LA CUCINA ITALIANA 1934
ìa LA CUCINA ITALIANA N. 1 — 15 Gennaio 1934-X il laom al cuacin ael l as Eugenio Giovannetti, parlando da par suo nell'ultimo numero di questo giornale di un « fantasioso fritto, vario di profumi» che gli avevan ser- vito, non sò in che Natale, in una trattoria napoletana, dimostra che la cucina italiana « è ancora incantevo- le in quelle regioni in cui. respingen- do * grasso animale importato dai nomadi settentrionali, è rimasta fe- dele al suo genio vegetale più volte millenario » « Ritrovare nella cucina — soggiun- ge —• quest'essenza pura della terra, riempire ancora delia sua casta fra- granza la mensa e lo spirito, è un risalire alle cose più antiche d'Italia ed un riavvicinarsi d'improvviso ai •più forti ed ai più limpidi pensieri dei padri nostri». L'olio, dunque, è il genio della cu- cina italiana. Ma non s'intende. E vi capita ancora di trovare in cento ma- nuali di cucina, che le triglie arrosti- te sulla gratella, per dirne una, unte prima coli'olio in cui siano stempe- rati sale e pepe e una goccia d'agro di limone che vi aggiungo io, consi- gliandovi di pilottarle con un pò di rosmarino, quando non vi piaccia in- vece di aggraziarle appena, servendo- vi di un ramoscello di cotesta vian- ta silvestre per ungerle con quell'e- mulsione d'olio, devono poi essere condite con una salsa^ tatto di burro, prezzemolo e succo di limone. No. Ho detto un'altra volta che il pesce va cucinato all'olio, se non vo- gliamo che acquisti un altro sapore; ma non riprenderò la •yolemich.etta con quel nostro assiduo che mi dava ragione in parte, sembrandogli che la famosa sogliola sautée al burro — causa del dissidio — non dovesse but- tarsi via. Saranno raffinatezze che non coglie il mio palato, rimasto alla semplicità della cucina casalinga, la cui base è l'olio. Non sarà inutile insistere su que- sto argomento per un interesse che supera i nostri austi e le nostre per- sone. Più che alle nostre massaie, custo- di delle tradizioni della casa, vorrei parlare qui ai nostri trattori, nel lo- ro interesse. Perchè se il burro, in realtà, è entrato anche nelle nostre case, è ve-o sopratutto eh - i nostri trattori ne tanno spreco, mescolan- dolo a tutti i grassi animali, che se non ti rovinano lentamente lo stoma- co alterano la nostra saporosa cu- cina. IL fatto si verifica in cento paesi, non esclusi quelli della Campania fe- lice di cui ci parlava Eugenio Gio- vannetti e della stessa Toscana, dove la cucina s'imbastardisce per la in- comprensione di certi trattori moder- tissimi. capaci — ahimè.' — di ser- 0rti la classica bistecca con sopra un >rtefe>» di burro che dovrebbe insa- porirla di più. E' vero, invece, che quel burro la sciupa. Bisogna insorgere contro queste abitudini che non sono nostre; pro- testare in nome delle nostre tradizio- ni; dire forte ai trattori di tutte le regioni d'Italia ch'essi hanno il do- vere sacrosanto di non alterare le no- stre pietanze saporose e sane; richia- mare su queste forme di attentati al nostro buon gusto l'attenzione dei grandi trattori i quali trascurano la cucina paesana per un tipo di cucina internazionale buona per tutte le boc- che; dar loro la dimostrazione che il sistema è sbagliato; che le loro eco- nomie poco intelligenti allontanano i forestieri ch'essi credono invece di contentare ammannendo loro le soli- te patate sautées,, come contorno alla consueta fetta di carne incolore, la solita verdura unta di burro o di strutto, i vermicelli alla napoletana conditi con salsa dolce di pomodoro che ha perduto sapore e freschezza, i pesci arrostiti al forno o il fritto arrostito allo stesso modo dei pesci, per accennare soltanto alle pietanze più semplici e più comuni, ma che ri- chiedono proprio per questo un più intelligente amore. Se- il trattore ti serve un piatto di vermìcetii che non siano scolati allo- ra, un risotto ch'abbia messo le cor- na, un piatto di spinaci cotti prima e messi a strofinare nella padella quando li hai ordinati; frigga le pa- tate già lesse, getti sulla piastra in- fuocata della cucina la bistecca che volevi fosse arrostita sulla gratella; ti serva, alla livornese, quella triglia di scoglio che t'era sembrata viva fa- cendola rosolare un momento ver ver- sarvi poi la salsa già preparata peri un altro bollore, non è degno di eser- citare la nobilissima professione che lo arricchisce. Egli non ha U diritto, in nome del suo commercio, per i suoi fini di lu- cro, di disgustare il tuo palato e di offendere il tuo senso estetico. E\ quando si valga di cotesti sistemi con] gente di fuori, scredita il tuo Paese. I forestieri sono abituati a quella { cucina? Può darsi. Ma è altrettanto\ vero che se qualcuno li guidi, vanno' a rincantucciarsi nelle piccole osterie dove la cucina conserva come unj odor di casa e il vino è spillato dalla, botte. j Ma il tema, al quale dovrebbe tor- se interessarsi lo stesso Ente naziona-, le del turismo, non si esaurisce in un\ articolo. » i « C'è, dunque, una cucina nostra, ita- liana, varia e ricchissima, che dobbia- mo conservare e difendere da qualun- que contaminazione straniera. E' una questione di orgoglio. La cucina di un vopolf è le som ma di quanto operarono centinaia dh generazioni per la sua vita e la sua civiltà, e fa parte del suo patrimonio che deve essere tramandato. Possiamo e dobbiamo aumentarlo, ma non potremmo manometterlo sen- za venir meno a un dovere. I popoli hanno i loro eroi come han- no i loro costumi, le loro usanze e una loro cucina che serve anch'essa a differenziarli dagli altri. La cucina, insomma, è tutt'uno con la loro ci- viltà. C'è bisogno di aggiungere che la cucina italiana è tra le migliori del mondo?. La cosa ci sembra pa- cifica. Quando si dice che la cucina fran- cese è la più fina di quante se ne co- nosca, si dimentica che i nostri vici- ni hanno imparato da noi e che fu- rono italiani r— fiorentini — quelli che portarono in Francia la sapienza del cucinare. La cucina italiana non è la stessa da un capo all'altro della penisola: varia, anzi, da regione a regione e qualche volta da paese a paese. Il rostìno che fanno a Milano, pur es- sendo rosolato nel burro, non ha la stessa salsa aromatica del restino che ti ammanniscono certe massaie del comasco; così come la polenta the fanno a Venezia non è quella della Brianza pur essendo fatta nello stes- so paiolo di rame e con la stessa fa- rina di granturco. Si tratta spesso di sfumature che non puoi definire, di cui la stessa massaia non si rende ragione, ma che nascono da una sua oscura co- scienza. Un cuoco di cartello potrò, mandarti in tavola delle buone so- gliole fatte coi filetti di baccalà, ma
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