LA CUCINA ITALIANA 1935

3 4 LA CUCINA ITALIANA 1 Giugno 1935-XIII Vecchia casa di vecchia gente Don Vincenzo Guanigi viveva con la sorella Romualda in una villa del- l'« Uccellaia » sprofondata nella valle che apriva intorno, come un anfitea- tro, le gradinate dei suoi vigneti. Venivano in paese una volta la set- timana, lui con un abito di velluto marrone orlato di cordella nera e una candida camicia di lino senza cravat- t a ; lei, donna Romualda, con una specie di robbone ampio d iseta sulla gonna scozzese, e uno scialle vivo che si gettava sulle spalle, a triangolo, fermando i lembi sul petto con un Cammeo di superba bellezza. Un antiquario fiorentino, capitato in paese a raccat tar le fusciacche che i nostri marinari portavano dall'orien- e, le aveva offerto una somma; ma donna Romualda lo aveva pregato di non insistere, con tanto garbo, che il mercante non sapeva come scusarsi. Eredi <ìi una sostanza ch'era rap- presentata sopratutto da quella loro casa costruita intorno al 1300, dove le generazioni, che vi si erano succe- dute per cinque secoli, avevano accu- mulato un tesoro in mobili, scrigni dipinti, ori e broccati, argenteria e tappeti, « palazzo ri-li'« Uccellaia », da cui il mercante fiorentino era tut- tavia riuscito a strappar due lucerne d'argento massiccio del primo impe- ro e una pianeta violacea di broc- catello, era una specie di museo del quale i due fratelli parevano i fedeli custodi. Non avevano discendenti nè parenti lontani. Lia famiglia si estingueva con lo- to. Don Vincenzo era rimasto scapo- lo; donna Romualda, invedovita a 30 Mail, quando ancora avrebbe potu- to rifarsi una casa si era raccolta nel suo dolore e da qualche anno sol- tanto si era levata il lutto per riap- parir la domenica, alla messa gran- de delle undici, con quel suo robbone di mare, una bocca impagabile, le fuori di moda, ma che le dava un segno di distinzione su tutte. Era bella: bianca di cera, gli occhi di mare, una bocca impassibile, le mani piccole affusolate, dritta, slan- ciata, con una espressione di gentilez- za e una semplicità che incantavano. Si guardava per la gioia di vederla e per avere la grazia di un suo sor- riso. Vivevano un po' soli, nella inti- mità della loro casa piena di memo- rie e di cose stupende, con due ser- vitori fedeli e una governante che co- stituivano ormai la loro famiglia; ma se per una consuetudine secolare la villa si apriva una volta l'anno il giorno di Pasqua, per un ricevimento che non escludeva nessuno, ospiti ne avevano sempre. Preferivano i ragaz- zi, di cui a volte facevan nidiate, ac- costando ai « signorini » i figlioli della povera gente. Ero anch'io, spesso, tra gl'invitati, ma una volta la settimana, il giovedì, mi toccava il privilegio d'essere solo. Si desinava in una sala del primo piano, u-no stanzone a volta, col sof- fitto decorato, grande come una piaz- za d'armi, con pochi mobili: un tavo- lino rettangolare di noce, nero come la credenza che occupava la parete in fondo, poche sedie, due o tre poltrone due arazzi alle pareti laterali che rap presentavano scene di caccia, e In un angolo, a destra di chi entrava, col- locata sopra un cavalletto, un'Assun- zione di Andrea della Robbia eh« do- veva essere una copia di quella che ho poi veduto, già uomo, nella Pina- coteca comunale di Città di Castello. Mangiavamo senza tovaglia, con certi piatti di porcellana bianchi filet- tati di rosso che si riflettevano sul piano lucido del tavolino nero, In mezzo al quale donna Romualda di- sponeva i fiori intorno a un tappeto di muschio che strappava essa stessa alle coti con quelle sue mani di fata. La vecchia governante, chiusa Jn una specie di abito monacale entrava nel salotto da pranzo, con la zuppie- ra fumante, nel momento in cui noi sedevamo, per minestrare: poi lascia- va il posto a Tonino che veniva di- rettamente dalla cucina con lo pie- tanze. Era un mangiare frugale e sano: una minestra di magro ma delicata che potevi darla a un malato, tln piatto di pesce in bianco con salsa di acciughe o un piatto di carne e molta frutta. Pani e : : colmi di susine, di albicoc- che, di pesche; e, nel settembre, quando cominciava l'uva, grappoli d'oro ohe mangiavi prima con gli oc- chi. Quell'uva, in paese, non l'avevan che loro, i Guanigi. Donna Romual- da, scherzando, sceglieva per me i grappoli «sbracalat i» dai chicchi ra- di perchè avevan dentro più sole. Non ci servivano quasi mai il dolce che l'ospite ci dava invece a meren- da, se vuoi chiamar dolce un crosti- no di pan di grano con burro e mie- le di quella vallata che aveva un pro- fumo delicato di rose. I l caffè lo prendevan loro, che a noi ragazzi faceva male, tanto che quand'ero solo riuscivo poi a berne una tazzina che mi dava di nasco- sto la donna, se mi mandavano a sca- prettare in giardino. Lo servivano do- po una mezz'ora, nella loggia di so- pra, su cui saliva a infiorarla vaga- mente una pianta di gelsomino, per- chè Don Vincenzo accendeva una sua pipa di gesso con la cannuccia ritorta e aveva bisogno d'aria. Vecchia casa di vecchia gente, quel- la dell'« Uccellaia », che ho riveduto Sue anni fa, tornando, dopo più di trent'anni, in quell'angolo del mio pae- se, con un senso di pena. Quel tra) ciò secolare dì gelsomino che salivp a infiorar le svelte colonnine del log giato quattrocentesco è stato recis' da mani sanguinarie: il giardino da vanti al palazzotto graffito a gigli fl< rentini è diventato una petraia; ne l'atrio c'era un barroccio e un bast e la severa sala da pranzo con r arazzi, i piatti istoriati, l'Assunzio di Della Robbia, la credènza nera c> pareva di mogano, su cui Lucia de

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