LA CUCINA ITALIANA 1935

12LACUCINA ITALIANA 1° Agosto 1935-XIII SIGNOR' ILITÀ COLLAETTIV E IF Ri cordo d'aver letto, qualche tempo fa, su di una rivista, l'appello di una giovanetta (che doveva, poi, morire a vent'anni), che voleva riunire le fanciulle italiane in un legame idea- le, in una « confraternita dell'ama- bi l i tà», per praticare tutte insieme ed individualmente bontà e cortesia ed amabilità verso il prossimo, non solo nella sostanza, ma anche nella fórma. La idea era ottima, e (come succede spesso delle cose ottime) de- s t i nata a cadere... Vogl iamo risusci- tarla, senza « confraternita » e sta- tuti, nelle nostre famiglie e dapper- tutto dove ci troviamo? Ma alcune di noi sono di tempe- ramento scontroso, difficile, musone. Niente paura! se riusciamo ad ac- corgercene, siamo ormai sulla buona via per correggercene, specie se ri- f lettiamo che l e persone « d i tempe- ramento di ff ici le» sono sempre schi- vate, mai desiderate e ben poco amate. Incominciamo dal mattino; quan- do la nostra cameriera ci porta il caf fè, ben lavata, ben pettinata, gra- ziosa e fresca nel grembiulone bian- c o ed azzurro (ohe adesso ha sosti- tuito, fino ad ora di colazione, il ve- stito nero d'un tempo) diciamole con un buon sorriso che ci fa piacere vederla cosi..., quando ci porge il caf fè diciamole «graz i e» . .. Non imi- tiamo, per snobismo, gli inglesi che calcolano la servitù delle macchine semplici macchine, che mai ricevo- no o ricambiano l 'augurio di bu^rl giorno, buon riposo, buon viaggio e buon r i t o rno- l i « grazie » non è speciale corte sia, è dovere di ogni persona bene educata, sempre e specialmente ver so gli inferiori. Trattare scortese mente i dipendenti ed i domestici è segno di poca signorilità e di ani- mo volgare. # Si! * Appunto. Mi trovavo giorni fa sul treno Roma-Ostia che è a classe u- nica. Avevo vicino una vecchia signo- ra dall'ari? molto dabbene ed avevo di fronte due ragazze dall'aspetto ci- vile e bene aggiustate. Dal loro discorsi compresi che era- no domestiche ed udii queste frasi: — E' la mia padrona che « f a le par t i» delle pietanz-;; io, quando ho da lei il dolci o la frutta, dico gra- zie, altrimenti no, perchè la minestra, il pane, il vino, ecc., mi toccano per diritto. — Anch'io... La vecchia signora le guardò e si rivolse loro: - E quando portate un bicchiere d'acqua alla vostra signora, che cosa vi dice lei? - Dice « g r a z i e» — rispose una delle due un po' stupita. — Dice « grazie » pur avendo dirit- to a quel bicchiere d'acqua.... ed è appunto in questo la sua superiorità verso di voi... Giuste, equilibrate e sane parole. * * * Ricordiamo senlpre quel luminoso esempio di regalità che fu l'indimen- ticabile Regina Margherita, nei tem- pi in cui la classe lavoratrice era ben altrimenti trattata di ora (cioè era trattata male! ). Un giorno du- rante un'udienza, un raggio di sole stava per sfiorare una signora, se- duta in poltrona davanti a lei. Ella se ne accorse, suonò il campanello, accennò al domestico accorso il sole e la tenda, colle parole « v i prego e, quando quegli si - ¡tirò, disse « Grazie ». La prima parola che noi dobbia- mo insegnare ai bambini è « gra- zie »... prima a Dio e poi agli uomini. — Ma, allora — osserverà qualcu- no — bisosyn cassare la giornata a dire « g r a z i e ! ». Si, se vogl iamo essere ed apparire bene educati. Ri cordo un giorno, in autobus. Sta- vo accanto ad un fattorino, che istruiva un collega novizio nel mestie- re, e lo udii dire, accennando ad un generale che saliva: « E ' l'unico che dica « grazie » quando gli faccio cen- no di non disturbarsi a mostrare la tessera... deve certo essere qualcuno di Casa reale ». Io fui ben lieta di sentire così radicata nel popolo la convinzione giustissima della grande signorilità, unita alla grande semplicità della nostra Corte, e notai come la cor- tesia genera cortesìa e conta ammi- ratori... Sempre l'esempio viene dall'alto... Ricordiamo l'infelice Maria-Antoniet- ta regina Francia, che, -juando sta- va per porre il capo sotto la in- fame mannaia, urtò con il piede il carnefice; si volse e gli disse: «Scu- sate, signore». * * * Al fattorino del tram che cambia un pezzo d'argento, allo sportello dove si prende un biglietto il resto, un documento, una ricevuta, al do- mestico che apre la porta dell'ap- partamento o dell'automobile, al ca- meriere che ci consegna la posta sul vassoio, alla barista che ci po r gj un bicchiere, al postino che consegna una raccomandata, alla « maschera » che indica il posto al teatro, si ri- sponda sempre con un « grazie » bre- ve e cortese; si domandi sempre « per favore ». Talune signore pensano (e molte me l 'hanno det to ): Se noi meridio- nali trattassimo le nostre domesti- che colla cordialità con cui voi trat- tate le vostre rispettose friulane, es- se il giorno seguente, ci darebbero « del tu ». Un momento; a parte la buona razza delle friulane, il « grazie », il « portami un fogl io di carta, per piacere », non significano famigliari- tà col personale, famigliarità che non è affatto signorile. Il tono con cui si paria ai domestici deve essere cortese, ma tale da escludere la fa- migliarità; ognuno deve rimanere a suo posto, nella vita. Non a tutte succederà ciò che suc- cesse ad una mia amica, il cui pri- mo cameriere — che era stato con- gedato sergente — fu promosso, du- rante la grande guerra, prima sot- totenente poi tenente, arrivando al grado del suo ex padrone. Egli chie- se di ossequiare marito e mogl ie; io ci fui presente, e confesso che am- mirai la f orma che il colloquio —• difficilissimo — assunse, per merito del grande tatto e della squisita cor- tesia dei due, cortesia che avevano sempre usata col loro domestico, ed a cui questi rispondeva con eguale senso di misura e compostezza. In- fatti, i domestici delle famiglie ve- rariente signorili sono sempre cor- tesi ed a posto, mentre i domestici degli arricchiti nascondono con del- la vernice e col chinare troppo la schiena, la loro malevolenza, il loro odio contro chi sono costretti a ser- vire, mettono dèi soprannomi, sono sempre pronti a tradire, ad abban- donare ed a diffamare padroni » — Si dà del « tu » o del « voi » o del « lei » alla servitù? — mi chie- dono spesso delle abbonate. Una volta si usava (da Roma in su, cioè dove non si dava a tutti, poveri e ricchi, parenti e dipendenti, « del voi » ) , dare del « tu » ai do- mestici, sia privati che dei circoli, che dèi ristoranti, ai portieri, ai coc- chieri, sia di casa come pubblici, agli attendenti. Adesso i padroni dan- no del « t u » - d un domestico solo quando egli è nato sotto il loro tetto o quando l 'hanno conosciuto bambi- | no, altrimenti gli danno del « voi ».

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