LA CUCINA ITALIANA 1934
1 Di cembre 1934-XIII LA CUCINA I TAL IANA C A L E N D A R I Incomincia, con l'approssimarsi del periodo delle feste, la saraban- da dei calendari. E' incredibile come la gente pos- sa pensare che noi abbiamo biso- gno di tanti calendari. Già gli uo- mini ricevono i loro: dai fornitori di materiale d'ufficio, dai commes- si del barbiere (Dio! quell'orrendo profumo di cipria grossolana, e di cartone stampato, dei calendari dei barbieri! che... barba!), dai clièn- ti: da tutti un po', insomma. E, re- golarmente, se proprio non sanno a chi altri darli, ve li portano a casa. Ma poi abbiamo anche i no- stri: delle amiche — piccoli, gra- ziosi, civettuoli e praticamente in- servibili — e dei portalettere. Perfino la Cucina Italiana — che quando ci si mette non bada a spe- se -7- ce ne regala uno... del Gior- nale d'Italia. Sono, bisogna riconoscerlo, que- sti calendari, una gran seccatura, E non soltanto perchè tutti i gior- ni stanno lì, colia loro fredda mu- ta implacabile voce, ad avvertirci... che « la beata gioventù vien me- no » — come dice, o meglio come... fischia, il Passero solitario di Leo- pardi- Ma anche perchè sono quasi sempre un po' volgari, di colori stridenti, generalmente banalissimi nei soggetti, sfasati, di solito, con la realtà della vita. Chi sa quante volte vi sarà ca- pitato un calendario coi due co- lombi che si baciano: se prendete una lente di ingrandimento, e guar- date bene quello che fanno quei due piccioni, vi accorgete che in verità stanno dividendosi un ver- me, e anzi si direbbe che letichino a chi debba toccare la parte più grossa. E magari noi ci avremo sospirato, su quel bacio, pensan- do: Bisogna esser piccioni, per vo- lersi così bene! Vi sari, poi capitato cento volte di ricevere in dono un calendario di cartone, su cui una di quelle illustrazioni, che paiono inspirate alla più insulsa arte dell'epo- ca della Regina Vittoria, vi mostra un Castello scozzese, ap- pollaiato sulla cima di una roccia, con un laghetto ai piedi e un al- bero che vi si bagna in atteg- giamento da Serenata di Bach, mentre su una barchetta a cui non manca che il cigno per dar- ci una impressione wagneriana due innamorati si tengono per ma- no, soavemente. Castelli di quel genere, bar- chette di quella specie, e innamo- rati, anche, così teneri e così osti- nati, a tenersi per roano tutta la vita, non se ne trovano nel mondo intero, neanche a ordinarli su mi- sura. Ma intanto quella illustrazione è lì, languida, insidiosa, a darvi come un senso struggente di ma- linconia. Par che vi dica che an- che voi, se la sorte non vi fosse stata matrigna, avreste potuto avere un castello, un albero sti- lizzato e pettinato bene, una bar- chetta e un lago tascabile, e un innamorato dalla mano « perma- nente » come l'ondulazione... Al- lora voi mettete il calendario in cucina, un po' perchè non sapre- ste dove collocarlo, dignitosamen- te, altrove; e un po' anche perchè vi dispiace, in fondo in fondo, di buttar via quell'oleografia così te- nerona. Quand'ecco che, un gior- no, sentendo come ma specie di belato venir dalla cucina vi avvi- cinate in punta di piedi, e vi ac- corgete che è k donna; sì, la don- na di servizio, sessantenne, anal- fabeta, e un po' barbuta, che a forza di guardare « quei due » co- sì languenti si è sentita di venir su dai vasti precordi tutto un ribol- limento di rimembranze sentimen- tali. Chi sa? Forse avrà fatto all'a-
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