LA CUCINA ITALIANA 1933

N. 1 - 15 Gennaio 1933-3? LA CUCINA ITALIANA Pagr. 7 2 P R E P A R A Z I O NI | ^ N 1 BVSTALOGO- I FLACEON L4L4 ribasso s% C«tmo«M ai • MAGNAESI S. PELLEGORIN Ot tutto ( T t f iwumm* ( «n otnms purgar»»« p*r gli Hu l d • per » baiti!>>ni. Futile <1* digerirà, rwset un «dallo rintra. »eanta a disinletiante dallo »tomaco • dall'intattino, «i atam» «òri sarletumant« in «equa • latta, non Impatta la tocca. pose.- COKE POROMITfc : Wn cuccniai» COWE RkWBESCAMVa : Un cucchiaino ocn» mattWO« L i r e 0 , 6 0 Flacone piccalo Lift 4.40 — FUcpnt grand» Ua» 8.60 Rlto'.are ta cartine che non portano tuli* chluasra la Macca «Q fabftrtea ( icfrine) CO« »Opre U firma prode!. - - - - - i. «art» COMPOSIZIONE, fiiosntttoetsitb idrato «0*», • iseeoiwrft» »•/• « Laboratori Chimoic Farmaceuotic Modeorn MILANO - Vi» L. Ostelvctro, (7 A CUCINA SAGGIO DI ECONOMIA A ROMANZO di U M B E R T O N O T A R I — Insomma, Nando, finiamo- la. Vorrete ammettere che il col- po è forte e che a un simile affron- to non si può rimanere indiffe- renti. — Ah, no davvero! — Una reazione, una rivalsa, una risposta qualsiasi s'impon- gono. — Senza dubbio. — Che cosa fareste voi al mio posto? — Non oso rispondere. — Non fate il prezioso. — Avrei un piano. — Esponetelo. <— E ' inattuabile. • — Perchè? —- Domani me ne vado. •— Ditemi il vostro piano. — A che prò ? II signore lo re- spingerebbe. — Vi prego di non mettere anticipate ipoteche sulle mie de- cisioni. Parlate. •— Si tratta di un convito. — Un convito? — Alle maggiori personalità intelletuali di Roma, con largo intervento, bene inteso, di rappre- sentanti della stampa; un due- cento coperti... — Nando, voi dovete aver perduto la bussola. Mentre mi si attacca per le prodigalità dei miei pranzi, voi mi proponete di offri- re un altro banchetto e più fastoso dei precedenti. — Sì, signore. — Andate! Non posso tolle- rare più oltre le vostre manìe. — Il mio piano non è tutto qui. — Ah, c'è una seconda parte ? — Molto importante. — E consisterebbe? t — Consisterebbe nella mia partecipazione a tale banchetto, in qualità di invitato. — Come sarebbe a dire? — Semplicissimo, signore. De- sidero sedere a tavola con gli in- tellettuali. — Voi? — Sì, signore. A mio modo, credo di essere un intellettuale io pure. — Tutto ciò è grottesca •— Nessuno mi riconoscerà. Se il mio nome è celebre, la mia per- sona fisica è pochissimo nota. Na- turalmente sarò in abito da sera, il che renderà difficile la ricostru- zione della mia identità. Comun- que,dò la mia parola al signore che nessuno mi riconoscerà, nem- meno quando, durante il banchet- to, l'attenzione dei convitati con- vergerà su di me. — Nando, scherzate o parlate Sul serio? — A un certo punto mi alzerò per prendere la parola. — Voi prenderete la parola? —• Per confutare una per una le insigni cretinerie de! signor De- mos Grattaròla. — Chi è il signor Demos Grattaròla ? — Il direttore del Silurante, autore dell'attacco. — Come lo sapete? L'articolo non è firmato. — Lo stile è l'uomo: conosco l'uomo; il quale dovrà sedere non molto lontano da me per meglio udire le mie argomentazioni. — Come?! Quel cialtrone in casa mia? Fra i miei ospiti? Alla mia tavola? — Sì, signore. — Mai! Intendetemi bene: mai! Pazienza per il banchetto agli intellettuali; intuisco la poli- tica di questa mossa. Pazienza per i duecento coperti; vada anche la vostra partecipazione, ma trovar- mi faccia a faccia con il mio insul- tatore e accoglierlo, per dovere di ospitalità, con un sorriso e, maga- ri, stringergli la mano, questo sor- passa il segno. — Il signore ha perfettamen- te ragione. Difatii, nel mio piano, la presenza di vostra signoria