LA CUCINA ITALIANA 1934

16 LA CUCINA ITALIANA I Dicembre I 93 Ì 90 II 11 "Diamante della Cucina (Contimtazione: vedi numero precedente) Non basta quanto si è detto su que- sto sostantivo. Noi possiamo contare su di un'altra autorità, quella dello Zingarelli; egli ci dà il « t r i f o l a t o» per tartufato, passando dalla lingua materna per accreditare un vocabolo in quella letteraria, aJa maniera dei nostri classici di cucina dialettali che ci allestirono i fritti carnei e ve- getali trifolati, vale a dire trattati come si usava abitualmente alla buo- na ogni specie di tartufo: con un battutino d'aglio e prezzemolo, sale, pepe, burro od olio ed anche ad a- bundantiam con qualche cucchiaio di buon fondo di carne e succo di limo- na. «Fr i t ti tr i folat i» che non esclu- devano, anzi esigevano — si com- prende faci lmente — l'aromatizzazio- ne di un trito di vera e buona tri- fola. E il participio aggettivato dello Zingarelli viene oggi lasciato alla mercè dell'artista e della massaia che non ricordano nell'origine, l'entità della vivanda, e l 'apprestano nel solo modo possibile concesso agli scarsi mezzi di cui dispone la cucina. Comunque il «Tr i f o l a t o» resta sempre definito nella chiarità della legge filologica. Paralleli interessanti Ed eccoci veramente ad un punto cruciale, cui si doveva pervenire, f ra il Tartufo con la Trifola. Che men- tre quello fu ed è restato un elemen- to di alta gastronomia ed un sogget- to interessante di letteratura, alla Tri fola si lesinarono gli onori che ne avrebbero rilevato i suoi meriti es- senziali, a causa di quella opposizio- ne che si erge spontanea o spietata contro tutto ciò che non fu e non è di cose e d'uomini del proprio paese. E come si annulla una vivanda, rosi per un principio diremo politico la medesima può diventare segnacolo in vessillo... d,i alte idealità. Giovi que- st'esempio: Nell 'antica cucina vi tu una torta lorenese menzionata dalle cronache di Nancy; di quella Nancy che nel secolo XI I fu prescelta a ca- pitale del Ducato di Lorena. Questo dolce fu detto la Guiche ed era im- bandito su ogni tavola in occasione di festività. Quivi, elenca il cronista, quattro secoli dopo il principio di questa narrazione, il partito cattolico battagliava contro i protestanti. l a torta lorenese, la Guiche, divenne il ' segno di divisione dei due partiti: quello di Enrico di Guisa, il valoroso ma infelice condottiero dei cattolici — i Guichards — contro i partigiani fll F! iri C o IV di Navarra, La storia spicciola del tempo ci fa conoscere come l ' a t t a c e a m e r + n di un p o p o l o E l - la sua vivanda preferita dovesse co- stituire " n vincolo uno — d'armi f ra i combattenti dello s t e s s o paese. Così avvenne che non si das- se banchetto dalla parte di Enrico di Guisa senza che vi figurasse la Gui- che; e per opposte ragioni i parteg- g i ano di Enr i co IV nelle stesse cir- costanze la proscrissero come una pasticceria sediziosa. Questa succes- sione di avvenimenti si concluse poi con l'assassinio in Blois dei maggio- renti del blocco di Enrico di Guisa sorpresi in un banchetto mentre man- giavano la Guiche. Col dominio dei Lorenesi passò in Toscana anche la Guiche, dolce gra- dito da quella Corte Granducale, del- la quale conservo la ricetta rimessa- mi da quell'ispettore dei servizi di mensa: il Payer. Strascichi cui è lecito annetter« qualche residuale politico per conto della nostra Tri fola, giacché, ripor- tandoci al frasario citato del Dumas per il tartufo nero, dirò: Chi volesse far opera interessante la cronaca — ed anche più in là — della Trifola, non potrà esimersi dal prendere in e- same i costumi della popolazione pie- montese, dall 'antico fino agli ultimi anni almeno del secolo passato, uni- tamente alla Casa illustre che per secoli resse le sorti del Paese. Parlo di cose vissute. Era usanza, ereditata da « Re Vittorio » (così sem- plicemente chiamò il popolo italiano il suo primo Re ) , d'inviare ad ogni appartenente alla Reale Famiglia, le Tri fole più belle che in numerose cir- c h i ha letto D " Quo vadis„ ricorda che ta bellissima Poppes di ritorno dal l 'Accidia era seguila nel suo imponenti! corteo da duecento animali che fornivano il latte per il suo bagno quotidiano. Il latte ha contribuito in tutte le eia e mantenere (resco e bello il viso e il corpo. Un sapone prepa- rato al vero latte di mucca e il I t costanze Gli venivano spedite dal Piemonte — sia durante il Suo sog- giorno nella nuova Capitale, a Firen- ze, sia negli anni successivi in Ro - ma; usanza proseguita dall 'Augusto Suo Primogenito. Adolescente appena io avevo libe- ro ingresso nelle cucine del R. Pa- lazzo dei Pitti e Regie Ville, compre- sa quella dei Conti Miraflori, ove mio padre lavorò lunghi anni felicemente. Dentro ad un cestino elegante, ador- no di nastro azzurro, avvolte in car- ta velina e f ra un cespuglio di f re- sca verzura, giungevano alle cucine le profumate Trifole, inviatevi per ordine di S. M. dagli uffici delle Guardarobe Reali. Le Trifole, ovvero la Trifola, poi- ché trattavasi generalmente di una soltanto, ma splendida, ma enorme e di perfetta maturanza, veniva suddi- visa f ra le varie pietanze in varii giorni ed iscritta nelle minute ad es. così: Risotto alla piemontese - Trifola di 8. Maestà. Fonduta oppure Frittata con Tri- fola di S. Maestà. Insalatina - Trifola ecc. ecc. E, dulcis in fundo, la Tri fola Rea- le coi minimi ritagli veniva accolta in un piatto di legumi caldo, a tutti ben noto: La Trifola alla piemonte- se con crostini. E la festa augurale si ripeteva ad ogni vivanda e si riallacciava dal pri- mo omaggio a quelli successivi della stagione, nella quale per quell 'anno si esauriva il frutto delle viscere ter- rene. Dal grazioso ricordo ci vien fatto di comprendere facilmente, come ta- le usanza non esprimesse soltanto un gesto caro alla Maestà dei Sovrani, ma ripercotesse un andazzo ereditie- ro nelle famiglie storiche ed una tra- dizione certamente millenaria loristi- ca di tutta l'alta Società di allora. E' questo un grado di nobiltà che importava rendere pubblico in meri- to alla grande crittogama, di fronte al centenario rumore di somma scuo- la pubblicitaria che si andò e si va facendo oltre monti per il tartufo ne- ro; tanto più ch' io non accetto il pa- rere di coloro i quali ritengono, che i tartufi di qualsiasi regione e colore subissero quel lungo interregno ga- stronomico che si f a rimontare dalla caduta dell 'Impero Romano fino ai principii del 18. secolo. Il Piemonte agricolo scalza il suo terreno da se- coli per dar vita alla sua produzio- ne, solleva le zolle oltre la profondità dell'aratro per trarne fuori gli ele- menti delle sue severe costruzioni. AMEDEO PETTINI 'Capo Cuoco di S. M. il Re

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