Nessuno ri- spondeva alle invocazioni del po- vero Lerati. Egli si sedette sull'ot- tomana e restò cinque minuti con il capo tra le mani, immerso nei più lugubri pensieri. Ad un tratto dall'uscio della cucina rimasto a- perto, giunse alle orecchie dì Le- rati il rumore d'uno sfriggolìo vio- lento. «Il paté...». Lerati si alzò agitato, non sapeva se correre in cucina o invocare l'intervento di sua moglie. Corse in cucina, solle- vò il coperchio della teglia d'allu- minio e subito si sprigionò un fu- mo bianco e profumato. Era giun- to in tempo, grazie a Dio. Ma era quello il momento giusto per tirar giù dal fornello il pasticcio? Il dubbio lo fece trasalire. Egli sapeva che il tempo fatale era di trenta minuti, come inse- gnava « La Cucina italiana », non un minuto di più, non un minuto meno. Erano scoccati, stavano scoccando i trenta minuti? Ritor- nò in un baleno davanti alla par- ta chiusa. « Lucilla, vieni? Ti spie- gherò, Lucilla; ti giuro che sono innocente... ». Ma il silenzio, il nulla, seguiva ai suoi appassionati richiami. Al- lora Lerati si fece coraggio e dis- se con voce patetica: «Lucilla, dimmi almeno se devo spegnere il fornello a gas...». «Traditore», ri- spose secca la voce della moglie. Lerati, in altre circostanze, non avrebbe osato più aprire bocca, rinviando le spiegazioni a un mo- mento più sereno: egli amava sua moglie, infatti, e soprattutto la te- meva. Ma questa volta il coraggio della disperazione gli fece uscire dalla bocca nuove parole som- messe: — Lucilla, aspetto Besana. Be- sana sta per giungere. Vieni, se non per me, per lui... Lucilla, Lu- cilla... Devo spegnere il fornello a gas? Un oggetto tirato contro la por- ta dalle mani robuste della signo- ra Lerati interruppe l'orazione di suo marito, provocando un'eco lu- gubre e lunga che dominò tutta la casa. Lerati stava mettendosi le ma- ni nei capelli quando trillò lunga- mente il campanatilo della porta. « Ecco Besana » disse tra sé Le- rati. E andò ad aprire. Non era Besana, bensì Lamé :«Mio suo- cero vien domani, sia lodato il cielo. Appena ne ho avuto notizia, mi sono precipitato da te, caro Le- rati. E grazie, grazie della gentile Idea. Come sta la signora? ». Lerati forse avrebbe risposto, malgrado la emozione che lo a- veva assalito, tanto da farlo re- stare inchiodato sulla soglia, se due voci ben note dal fondo della scala, non lo avessero chiamato provocandogli uno choc nervoso: «Lerati, Lerati...». Besana e Raimondi stavano sa- lendo a braccetto le ecale. — Sono arrivato adesso adesso — disse Raimondi. — mia moglie non m'aspettava che oggi, inve- ce... Bravo Lerati. Ho incontrato Besana qui all'angolo. Oh, Lamé, evviva, anche tu... ». E 1 tre amiei del nostro povero Lerati, si scam- biarono, davanti all'ospite impie- trito, le più calorose effusioni di questo mondo, mentre 11 «paté imperiale» stava lentamente, ma implacabilmente^ caitenlzzanidosi nella lucente teglia di alluminio. ANTONIO DANTARA. La (avol allegr Tre storielle Un contadino va per la prima volta in una trattoria quasi di lusso, pen- sando : — Sono stanco di mangiare soltan- to patate e fagioli... Oggi, giacché mi ci son messo, mi voglio regalare qual- che cosa di squisito. E cercando una ispirazione, va a sedere presso un tale che aveva mangiato una zuppa di fa- gioli. Capita il cameriere e quello dei fa- gioli gli ordina: — Ripetete! Il contadino, tra sé: — Ripetete deve essere una buona pietanza!,.. E ordin a a sua volta; Quale delusione, poveruomo! quan- do si vide servire i disprezzati fagioli! — Ripetete anche per ma-, * * » Ohi sa che cosa siano I fegatelli (e chi non lo sa?) è in grado di apprez- zare in tutto il suo valore la seguen- te deliziosa esclamazione d'una bimba innanzi a un albero di lauro: — Mamma!... mamma!... lo vedi l'al- bero del fegato? * * * H seguente veritiero episodio risale agli anni della grande guerra. Un giorno una diecina di ufficiali tornavano da una ricognizione. Erano sudati e famelici. Il cuoco era nuovo perchè quello precedente era stato congedato: non avendo ancora troppe cognizioni e mancando del consiglio del direttore di mensa che aveva do- vuto seguire i compagni, il cuoco nuo- vo si era impegnato solamente per la pasta asciutta. Il locale di mensa era ancora vuoto, ma dalla cucina veniva un fumo denso con un acre odore di bruciato. Gli ufficiali vi accorsero e videro il cuoco navigante tra il fumo, in un assalto di tosse e di sternuti. —.