LA CUCINA ITALIANA 1935

30 I,A CUCINA ITALIANA 1 marzo 1935-XIII U n tace hino di tredici chili B i s ogna sapere, amabi li let tr ici, che 1 miei suoceri a v e v ano una teor ia ed una man ia el le v i spi egherò con brevi parole..., teor ia e man ìa per la quale osp i t avano nel la loro magni f i ca vi l la, al le porte di Tor ino, i g a t t i randag i, i c ani bastardi, gl i uccel li fer i t i, tut ta un ' a r ca di Noè, ol t reché mi a mogl ie, i nost ri due bamb ini ed il sot toscr i t- to. Secondo essi, noi umani, f ummo dappr ima un filo d'erba, poi un sasso, poi un verme, pòi una mosca, poi un pollo, poi un anima le super iore (gat- to. cane o s imi l i) pr ima di evo l vere e di r ivest i re carne umana. Quindi, non bi sogna toccare i fili d'erba, ne spac- ca re le pietre, nè uc.cideer i po l l i - b i sogna amare, ama re fino a l sacr i f i- c io quelli che noi f ummo e che essi diverranno. .. I l gr ande pol lalo model- lo, dei mi ei suoceri era ben forni to quando essi i naugurarono queste teo- rie ftlosofico-teosoflwie ed i pennuti f u r ono l asc i ati mor i re di vec ch i a ia e dì gras so a l cuore e seppel l i ti in un ango lo del pa r co (dove, natura lment e, la serv i tù andava a disseppel l irli e per vender li a peso d'oro). Ac c an to a l pol laio f u cos t rui ta una gabb ia di t rans i to per quei pennuti che potevano capi tare f er i ti e per cui un ve t er inar io spec ial i zzato a v e va le cure più af fet tuose, ass ieme ai miei suoceri ed ai mìei figliuoli. Io mi adat tavo, per amore del quieto vive- re. a quel le or i g ina l i tà ed a l la cuc ina vege t a r i ana, ma mi recavo due vol to la se t t imana a gus t are delle sangui- nolenti enormi bi stecche, a Tor ino. Un g iorno tornavo appunto da To- r ino con mio figlio Mar io, guidando io la macch i na, e fui lì lì per « me t t er s o t t o» uno spennacchi ato t acchino che g i ronzava a f f ama to. Mar io urlò, st r inse egli stesso i freni, si prec ipi tò sul l ' animale, buttò al la propr ietar ia ac cor sa le venti l ire con cui doveva comperare un dizionario e risalì rag- g i ante col suo l ieve fardel lo, che chia- ma va con i piti dolci nomi. Ar r i vam- mo a casa, dove il tacchino ebbe «mo- revol i cure dal veter inar io, f u inges- s a to e medi cato. Es so si chi amò Mosè, perchè sa l va- t o dal per icolo de l la s t r ada e de l la pentola, e crebbe vispo, pet toruto, bat- tagl iero, int r igante, pettegolo. Un an- no dopo pe sava ot to chi li e mi da va delle terribi li cupidigie pel vo l ume delle sue cosc ie g i acche, c omi di cono i buongus ta i, l a cosa più squi s i ta del cappone «è il volo, del t acchino è il passo ». Quando, a tavola, l ' impeccabi le ca- mer i ere mi me t t eva davanti gli sfor- ma t i di ve rdura ai f unghi o le coto- lette di ve rdura a l pomodoro, io «v e- devo » ba l enare il biondo-marrone del dorso di Mosè ar ros t i to al lo spiedo... ed anche quando, ne l la t i a t t dr i a, di- vo r avo un suo f rate l lo, sempre ma g ro in suo conf ronto, s.entivo aumen t a re l a mi a cupidigia. Int anto i mesi pas- savano, Mosè a v e va r agg i un to il peso di t redi ci chi li e non pot eva più muo- vers i; s t a va sempre pet toruto e ac- coccol ato f r a gal l ine pingui e f a r aone obese. Un bel giorno, l ' anz j ano aut i ata di c a sa andò in pensione e f u sost i tui to da .un g i ovane dag l i occhi f u r bi che si c h i ama va Neg r i . Una s e t t imana dopo, quando egli s ' era reso conto de l la man ia dei nuovi padroni, lo tro- v a i ac can to al pol laio e lessi nel le sue pupi l le che fissavano Mosè, la mia stessa cupidigia. Ci gua rdammo, c'in- tendemmo. di venimmo compl ici. In « g a r a g e », chinandosi v i c ino a me sul motore, sus sur rò: — Doma t t i- na Mosè s a rà t rova to morto, con mez- zi meccani c i. Ho una cogna ta f uo ri porta, spec i a l i s ta nel la co t tura al lo spiedo. 