al banchetto non è contemplata. — Ah, no?! Avete una singo- lare concezione delle buone re- gole conviviali: vi pare possibi- le che chi offre un banchetto non debba assistervi? — Ho molto riflettuto su que- sta circostanza; ma ho dovuto con- cludere negativamente. •— Volete avere l'estrema bon- tà di dirmene le ragioni ? — La prima è una ragione strettamente mia personale. — Non ne dubitavo. — Sedere alla stessa tavola, alla quale siede il padrone, mi pare, per un servitore, chiunque esso sia, un eccesso di confiden- zialità che non potrei in alcuna maniera ammettere, nè giustifi- care, nè perdonare; il rispetto al- le gerarchie e alle distanze in- nanzi tutto. — Proseguite* — La seconda ragione e ap- punto quella intravveduta da vo- stra signoria: l'incontro del dif- famato con il libellista, il possibi- le contatto diretto, il disagio evi- dente, la fortuita scintilla, il pro- babile scoppio. — Dite benissimo. — Una terza ragione consiste nell'ora in cui dovrebbe aver luo- go il convito. — A quale ora ? — A mezzanotte. E' l'ora in cui la maggior parte degli uomi- ni d'arte e di pernierà è più intel- ligente. Inoltre, per non aver ta- vole funerarie, nel mio piano è ravvisata la opportunità di esten- compiacciono di ascoltare con fac- cia di bronzo lodi sperticate rivol- te alla loro persona, così mi pare ovvio non assistere; se il convito non riesce... — Sta bene; non assisterò. — E allora? — Allora, che cosa? — Il signore si ricorderà che domani parto... — Voi mi farete il santo pia- cere di restare. Piuttosto rispon- dete a una mia domanda. Mi è venuto un dubbio. — Quale? — Credete voi che il mio in- vito sarà accettato da quel libel- lista e ch'egli oserà presentarsi... — Stia sicuro : egli è capace di ben altre « tolle ». — Sta bene; a quando la cena ? — Fra una decina di giorni... Una preghiera, signore... ....— Dite. •— In occasione dei pranzi che il Signore si è degnato di offrire a ministri, ambasciatori, banchie- ri e tanti altri illustri uomini, io ho sempre eseguito' con il più grande scrupolo, così, almeno, credo, le istruzioni impartitemi. Questa volta, trattandosi di un convito, per così dire « polemico » domando catta bianca. — Vale a dire? ri conversazioni di tavola solita- mente scipite. Occhi, occhiali, occhialetti, monocoli dardeggiano la provoca- trice, seduta fra sua eccellenza Gigetto Mazzacorati e il decano delle stampa romana. Un lungo trillo di soneria fal- cia il chiacchiericcio. Su un ampio quadrante infisso fra i magnifici arazzi della parete centrale, appare una segnalazio- ne luminosa a caratteri bianchi e rossi leggibilissimi dai punti più lontani del salone. I convitati compitano a mezza voce la dicitura: PREFAZIOE N : Aperitivi silvestri - Arzenti di lambicco — Tonici, peptici, ama ri, pimenti e lepidezze di incita- mento al ben fare. Durante la « prefazione » : Scarlatti - Toccata in sol minore. Dalle porte del fondo sbucano nugoli di svelte serventi cariche di vassoi. I visetti sono freschi, il costu- me ampezzano sgargiante di co- lori festosi, i vassoi colmi di cara- fe, fiale, vasetti, barattoli di con- tenuto misterioso. Scoppia un battimani nutrito. L'atmosfera volge alla ccmten- t 7 . . . . . tentezza e alla curiosità fanciul- — Vostra signoria non si fida ¡ c s c a di me? — Mi fido, mi fido; ma la spesa... — Il giuoco vale la candela: vedrà. Capitolo dodicesimo -Banchetto agli intellettuali A una delle ultime tavole un signore stringato nella marsina ri- mane impassibile. E ' Nando. I suoi occhi seguono con appa- rente indifferenza lo svolgimen- to del servizio che procede con ra- c o I ] a s f i d a ! pidita, nonostante 1 ampiezza de- 1 