— Cos'è? Un incendio? — Signor no. E' la pasta asciutta. E' quasi pronta. Perchè fosse veramente asciutta e- gli aveva pensato bene di metterla sul fuoco nella marmitta senza una goc- cia d'acqua. Questo grazioso aneddoto l'ho rita- gliato molti anni seno da un giornale del tempo. MICCO SPADARO Sette storielle La padrona. — Giuditta, oggi che abba-mo invitati, volete che vi aiuti un poco in cucina? • La cuoca. — No, signora, grazie, ho troppo da fare. * • • Il cameriere. — "Tutto non le va be- ne? La vedo così pensieroso. Il cliente. — Meditavo se io divente- rò mai così vecchio come questo pollo; * * * Non si creda che gli antropofaghi manchino addirittura di riguardi ver- so le persone a cui fanno l'onore di sceglierle a loro nutrimento. So che alcuni, avendo catturato un giovane olandese, prima di cucinarlo gli domandarono con ogni deferenza, a qual salsa preferiva essere man- giato! • « # Una signora appartenente alla So- cietà Protettrice degli animali, men- tre mangiava una costoletta d'agnel- lo, diceva: — Ma come hanno il coraggio dì ammazzare questi agnellini? E il' cuoco; — Avrebbe 11 coraggio di mangiarli vivi? * » » La mamma, minacciosa, al barn» bino; — Qui c'erano tre fette di schiac- ciata. Ne manca una... Chi l'ha man- giata? — Io, ma le altre due non le aveva mica viste! • * » Un buon parroco assisteva ad un copioso pranzo dj nozze. Ad ogni pietanza alzava il bicchiere, dicendo : — Con questa, bisogna bere buon vino! E si ripeteva, si ripeteva fino alle fratta. Uno gli domandò: — Ma con che lei fiCii beve vino? — Con qualsiasi acqua. * * * La caccia è uno degli esercizi più atti a rendere pazienti e robusti. Ho conosciuto Un fcaefiiatare del più distratti. Portò con sè una quantità di pol- vere è non riuscì a prendere il piti pìccolo volatile. Su la sera si accorse di una lieve dimenticanza. S'era scordato di por- tare il fucile. JARRO Chi non conosce in Italia uno dei più celebri tra i celeberrimi libri di Umberto Notari : La don- na « tipo tre »? Ci piace riportare in questo giornale — che vuol ravvivare nella donna la cura della cucina casalinga, l'amore ai fornelli — la descrizione che il genialissimo Autore fa dei pasti di questo nuo- yo tipo di donna. Come « nuovo tipo » ? Ce lo spiega il Notari : « La donna « tipo tre » e colei [« che dai proventi^ del proprio o- « notevole lavor.o trae i mezzi di ;« sussistenza e si trova di fronte .« all'uomo — padre, fratello, ma- « rito o amante •— in condizioni ;« di assoluta indipendenza econo- « mica. « E' inutile figgersi nella men- '« te la precisa definizione di una « figura di donna che non era ;« mai esistita e che è nata nella ;« seconda metà del secolo dician- ;« novesimo. « Si è denominata « tipo tre » '« la nuova donna per distinguer- vi la dai due tipi emersi in tutte ;« le epoche e da tutte le civiltà, e & cioèi « la donna « tipo uno », os- « sia la madre, la sposa, la figlia, « intenta alla casa e alla famiglia « secondo il più alto concetto re- fi ligioso ed il più austero costu- « me civile, ma tuttavia soggetta « moralmente ed economicamen- « te all'uomo, capo della casa c « della famiglia medesima; « la donna « tipo due », va- « le a dire la donna zoologica, « la femmina del maschio, la te donna senza legge e fuori di « legge, rimasta tale o che tale ri- « mane per il suo e per l'altrui a piacere ». Veniamo, dunque, alle pagine che intendiamo riportare : « * * Non è consigliabile accettare un invito a pranzo tutte le scienz un invito a pranzo