10 gl i risposi con una occhi a ta sen- za parole, come un cong iura to del- l'« Em a n i ». 11 mat t ino seguente, mia mogl ie, mi disse, sospet tosa: — Hai dormi to male, stonot te. Ten- devi sempre le br ac c ia a qua l cuno; cer to ad una donna. For te del la mia innocenza, prote- stai, ma ' n on la convinsi. In quel pun- to, uno s t raz i ante ur lo di Mar io sali dal cor t i l e: «Mosè è mor to! ». Es so fu per me come 1'« apri t i, S e s amo !» di sco l as t i ca memor ia. Mi precipi tai al balcone, vidi Mar io che p i angeva col corpo di Mosè, gr ande come un vi tel- lo, nelle bracc i a. Sua nonna cercava dì consolarlo. — E' mor to di vecchi a i a! E' la fine r i serbata a quel li che non hanno l'a- nima, ma che si r incarneranno. .. Mosè tornerà, a noi in una f o rma più evolu- ta, in un cane, probabi lmente. . .. intan- to lo potrai seppel l ire, col l 'aiuto di Negr i. Negr i , che g i ronzava accanto al po l - laio, s ' inchinò e alzò gli occhi a me. For tuna t ament e, nello stesso momen- to si udì uu r inghi« e si vide appar i re. tenuto a guinzag l io da un mi l t ie del la croce azzurra., un brut to cagnac c io sporco. .. che mia suocera accol se co- me figlio di letto. — E' Mose che torna! — gr idò Ma- rio, invaso da sac ro fuoco. Cosi, do- vendo f a re i l bagno al nuovo arr i vato, dovendo ch i ama re il veter inar io, do- vendo dare una penne l l ata d' iodio al- la g amba de l la nonna, che il novel lo Mosè a v e va morso, il vecch io f u di-" ment i cato e nessuno si curò di sapere dove Neg r i l 'avesse seppel l ito. E Ne- gr i , aprendomi la por ta del la macchi- na, susur rò r i spe t tosament e: —• Ci vor r anno tre giorni, a f f inchè s ia f rol lo a punt ino. I l ma t t i no seguente egli mi presen- tò un ' e l egante scatola dove c'era, il grosso s tomaco del best ione traf i t to da parecchi spilli, che, mescolati dal l 'au- t i s ta col pastone, gl i avevano procu- rato « la mor te me c c an i ca ». • Due giorni dopo, Negr i, sempre cor- ret to e compassato, mi sussurrò una paro la che bevvi col l ' avidi tà dal fidan- zato al la v igi l ia delle nozze: — Do- mani ! Sorse l 'alba radiosa di quel g i orno: era il set te magg i o. Per mant ene re intat to l 'appetito, chiesi, invece del cacao, una tazza di caf fè. Tut ti s' im- pensierirono, mia suocera vol le vede- re la mia l ingua, dovet te conveni re ch' era bella, ma ins i stet te perchè an- dassi con lei dal medi co dì casa, dal quale doveva ac compagna re Mar io, alle dodici. Al le dodi c i? L ' ora lungamente at- t e s a ?? Gi amma i ! !! — Me ne duole — risposi. — Ho un appunt amento col cava l i ere Ro s . i per la par te archi tettonica, di quel monu- mento funebre. .. — Te l e fonag li e cambia, l 'ora. — Ma no, ma, no ! ! ! Io sto bene e non vogl io ingerenze nei miei a f f ari professional i ! . ., — gr idai e uweii. Udii i singhiozzi di mia mogl ie, l'udii narra- re delle mie not turne inquietudini, in- tesi mi a suocera pronunc i are la pa-

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