LA CUCINA ITALIANA 1935
4 LA CUCINA ITALIANA 1 ° Luglio 1935-X H I I P R I MI P A S S I L ' AMORE DEI RAVIOLI Eravamo andati ad abitare al se- condo piano di una casetta piantata sulle palafitte di via Brandzen ch'e- ra allora un pantano. Entravi da un corridoio nel « pa t t o », e trovavi in f ondo la scala che ti portava in ci- ma a un ballatoio su cui si apriva- no le porte di due appartamenti co- stituiti da tre camerette laccate di bianco. Le cucine sporgevano dal balla- toio all 'estremità della facciata, quella interna, ohe dava sul cortile d'accesso — la sola — da cui le a- bitazione prendevano aria e luce. Nelle camere non c 'eran f inestre che avrebbero dato sull'acquitrinio. Accanto a noi, abitava una famigl ia di genovesi, padroni allora di quel- la borgata di Buenos Aires dove a- vevano imposto lingua e costumi, che m' iniziò ai segreti dell'aglio. Non ho più mangiato le trinettg col pesto che ammanniva dona Te- resa, una ligure di Re c co ohe aveva raggiunto il marito con un amore di bimba, Jole, una creatura che aveva allora la mia età, con due grandi occchi celesti, le gonnellino sotto il ginocchio, i capelli neri, una bocca divina, e un corpicino che non sai chi glie lo avesse modellato. Era una famigl iola ohe sarebbe stata in un guscio di noce, tanto era unita. Lui, o pwè, navigava. No- stromo a bordo d' un brigantino che era andato in disarmo, s'era ferma- to alla Boca anche lui, che quello era il c ovo dei marinai, per gettarsi sul moli a sudar la giornata. Poi gli avevano affidato un rimorchia- tore ohe usciva a portar le provvi- ste di là dalla barra, quando anco- ra le navi non entravano nel baci- ni del porto Madero, e il nostromo dell'« Eugenia » era diventato capi- tano di botto. Promozioni, a quei tempi, Ohe si facevano, con la mari- neria che nasceva. Jole si faceva tutti i giorni piti bella e più giudiziosa... Io, se non promettevo gran che, il giorno in cui, superando lo scoglio liceale, fos- si riuscito ad infilarmi in una fa- coltà per legalizzare con una lau- rea la mia ignoranza, qualcosa a- we l fatto. C'era, comunque, un'altra speran- za: quella di diventare ricco coi quattrini di mio padre se la fortuna lo avesse aiutato. Il che non accad- de. Faceva, sì, degli affari, credo, giocando al rialzo o al ribasso dei cereali in quell ' inferno di Borsa, ma doveva avere anche lui le stesse at- titudini del figliolo. Considerazioni inutili. Chi poteva farle al lora? Non io, certo. Nè le facevan le mamme che vedevan soltanto la coppia in- cedere verso l 'altare: lei candida di veli, me in marsina con un flore d 'aràncio all'occhiello. Si usava. nuto subito, tanto più che avevo preso quell'anno la seconda boccia- tura della licenza, ma non era nem- meno escluso che si potesse antici- pare. Lo rimuginavo. Accarezzavo l'idea anche per trovare nel matri- monio una spinta. Ero innamorato? Mah! Forse non era molto innamo- rata nemmeno lei; ma un giorno, conversando, ci ponemmo il quesito e ne parlammo alle mamme che parvero felici. Ci fidanzammo. Ram- mento che la chiesta ufficiale av- venne una sera di gennaio sul bal- latoio che accomunava le due fami- glie, più ohe mai unite nel destino dei loro figlioli. Faceva un »aldo da incitrullire. e la chiesta avvenne nel- l'intervallo tra un un'aranciata e un'amarena che la sora Teresa do- veva aver preparato d'intesa con la figliola, con la quale m' ero messo d'accordo. Festeggiammo il fidanza- mento l ' indomani: a mezzogiorno vennero loro da noi a desinare, la sera andammo noi a cena. Mi è ri- masto il ricordo incancellabile di una torta Pasqualina da estasiare un goloso, e di certi ravioli di pollo che più au non andavi. Cucinava da farti morire d' indigestione quella mia suocera di Recco. Feci onore alla cena soda e gu- stosa, ma quei ravioli di dotta Tere- sa furono la causa innocente del primo screzio tra me e la figliola, che aveva trovata grossolana la s fo- glia e insipido il ripieno. Era vero il contrario, perchè non ho più man- giato ravioli così delicati, e difesi la suocera come se si fosse trattato di difendere il suo onore da un'accusa infamante. Nacque un bisticcio, ma lo componemmo l ' indomani, a tavo- la, divorando con lo stesso appetito gli gnocchi di patate c h e la sora Teresa ci aveva ammannito con la stessa sapienza e lo stesso amore. Jole mi confessò che 1 ravioli non la piacevano e facemmo la pace. Senonchè, dopo quattro o cinque giorni, durante i quali gl'inviti si e- rano susseguiti, domandai così, per giuoco, alla mia fidanzata, se sareb- be stata capace, a suo tempo, di a- doperaro anch'essa aglio e basilico con lo stesso garbo materno. Scattò che mi avrebbe divorato. — Se mi sposi purché ti facc ia i ravioli — m\ disse — ricordati che quando saremo marito e moglie tut- to mangerai fuorché quelli. Non avevo parlato di ravioli : allu- devo, se mai, alle trinette. Capii in ogni modo ohe l 'amore ci univa ma ohe i ravioli ci avrebbero diviso, e dopo qualche altro pranzo mi allontanai. Ecco, per essere precisi, come fi- nì: Cera, in quel patio, un'altra ra- gazza che incominciai a corteggiare. E una sera mi cacclaron di casa. GIACOMO PAVONI
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