gli assaggi e delle scelte, gli inter- rogatori e le investigazioni, che gi la spigola: un poema, glielo assicuro. Mi fa pensare a Byron. Che spigola! Mai mangiata in vi- ta mia una spigola simile. Que- sta non è cucina, è Urica, creda a me. Io sono l'autrice di Olocau- sto. Conosce i miei versi ? Mi chia- mo Ofelia Lorenzini. Nando risponde con cenni im- percettibili. Non ascolta. La sua attenzione è puntata verso il di- rettore del Silurante, che siede all'altro lato della tavola e parla sottovoce, sogghignando, al vici- no che ha un barbone tondo, scu- ro e arruffato come quelli che si usavano nelle antiche Camere del Lavoro. Le lame dei coltelli impugnati come roncole brancicano con vi- gore nel colmo dei piatti per por- tare, fra le battute del dialogo, onusti bocconi alle fauci dei due commensali che alternano la manducazione parlata e il cozzo dei coltelli nelle stoviglie con grosse sorsate, schiocchi di labbra e strofinature alle gote con il to- vagliolo infilato nel colletto. Nando freme, ma si domina per tendere l'orecchio. — La latitanza di Svampa non mi stupisce. — Fifa. — Supponeva che non avrei accettato il suo invito. — Parlerai lo stesso? — Sono venuto apposta. — Non essere violento. — Dirò quello che ho da di- re. Credi che non abbia capito che questo banchetto è una rispo- sta indiretta a me? Ebbene: rac- lone conviviale del palazzo Svam- pa presentano una ghirlanda di dieci convitati ognuna. I nobili colori dell'intellettua- lità virile, il rosa-calvo, il biondo- brizzolato, il grigio-colombino e il nero di giornata si alternano con le tinte cerebrali delle accon- ciature femminili : giallo-paglia dere l'invito a personalità di ses- di Firenze, miele congelato, oro A mezzanotte e un quarto l e . m o I t i convitati, anche fra 1 piU venti tavole ovali disposte nel s a - ! a u t o r e v o ! i > rivolgono alle ancelle so femminile: attrici, danzatrici, pittrici, letterate, insomma, una quarantina di signore, sufficiente- mente giovani, abbastanza educa- te e vestite. Penso che il signore, in siffatta compagnia si sentirebbe spaesato e stonerebbe un po'. D'ai- bianco, cera vergine, àcero, peach pine e altre fantasie. La luce aurata, vividissima, sgorgante non si sa di dove, è pie- na di magìa, che scalda l'ambien- te e sintonizza fidure, oggetti, sà- gome, voci, gesti, occhi bistrati, tra parte l'ora tarda giustifica pie-, seni esplorabili, sparati pletorici, namente il non intervento di vo- torsi nuche addomi, epe, mani, stra signoria, che si compiace, an- zi, di offrire ai suoi amici la più liberale ospitalità, lasciandoli pa- droni assoluti in casa sua e facen- dosi rappresentare, per la forma, da un amico intimo, quale po- trebbe essere, ad esempio, sua ec- cellenza Mazzacorati. — Appunto, Mazzacorati : vo- levo dirlo; la scelta mi par giusta cristalli, faenze, argenti, fiori. Una bizzarra imposizione del- l'anfitrione ha stimolato l'aspet- tativa dei convitati, che hanno dovuto deporre al guardaroba, in- sieme ai mantelli, ai cappelli, ai bastoni, anche gli orologi. « A tavola il tempo non si con- trolla, perchè non si perde » av- verte una epigrafe incisa a larghe Infine, esiste una ragione lettere su una targa di bronzo sorridenti, premurose, ma tetra- n i quarta, che a me pare notevolis- sima. — Ed è? — Questa: o il convito riesce o non riesce. Se riesce, esso si ri- solve in una apologia dei principi propugnati da vostra signoria e poiché la signoria vostra, per la sua semplicità e il suo buon gu- sto, non appartiene certo alla ca- tegoria di quelle persone che si esposta nell'antisala. — Tanto meglio — ha rispo- sto un'attrice celebre per la bel- lezza e lo