LA CUCINA ITALIANA 1934
W L'ultimo La mattina della vigilia, quando &r-' rivo in casa la Rosal ia col carico del- le provviste, mia madre domandò al- la nonna che l'aveva preceduta, se a cena, quella sera, ci sarebbero stati gli altri poveri del paese. Era un'annata cruda. Il mare s'era inghiottito l'ultimo latino, e la fillos- sera aveva distrutto l'ultimo vigneto. Senza più vele sul mare e senza quell'unico prodotto del vino che in- tegrava l 'economia del paese, la gen- te si gettava nelle stive dei piroscafi che portavano nelle Americhe carichi umani. Dovevamo partire anche noi. — Se te ne vai anche tu con co- testi figlioli mi levi la luce degli oc- chi — diceva la nonna a mia madre. — Mamma, seguo il mio destino. Dovevamo raggiungere mio padre che un terribile naufragio aveva ab- bandonato sulle coste del Pacifico, e tribolava anche luì, solo e lontano, a rifarsi la propria vita. — Perchè, poi, questo cenone, non lo capisco — aveva soggiunto mia madre. — Vuoi dare ai tuoi figlioli la sen- sazione della miseria? — Non sarebbe male che l'avessero. — Sì, partirai; partirete tutti, se questo è il destino della mia famigl ia; ma non voglio che i miei nepoti por- tino nel cuore il ricordo di un Natale senza contentezza. La mamma si scusò. — Saremo almeno soli? — chiese ancora alla nonna. — No; ho invitato le tue cognate coi bimbi. Senti, mi devi scusare ma la pa- drona <ii casa, per oggi, son io. Mia madre si avvicinò a quella ea- ra vecchietta per la quale eravamo davvero tutta la luce dei suoi occhi, e la baciò piangendo. Eravamo undici a tavola: la nonna con noi, zia Clelia con la cuginetta Sara che non aveva dieci anni ma era già una bella sr>iga matura, e .a zietta Giulia con Tullio, che aveva la- mia stessa età ma che mi dava del voi per tenermi a distanza. Era ge- loso: gli pareva che la nonna avesse per me e per i miei fratelli qualche predilezione di cui non si rendeva conto, tardo com'era. Natale giocondo. Quanti anni sono passati ? Vediamo: mill'e tanti. Ma la data, TtA CUCINA ITALIANA Natale per le lettrici, almeno, non ha impor- tanza. Nella sala da pranzo, dov'era rima- sto soltanto il tavolino, già venduta anche quello, la nonna aveva incro- ciato due festoni di mortella che dai quattro angoli della stanza si allac- ciavano alla boccia del lume a petro- lio che pendeva dal soffitto. Crepitava nel camino un enorme ceppo: il ceppo di tutto l ' inverno che costituiva il riscaldamento della casa. Ci sedemmo all 'unora per alzarci da tavola quando il campanone della chiesina di S. Chiara avesse suonato il terzo. Rosal ia comparve dalla porta dì, cucina con due vassoi colmi di riso, di cui uno era stato fatto col Unticcio della seppia — il liquido nero del mol- lusco — n momento in cui, ritti da- vanti alla tavola imbandita, sulla cui tovaglia di lino spiccava l 'azzurro di certi piat i istoriati che non aveva- mo ancora venduto, recitavamo il pa- ter noster. Ero accanto alla nonna. — Che lo hai fatto — domandai — il baccalà in agro dol ce? — C'è la murena: taci, che la mam- ma ti guarda. Ebbi una disillusione. Il baccalà in agro dolce, rappresentava per me, la vigilia di Natale, quel che rappresen- ta l'agnello nel giorno di Pasqua. Perchè rinunziare a una pietanza che era nella tradizione? Portarono infatti la murena, alia quale avevano mescolato certi funghi conservati in salamoia, freschi co i re se li avessero trovati la mattina nel castagneto; ma Rosalia aveva irrora- to quel fritto, che t'aveva empito di profumo la casa, con una salsa sa- tura d'aglio e di prezzemolo che mi prese in gola, mi provocò un accesso di tosse, e annullò i funghi. Si fosse almeno contentata di por- tare la salsa in tavola! Nossignore: condì lei. — Consolati Mario, ti rifarai con la tua pietanza preferita — mi disse la nonna sorridendo. Mi ri feci: meglio, mi sarei ri fatto, se la mamma, che sorvegliava la mia ingordigia, non mi avesse paralizzato con uno sguardo. Cena di magro, ma soda: di qu.e'le che ti saturano prima delle frutta. Chi se lo rammenta più? Anche il baccalà te l'avevan fatto in due mo- di: in agrodolce e a frittelle; mentre i Dicembre 1934-XIII la seppia, che avevamo già mangia- to col riso, ci fu poi servita anche con le bietole, in umido. Ma era ve- nuto in tavola, prima degli umidi « di quel fritto svisato dalla salsa di Rosalia (non per l'agliata che sulla murena, in fondo, non guasta, ma per i funghi che non sopportano salse del genere e han bisogno, comunque, di tutt'altra sapienza sopratutto se li friggi) un cappone d'un paio di chili che mi suggerì le prime riflessioni sulla conversazione della mattina. Era ancora la nonna che pagava. E va bene. Ed era un pranzò di commiato. Ma se mangiavamo da... borghesi, a quel modo, l 'America, dopo tutto, l'a- vevamo in casa. — Non so se la nonna sì accor- gesse di questa mia riflessione; mi sovvengo soltanto che avendomi Ve- duto pensieroso mi disse che a tavo- la non si pensa se si vuol digerire. Riuscì infatti a distogliermi, per- chè ripresi a mangiare come non ri- cordo di aver pi mangiato con tanta allegrezza, e di non avere più bevuto con tanta ilarità. Perchè quella sera c'era stato permesso non solo di bere il vino, nei limiti consentiti dall'età, ma di mescolarlo, per cui avvenne che alla frutta, tra cui eran dei fichi melati da svenire, il cugino che mi dava del voi intonò un salmo cui fe- cero ero le nostre voci bianche, mondo con la sua fiamma. C'eravamo alzati da tavola ch'era suonato il secondo della messa, quan- do un vociare di gente, e le grida di un uomo che urlava su tutti, ci fe- cero spalancar le finestre per vedere che avveniva di sotto. Nulla di straordinario: un uomo sui quarant'anni che doveva essere in viaggio non sò più su che mare, aveva bussato alla porta della sua casa, era entrato, si era slanciato nella sua camera, e aveva creduto di vedere un tale che si calava dalla fi- nestra nel cortiletto sottostante. Era ridisceso nel momento in cui l'ombra scavalcava un cancelletto di legno di- leguandosi e urlava ora la sua di- sgrazia. Furono chiuse le finestre. Le donne si guardarono: a noi dissero che non era la prima scenata di quell 'uomo dedito al vino. Uscimmo per andare in Chiesa. E' l'ultimo Natale che ricordo: l 'ult 'mo ceppo gioioso e l'ultimo can- to della tua fanciullezza, nel cuore della tua casa, dov'era acceso il tuo focolare che non puoi portare pel mondo con la sua fiamma. GIACOMO PAVONI
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