LA CUCINA ITALIANA 1935

N. 4 LA CUCINA ITALIANA 1 Aprile 1935 - XIII ANGOLI DI P A E SE LA TRIPPA DI "LUCHINO Piccolo, magro, sdrucito, a f fogato ir» una cacc i atora di f us t agno bi- sunta eredi tata da un notabi le del paese che l ' aveva por tata vent ' anni senza levarsela mai di dosso, Luchino non era un pezzente, ma un onesto trippaio che v i veva del suo lavoro. — Sora Meca. se crede che venga a cucinargl iela io questa tr ippa che a l avar la m'è cos t a ta un polmone... Ma era un modo come un al tro per chiedere qualche soldo di più e, se c'erano, gli avanzi di cucina. — Aspe t ta che ti f acc io dare un bicchier di vino. L a donna, per non far lo entrare in cucina, si f a c e va sul l 'uscio a me- scergli il « rosol io », com' egli chia- mava un vinet to mag ro con una lieve pat ina d'oro ohe avevamo al lora pr ima che la fi l lossera stroncasse an- che noi. Ab i t ava in una bot tega ohe gli aveva aff ittato la nonna, al l 'Orzaio, un gruppo di case in c ima al paese abi tate da contadini che dovevano dargl i, a turno, un piatto di mine- st ra per far lo campare. Av e va un debole per le donne che lo deridevano, e si vant ava di cuci- nare la tr ippa al la Inchino, come non poteva cuc inar la che lui. — Senti Lu- chino, che c' invi ti a desinare do- mani ? Ci diver t ivamo a far lo discorrere. Mezzo balbuziente com' era se ti- r ava scirocco capi tava di sent irne da non si dire. — E... pec... che no? — Ma è vero, Luchino, che cucini la trippa da leccarsi le di ta? — Ma sta... ammani no... oe. Ci ho un caa... cappone strof inato. Scherzava, ma gli piaceva di osten- tare a quel modo la sua miseria. Qualcuno, in paese, lo credeva ric- co, ma la ver i tà è che gli avevan mangiato, molti anni prima, sei o set- te mi la lire che aveva messo da par- te morendo tutt 'i giorni di fame. E r a il nostro trastul lo. E un gior- no, quat tro o c inqu e di noi scolarac- ci, ci met temmo d'accordo per f arci invi tare a pranzo davvero. Senti, Luchino: domani, invece di po r t a r e ìa trippa alle tue casans de- vi cuc inar la tut ta per noi. Acce t t i? Venimmo a pat t i: venti lire e quat- tro f iaschi di vino. Ma si presentava qualche di f f icol- tà. Il tegame por cuc inare la trippa l ' aveva; e la legna in qualche modo l 'avrebbe t rovata spalando intorno le vigne, ma non aveva nè piatti nè po- sate nè le sedie — che contavano me- no — per f arci sedere a tavola. Uno di noi propose di mandar da casa almeno i piatti e una mezza dozzina di forchet te, ma se il vino poteva usci re dal la cant ina con la compl ici tà del contadino, non sarebbe stato fac i le portar via da casa stovi- gl ie 6 posate. — Senti ancora Luchino: se tu chiedessi cotesta roba a un contadino del l 'Orzato te la darebbe? E poo-poi ohi ...ìa l ava? Non era il caso di insistere e lo autor i zzammo senz'al tro a preparare la trippata, ohe al resto avremmo pen- sato noi. Quel la birba di Pi et ro che aveva ideato il pranzo luchiniano suggerì di comprare una mezza dozzina di piatti di terracot ta e al t ret tante for- chette di latta, ma dopo quel la ca- va ta di sangue non me t t evamo assie-r me ohe set te soldi, dei quali uno era greco. Dec idemmo di armarci a casa. L' impor tante era di arr i vare lassù con una forche t ta con la quale a- vremmo « i nt i nt o» nel la stessa cas- seruola se il coraggio ci fosse bastato. E un po' ce ne sarebbe voluto, tan- to che arr i vando al la «v i l l a» tro- vammo i contadini del l 'Orzaio che ci aspe t tavan curiosi per assistere co- me spettatori al pranzo ohe avrebbe ammanni to Luchino di cui conosceva- no i costumi e... l ' igiene. Ci accolsero con applausi che sen- t immo addosso com3 legnate; ma la f igura era iatte. e... r ispondemmo allr. loro mani f es taz i on e con un: «Ev v i va Luchino! » che li ammutol ì. L'« anf i trione » ci venne incontro barcol lante e c: condusse dietro la ca- setta, dove in un paiolo enorme collo- cato sopra due sassi bol l iva la trippa per le casane... Guardammo impacciati i contadini di cui non avevamo inteso le scher- no, i f iaschi vuoti del vino che ave- vamo mancato, e... r iprendemmo mo- gi la via de: ri torno giurando d: da- re a Luchino l a lezione che si meri- tava. Poi ci contentammo di quel la che avevamo avuto. GIACOMO P A VONI — g

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