spirito — i miei amici consulteranno altrimenti la loro ora. — E si è tolta una giarret- tiera, recante uno di quei minu- scoli orologi che le signore por- tano comunemente legati al polso. L'epistilio narrato di bocca in bocca, ha pimentato le prelimina- go La soneria lancia un secondo avviso. Sgranocchiando e sorseggian- do, i convitati leggono: PRIMO CAPITOLO: Educande del Fusaro (ostriche di vivaio) - Zitelle di mare (arago- ste) su divawstti di erbe aromati- che - Scugnizze di torrente (tro- te) palpitanti in burro montanino - Spigole del Tirreno discinte con séguito di giovincelli di primo gu- scio {gamberi) e di olive farcite. Chiaretto soave di Verona - Bianco asciutto di Capri - Vernac- cia del Tirso - Rosato frizzante di Santa Giustina. Durante il primo capitolo : Be- nedetto Marcello - Cantate. Crocchiano nuovi applausi. L'animazione si accentua al- l'entrata delle fanti. Le austere armonie marcellinia- ne che l'orchestra invia da una sala contigua, consigliano il rac- coglimento. Nando tocca appena le vivande che una servente gli offre. Una poetessa sua vicina che in linguaggio pugilistico sarebbe de- finito « un peso massimo », rive- la una forchetta passionale. Nelle brevi pause concesse alla morsa delle mascelle, la passione diventa verbo. — Io non mangerei che pesce. Questa aragosta è degna di un ode, Lei non ne prende? Assag- Uno scoppio di interiezioni in- terrompe lo scambio. Sul quadrante di segnalazione scintilla un nuovo annuncio. SECONDO CAPITOLO: Quisquilie di bianco di pollo in brodo refrigerato - Mazzolini di spaghetti alla chitarra in intingo- lo di Bologna - Cammei di riso al latte di piselli - Punte di asparagi in crema d'orzo - Bacche di fega- to grasso in foghe di lauro. Albana solatìa di Romagna - Fulvo d'Orvieto - Ambrato ama- bile di Frascati - Topazio sulla vena di Grottaferrata. Durante il secondo capitolo : Baldassarre Galuppi: Arie dal « Filosofo di campagna ». — Ci saranno molti capitoli in questa specie di romanzo gastro- nomico? — domanda la celebre attrice a S.E. Mazzacorati. — Non posso dirvelo. — Perchè? — Perchè non lo so. — Bel modo di rappresentare il padrone di casa. — Vi affaticano forse le let- ture? — Mi preoccupano tanti vini. — Temete per la testa? — Non per me. r— Si dice che abbiate un de- bole per il giornalismo. Si dice uno solo? Fate attenzione: il diretto- re del Corriere Nazionale ci guar- da imbruttito; o non gli piacciono le bacche di fegato grasso o crede che io vi stia facendo la corte. Vi sta divorando con gli occhi. — Non mi dispiace di essere divorata. Non sono gli antropofagi che mancano questa sera. — Sarebbe un Nyam-Nyam anche vostra Eccellenza? La replica si perde nel brusìo e negli applausi rivolti alle arie del Galuppi che l'orchestra invisi bile eseguisce con mirabile brio. — Stia buono, maestro! — redarguisce una architetta dagli occhi moschettieri. — Mi lasci vedere le sorprese del terzo capi- tolo. Il « maestro » che ha un paio di lenti ipocrite e scrive « roman- zi gialli » alla moda americana, si fa rosso e legge forte per pren- dere un contegno. Sfogliatine ripiene di ironie al la finanziera • Prosciutto friulano crogiolato nel passito di Siracusa • Epigrammi di lingua di gioven- co alla napoletana - Cotolettine di vitello in teglia con cuori di carciofi primaticci - Lombi di le- protti in condimento di spezie. Rosso di Artimino - Arrubi- nato di Pontassieve - Granata di Poggibonsi e altre vecchie glorie del Chianti. Durante il terzo capitolo : Ci- marosa - Cabalette. — Dove andremo a finire? commenta la poetessa, girando gli occhi inteneriti dal quadrante elettrico al busto di Nando, sem- pre stecchito nell'amido del suo altissimo colletto chiuso. Mah... — risponde Nando evasivo. Mi hanno detto che è an- che un bell'uomo. — Chi? — Svampa. 