LA CUCINA ITALIANA 1935
3 4 LA CUCINA ITALIANA 1 Giugno 1935-XIII Gùte Nacht? jF rau iillerì la signora. In estate restai assente e quando rientrai la trovai ammalata. Si riprese per qualche tempo, ma ai prmii freddi, morì. Venne la figlia, e ripartì, lasciandomi per un altro anno l'affitto della stanza. Fu convenuto che la portiera avrebbe sbrigato il mio servizio, e io riamsi. L'appartamento fu chiuso e le chiavi stavano tutte nel cassetto di un mobile dell'ingres- so. Per lunghi mesi assaporai tutta la calma bellezza di quel luogo ripo- sante. Spesso m'indugiavo alla fine- stra: il giardino aveva ora un'aria di vecchia casa dimenticata. Le bianche macchie sui tronchi dei platani spogli formavano strani disegni che io mi divertivo a decifrare. In agosto sebbe una settimana di caldura eccezionale. Spesso la notte m'alzavo per tuffare le mani e il vol- to nell'acqua fresca. Una notte che era insonne udii camminare nell'ap- partamento. Aprii l'uscio della mia stanza e quale non fu la mia sorpre- sa nel vedere la luce brillare oltre la vetrata. Afferrai la maniglia, ma l'uscio re- sistette, chiuso dal di dentro. Cercai febbrilmente la chiave e aprii: nel- l'atto la luce si spense. Girai l'inter- ruttore e guai-lai: nella stanza non c'era anima viva, tutto era in perfet- to ordine: solo udivo distintamente scricchiolare l'impiantito e i noti pas- si si avvicinavano... Allora, in un'improvvisa ispirazione, m'inchinai in un profondo saluto e dissi forte «Gute Naoht, Frau Miiiler». I passi cessarono immediatamente. Spensi la luce tornai a letto, ma non potei riprender sonno e l'indomani cambiai alloggio. MARIA I)FI BENEDETTI Quando venni a Firenze la prima Volta per il mio lavoro, trovai allog- gio presso una signora anziana di o- rigine tedesca. E ra vedova e si chia- mava ftjüller. Aveva una figlia spo- sata in Germania, ma preferiva vi- vere sola in I tal ia; abitava un quieto appartamento in una remota contra- da presso Porta Romana. La mia camera era la più bella del- l 'alloggio: vi si accedeva direttamen- te dall'ingresso. Le sue grandi fine- stre davano su un tranquillo giardino silenzioso dove un filare di antichi platani e di smilzi pioppi conduceva a una limpida fontana. Nel fondo si ergeva altissimo un caro abete che, la sera, acooglieva a frotta i passeri Cinguettanti. La signora Müller non era di carat- tere socievole e a un mio primo ten- tativo di approccio — una matt ina le avevo recato la posta — mi ero sen- tito rispondere: «Prego, prego, si- gnor Taddi, non si incomodi più. Mia posta prendo io». Da allora i nostri comuni rapporti si limitarono ad au- gurarci il « Buon ciorno » in cattivo italiano, e la «Buona not te» in per- fetto tedesco. « Gute nacht, fraù Mül- l e r» le dicevo la sera, quando, rien- trando, vedevo brillare ancora la lu- ce oltre la grande vetrata che divl- va l'ingresso della stanza da pranzo. «Gute nacht, signor Taddi » mi ri- spondeva lei con la sua forte voce gutturale. E il suono mi colpiva o- gni sera, come una cosa nuova. Venne l'inverno, tornò la primave- ra : io lavoravo assiduamente e spes- so anche la notte stavo a tavolino. Una volta udii la signor Müller pas- seggiare e camminare nell'apparta- mento. La mattina dopo, come m'in- formavo della sua salute, mi sentii rispondere: « Grazie, io ho dormito benissimo tutta la notte ». Non potei frenare un moto di sor- presa, al che la signora sorridendo rispose: «Oh! si si; io so benissimo cosa lei pensa. Lei ha udito me cam- minare questa notte, vero? Ma non ero io, era il mio spirito. Spesso ciò mi accade: il mio corpo riposa nel letto e l'anima va in giro. Non si de- ve temere, però, non fa niente di ma- le... ». La guardai: era perfettamente calma e tranquilla. I chiari, azzurri òcchi ammiccavano dietro le lenti ma sneza l'ombra di ironia, la bocca era semiaperta nel triste abituale sorriso. Altri mesi passarono e io quasi di- menticai le passeggiate notturne del-
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