LA CUCINA ITALIANA 1934

2 • LACUCINA ITALIANA 1 Novembre 1934-XIII ^ K T O - O J ^ I 1 3 1 TORDATE OTTO — Hai dunque deciso di non ve- n i r e? — No: St ase ra no. Penso a quel suo aleat ico, v i vo come la luce di un rubino, ma ci s i amo g i à s tati due vol te, e cor r e r emmo il per icolo di ri- mang i a re i tordi al sugo con le oli- ve, che sono un obbrobrio. — Es age r i. — Può darsi. Ma senti una cosa: t u che stai qui tut to l 'anno, perchè non gli sugger i sci di comprar si uno spi edo? — Mah! Sost iene che la mor te del tordo è quella. .. — E a l lora se li mangi luì. — L' of fendi. — Ci torneremo un a l t ro giorno. Non mi t r a t t engo tut ta la s e t t imana? — Ci si v a doman i? — And r emo domani . .. Ton io mandò un r agaz zo da Ger- vas io a di rgli che sa r emmo anda ti a colaz ione da lui la ma t t i na dopo, e c i r i n t anammo tut t 'e due nel la can- t i na di Beppa, al la quale a v e v an por- t a to una mu r ena come le s t ana va lui •— Gi ovacch ino — uno di quei pesca- tori d' ist into di cui si v a perdendo la razza, nel l ' isola — quando gli veni- v a in mente d ' andare in mare. Cenammo da papi. Dopo una success ione di tordate, di cui a v r emmo f or se r i sent i to le con- seguenze più tardi, la mu r ena r i stabi- l i va un pò d'equi l ibrio. Beppa, che se si me t t e va a f r i gge- r e ti stordiva, aveva, quel la sera, su- perato sè stessa, e ci compensò del- l ' a l eat i co ge r vas i ano servendoci un vin bi anco pro f uma t o, vecch io di t re o quat t r ' anni, che non avevo mai be- vuto. — Beppa, me lo dici che v ino è que- s t o? — «An s o n a e a »: roba da s ignor i. — E ce n ' hai pa r ec ch i o? — Un ' a l t ra bot t igl ia. Non era il caso di r i vol ger le a l t re domande. Le due bot t igl ie d' ansona- c a sarebbero poi d i vent a te tre, se ce ne fosse s tato bisogno, ma guai a cont radi r l a. E r a una donna or igina- l issima. Pi cco l a, minut a, senza età, se le c ap i t ava un c l iente che non a- v e va mai visto, era capace di doman- darg l i chi ce lo a v e va por tato, in un paese dove i pescatori fiocinavano dal le banchine del molo o t i r avan la sc i abi ca da l la sp i agg ia per r imedi ar la cena; i mace l l ai v ende vano . c a rne di mammu t h, e gl i or tolani z appavano nel le bet tole l i t igando t ra loro un bicchier di vino. — Cosa vuol che le d i a? Vedrò, cer- cherò, tenterò, ma s a rà un mi raco lo se le r imedio la cene. R i pa s si t ra u- n a mezz'ora. .. E r a una sua mal izia. Vo l e va im- press ionare l ' avventore, per la gioia di stordirlo, poi, con un f r i t to di tri- g l ie come le mangi sol tanto su quel- l o scog l io — rosse, vive, coi ba f f i al- l'800 — e come sapeva f r i gge r le lei che supe r ava l ' ar te di tut t ' i cuoch i; quando non le pr endeva l ' estro d' am- manni r ti un suo r i sot to di ma g ro « coi f ega t i ni scappa ti » che s ape va di car- ne, o non r i cor r eva — u l t ima ra t io — a l tonno sott 'ol io, che f a c e va ro- sol ire in un t egame di t e r ra co t ta nel- l 'olio e te Io s e r v i va odoroso d' agl io e di rosmar ino, perchè in real tà, quel giorno, o non c ' era più carne a l ma- cello, o i pescatori z appavano a car- te con g l i ortolani. Con noi il s i s t ema era un al tro. — Beppa, che ci dai dopo la mu- r ena? Se vog l i ono anco ra del pesce ho in cuc i na un dent ice di un paio di chili... con un ' a l t ra bot t ig l ia d'« aii- sonaca ». — Fe rma