0 — Già. — Quale cuoco! — incalza Ofelia Lorenzini regalando una Capitolo tredicesimo. L ' , dall; uomo ia maschera nera — Leggete voi, Mazzacorati; non vedo bene; fa molto caldo qui dentro. Che dice il « quarto capitolo » ? — Lonza di vitello rosolata alla salvia. —- Ve l'abbandono. — Non vi piace il vitello?, — Se non è d'oro, no. — Perchè? Giocate in borsa? — Amo alla follìa il figlio di un banchiere. — Disgraziata; e non pensa- te alle conseguenze? — Quali? — Avete mai visto vitelli a corna ramificate? — Questa me la pagherete. Proseguite la lettura. Che altro c'è? — Croccanti di tacchino far- cito di pinoli, marroni e zibibbo dì Calabria. — Psst! — Che vuol dire « psst » ? — Che non ne mangio. — Oche di Vercelli allo schi- dione. — Psst. — Timballo di cardi di Chie- rì con tartufi d'Alba. — Uh che gioia I — 1 tartufi? — No, i cardi. — Perchè? — Mi portano fortuna. — In die modo? — Un episodio al debutto del- la mia carriera, — Comprendo. Credevo che sfogliatina alle sue atletiche man- i la tonaca si gettasse alle ortiche, dibole. Un cuoco simile, non è ! non ai cardi. un cuoco: è un semidio, un dio. — Il dio della cràpula — sber- teggia il direttore del Silurante rovesciando alcuni bicchieri con una gomitata impaziente. Nando non batte ciglio. Le teste dei convitati si rivol- gono verso il fracasso. Demos Grattaròla si alza e accenna a par- lare. Una voce dal fondo del salone taglia il frastuono: — All'erta! All'erta! Risate e grida s'incrociano. — Che succede? — Uno scocciatore a tribordo! — Ha il gozzo pieno 1 — Non vogliamo discorsi! — Stai zitto, Demos. — Più tardi, più tardi. J1 direttore del Silurante fissa con sguardi sdegnosi i vari inter- ruttori e muove le labbra per ri- spondere : ma il vicino dal barbo- ne gli tira la giacca per esortarlo a tacere. Grattaròla dà uno strat- tone furioso per liberarsi dal brac- cio temporeggiatore. Il barbone, duramente colpito, si impermalisce. — E piàntala! M'hai preso per un creditore? L'ilarità si propaga intorno ai contendenti, mentre il trillo lun- go e vibrato della soneria annun- cia il « quarto capitolo ». — Eccellenza, basta! — No; c'è ancora una proces- sione di arrosti e un corteo di sal- se e di insalate che non finisce più ; poi vengono i vini : « Raboso di Negrisia - Lambnisco di Sor- bara - Aleatico dell'Elba - Faler- no di Sessa Aurunca » e, come commento musicale del capitolo: Gesualdo da Venosa - Madrigali. — Volete la mia opinione sul festino di questa sera? — Sentiamola. — Io lo trovo eccessivo. — Secondo i punti di vista. — Come si può mangiare tanta roba? La maggioranza dì noi è abituata dalla necessità a una tavola più che frugale. — Nessuno obbliga prendere tutto ciò che viene offerto. La li- bertà di scelta è assoluta. Chi con- vita molta gente deve tener conto della molte/** cità e della diversità dei gusti. A voi non piace il vi- tello, a me non piacciono le oche. Voi preferite i cardi, io prediligo i tartufi, e così di seguito. Non conosco niente di più meschino dei pranzi e dei banchetti <- stan- dardizzati » che oggi si usano e nei quali le portate, tre o quattro al massimo, sono fisse per tutti, piacciano o non piacciano. UMBERTO NOTARI (Continua). NAVA Profumate ta biancheria, l'acqua dei bagno e delle abluzioni con questa deliziosa essenza di fiori alpini, SI vena« In tutte lo buon« profumerie e fermecle. Va assaggio e» ricevo inviando lire uoa lo francobolli alla Casa t . a . w i G f i i a e . * I MP E R IA O NEGL I A F

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