presso una fa- miglia nella quale la padrona di casa sia una « tipo tre ». Le necessità della vita possono spingere le donne « tipo tre » ad apprendere tutte le scienze; ma una rimane costantemente sacrifi- cata: la gastronomia. Il problema alimentare, nono stante i trionfi del motore a scop pio e l'apoteosi della radiotrasmis- donna * tipo tre $ ? sione, continua ad esercitare una ragguardevole influenza sulla vita del genere umano; ma la donna « tipo tre » non se ne dà la mini- ma preoccupazione. Sino dai primi passi della sua carriera, vale a dire sino dai quat- tordici o quindici anni, si è av- vezza a* digiunare, o quasi. Latte, the, caffè, biscotti, cioc- colata, uova, frutta, insalata, sa- lumerio, sono gli ingredienti con- suetudinari delle colazioni, dei pranzi e delle cene di una « tipo tre » nubile. La vita d'ufficio non le permet- te di familiarizzarsi con l'arte di preparare un intingolo. La cucina è un locale presso- ché inutile. Quelle che non coabitano con parenti, stanno in camere mobi- liate o, secondo i mezzi, in mo- destissime pensioni. Le più audaci o le più ghiotte si spingono nelle rosticcerie, nel- le pasticcerie o in qualche risto- rante ad hoc. Il grande successo della indu- stria delle conserve alimentari, del brodo in dadi, del latte con- densato, delle uova in polvere, della carne in barattolo, del pe- sce in astuccio, delle salse in tu- betto, della verdura in iscatole, della frutta compressa in mar- mellate, è dovuto, in buona par- te, alla donna « tipo tre ». La quale arriva al matrimonio in uno stato di « verginità gastro- nomica ». L'inquadramento e l'impiego delle teglie, delle pentole e dei fornelli viene di conseguenza ce- duto ,senza limitazioni, a una do- mestica che, nella maggior par- te dei casi, dell'arte di arrlman- nire il desinare, sa tanto quanto la padrona di casa. I medici segnalano da tempo il diffondersi delle affezioni del- l'apparato digerente e il rapido deterioramento di quei pezzi di « meccanica fina » che in anatù- , r v . . • • u m m » . A . —¡ rtimii k * k • • Uà ÊL S M f l l f l k m. A ..Mk fi MmPx-í •••r'xm- mia si chiamano: stomaco, pilo- ro, colon, cistifelea, ecc. Le nevro- si gastriche vanno di pari passo con le psicastenie; e le malattie del ricambio, attaccano uomini e don- ne a cominciare dai quarant'anni. Con l'idroterapia e la « sporte- rapia » si cerca di combattere il precoce avvizzimento degli orga- ni di digestione e di locomozione che la vita moderna rende, di giorno in giorno, sempre più i- nerti. Ma la scienza non si è soffer- mata che molto superficialmente sul continuo regresso dell'arte di cuocere un pollo od un cavolo; regresso che coincide con l'avan- zata della « tipo tre ». D'altra parte, chi può biasi- marla? Dove e quando la « tipo tre » potrebbe apprendere una compe- tenza di cucina? Impiegata, commessa, operaia o professionista, essa non può a- vere nè il tempo, nè la voglia, nè la convenienza di approfondire cognizioni intorno a una neces- sità e a un istinto, ch^solamente le grandi civiltà umane nei perio- di di maggiore splendore hanno potuto e possono elevare a digni- tà di scienza e a raffinatezza di arte. La civiltà del Novecento è una civiltà meccanica molto lontana ancora dal suo zenith. E ' quindi naturale che a gra- do a grado uno dei più grandi pa- trimoni umani — la sapienza del- l'alimento — frutto di esperien- ze millenarie, trasmesso di gene- razione in generazione, di lare in lare, di madre in figlia, nella casa opulenta e nella casa povera, va- da spegnendosi. Dove più vivo e più denso è il numero delle donne « tipo, tre », più automatico, più chimi- co, più elettrico, più diabolico è il commestibile. Forse verrà il giorno nel quale una buona, semplice, sapida e profumata cucina alla « casalin- ga » non si troverà più se non presso la donna antropofaga dei Niam-Niam o dei Caraibi. UMBERTO NOTARI Abbonatevi a! il GIORNALE dela
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