lo per domani sera. O non si man t i ene? E por taci le cas tagne. — Toh! Gl iè le f ac c io anna f f i a re col v in novo. — No, Be ppa: ce lo darai l ' anno venturo: pr e f e r i amo que l l ' ansonacac- c ia ma g ra che bruc ia, odora, i n f oca le vene. Ch i udemmo la s e r a ta così, prepa- rando lo spiri to, con quel la c ena f ru- gale, per la l o rda ta di Gervas io, che c i accol se l ' indomani empi endo di fe- s ta la casa. E r a un r aga z zo d'oro. Da bimbo, quando anda v amo a scuole insieme, la mamma mi d i ceva che ne avrebbe f a t to un dot tore; ma lei mo- rì, pove ra Sora Checca, e il figliolo t roncò gli studi pr ima di t rovar si a tu per tu con un Ci cerone qualunque, che non avrebbe mai diger i to. Non a v e va r inunc i a to nemmeno quel la m- „Jtna a l la sol i ta « cazzaruo- l a ta » di tordi in umido, che dove- vano cost i tui re la sua pass ione e ser- v i vano, pare, a me t t ere in ev idenza le qua l i tà del la mogl ie, che con un pens iero mo l to de l i cato ammann i va lei la t orda ta per gl i ospiti. De vo conf es sare che quel la mat t i- na l ' int ingolo era meno denso e che l a sora Cl or inda lo a v e va agg r a z i a to i spi randosi a una v e c ch ia r i ce t ta ca- sa l i nga che abo l i va gli odori, f acen- do crog iol are g l i ucce l li nel l 'ol io su cui v e r s a va una spec ie di ge l a t ina pr egna di lent isco. — Di ca la ve r i t à: sono buon i? — Una t r ov a ta — r ispose Tonio le- vandomi la paro la di bocca. — Ma dovevo di re qua l cosa anch' io, e ass i curai la s i gnora Cl or inda che non avevo mai mang i a to nul la dì si- mi le. E r a la ver i tà. Ma Gervas io, al quale il comune a- mi co doveva ave re par l a to del la mi a avver s i one per i tordi in umido, ave- v a pr epara to la sorpresa. Non f u la ros t i cc i a ta c lass i ca, ma venne ro in t avo la dei tordi inf i lati neg l i stecchini, che pot evano dar ti l ' impress ione d' essere s t a ti sf i lati dal- lo spiedo. Resp i ra i. Si t r a t t a va d ' arros to mor- to, ma era pur sempre un modo de- gno del tuo palato, se la ma s s a ia o la cuoca aves sero sent i to la responsabi- l i tà del la truf fa. .. Senonchè, me t t endo in boc ca una cosc ia del tordo ( r ammen to che una vi tel la del mio paese sorpresa nel mo- men to in cui mang i a v a, piangendo, un verdone mor tole in gabbi a, sen- tenz iò che l a cac c ia devi mang i a r la con le man i ), ebbi un senso di nau- sea. — Ma li senti come san di g i nepro? — disse subi to Tonio che si accorse del la mi a smorf ia. — S i curo: son tordi, quest i, che de- vono averne f a t to una indigest ione. A r r i v ammo in f ondo come Dio vol- le, a i ut a ti da l l ' a l eat i co asc iut to di Gervas io, che a me a lmeno tolse di boc ca l ' amaro. Qua l cosa doveva essere ac caduto in cuc i na che la donna a v e va tac iuto. Quando, più tardi, la padrona di casa, che per f a r c i an imo a v e va man- g i a to sudando di pena, venne, scon- solata, a serv i r ci il c a f fè nel salot to buono, appr endemmo i nf a t ti che la cuoca, sbag l i ando fiasco, a v e va versa- to nel la cazzeruo la una goc c ia di pe- trol io. Al l ora non c ' era la luce elet tr ica. Tempi lontani. G I ACOMO PAVONI. M9TH7E i M E S S O S o mm i n i s t r a t e a i v o s t r i b i m b i t Conservare i talloncini G A B Y . J-eggjre nel foglietto incluí» in ogni «catolctta » eW segaliamo usa "Balillà ,

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