LA CUCINA ITALIANA 1935

I f e b b r a io 1935-XI II T.A CUCINA ITALIANA" Un pia®i! di Andare d!e Saort 1S Ai tempi in cui Andrea d e l ' Sarto «moreggiava fel ice con la sua Lucrezia, che doveva sposare dopo non molto, «1 fece ammet tere nel la Compagnia le* l 'aiuolo, cedendo non t an to alle pressio- ni degli amici, quanto al segreto desi- derio di tenersi, in lieta e ardi ta briga ta, vicino alla casa del l ' amante, si tuata »ei. dintorni. Cosa fosse quel la Compagnia ben si capisce dal nome. Sj t rat tava di man- giare, da art ist i, per un poco diment ichi di tutto. .Essa, in Fi renze, f u la pr ima ad ot tenere la celebri tà per l ' ìmponao. za fantas iosa delle sue r iunioni, dov? ribolliva I4 gioia del Rinascimento. B se non ci è noto quando ebbe inizio, sappi amo però come prendesse quel ti- tolo; il quale dei resto non ha niente di s t raordinar io in conf ronto delle de- nominazioni s t rane o spesso sfacciati scel te al lora e sempre dai fondatori di simi li Compagnie. Già da qualche anno in via del la Ss pienza, nelL. stanze dei Rustici, si ra- dunava assai f r equen t emen te un g r up, pe t to di amici per merendare o cenare. Un poco al la volta in ques ti conviti si era stabi l i ta una gara a chi inventasse le più ma t te cose del mondo. Il fat to fece accrescere il nume ro dei convitan- t i ; si cominciò a stabi l i re del le regole; c, infine, si formò una vera e. propr ia gompagn i a. Soltanto i riscaldanti impulsi dell 'a- more potevano f ar si che il pal l ido An- drea sapesse mantenersi all 'altezza deiia si tuazione in quel l ' agi tato ambiente di giocondi tà: vi si di s t inguevano i pi t tori Spi l lo e Domenico Puligo. l ' orafo Ro bet ta, Aristotile da Sangallo, Francesco di Pellegrino, Niccolò Boni. Domenico Baccelli, cantante esimio, il Solosmeo scultore, Lorenzo det to il «Guazzetto» « Ro' er to di Fi l ippino Lippi : scortati da musici e t ipi piacevoli, come un Feo d'Agnolo, gobbo, suona tor e di piffero, un Raffaello del Beccaio, un Cecchino dei Profumi un ta! Baia, bombardiere, g r and e inventore di bur le e facezie ma. liziose. Ma basterebbe per tut ti il parla- r e di Gian Francesco Rustici, pittore, •cuùtor e archi tet to, nonché patrizio, pro- pr ietar io del la sede della Compagnia, al- logata nel suo studio, g pr incipale fon- datore. Egli faceva del l 'ar t? più per di let to t desiderio d'onore che per bramosia ài guadagno. Perciò f u amicissimo di gr an, di signori e di grandi art ist i; f r a i qual i, per non par lare d j Andrea del Sarto, suo intimo, Leonardo da Vinci, legato 1 lui da vivo affet to t d al ta st ima. Tem- peramento aper to, generoso, cui doveva toccare di subi re un giudizio p a ndo s- sale quando, venduto un podere per non infast idi re 1 consoli dell 'Arte dei Mer- canti con richiesta di danaro, onde mi- niare le t re statue commessegli e de stinatg a sovrastare una por ta del Bst tistero, si vide r icompensato con mal t rat tamenti e una quinta par te del valo- re del l 'opera, su st ima fa t ta dal legnaio lo Baccio d'Agnolo, prefer i to dal pr ìnci. pale «lei Consoli al divino Michelangeli.-. La sua bizzarria e r a pari alla sua boti tà ed al suo ingegno. Aveva addon-esti cata un' ist r ice c la teneva per !a casa come un r a n e; quando s ' andava a ta- vola il padrone la chi amava; e quel la, sotto, senza volere, teneva in al larme i commensali al vai e vieni dei iung»i aculei. Per tur i , are gli amici lascia -n anche che un ' aqui la si aggirasse per l i casa; poi c ' era un corvo curioso, t re mendo; e, quasi non bastasse, al leva?* in una. stanza chiusa un gran numero di serpi, che durante il solleone fac» vano il diavolo a quat t ro, Era regola fondament a le che ne! ! e r i« «ioni ogni banchet tante por tasse da càia lì propr ia cena. Ed essendo stato creato uaa specie di di ret tore a turno, costui scambiava la cena del l 'uno con quei is del l 'al tro; e mul t ava coloro che per ca- so . avessero por tato una stessa vivanda. Poi, na tura lment e, ognuno faceva assag ^iarc in giro il piat to avuto. I l di ret tore nominato in precedenza per l 'occasione doveva pr epa r a re vive sorprese nel l ' addobbo e nel l ' intonazione del t rat tenimento. Una sera, dunque, che si trovava in carica l 'al legro Rustici, i compagnoni, in luogo del la tavola, tro varano un immenso paiuolo forni to di manico a semicerchio, elegante soluzio. ne Per s i s temare i lumi in un fitta ser i? di fiammelle ad arco. Con tela d i p i n ti era stato camuffato un t ino. Gli amici furono fat ti salire in cima e a3side :«i lungo l 'orlo che fungeva da desco. Ceni e mangiatori erano stati messi in peli tola. U11 meccanismo nascosto spingeva dal mezzo del paiuolo un albero che da motli rami dist r ibuiva i piat t i, eppoi ridiscendeva. La manovra si svolgeva a suon di musica, ma i mus icanti non si vedevano c le melodie pareva par t issero da sot to l ' esagerato recipiente. Quella sera le imbandigioni por tate non furono da meno del la mensa. Il Rustici, per par te sua, presentò nn p i iticcio in forma esso pure di paiuolo, con dite figure sul bordo, rappresenta«- ci Laer te re d' I taca, tuf fato dent ro dal tiglio Ulisse, a scopo di ringiovanimea- to, e guardando meglio quei due per- sonaggi pe r f e t t amen te confezionat i, si scopriva che f r ano due grossi capponi lessi ripieni di leccornie. Tre commen sali, informat isi a t radimento della sor- presa preparata, avevano por tato; il pri- mo, un'oca grassa camuffata da stagna ro, con tut ti gli s t rumenti atti a ripa rare il paiuolo; il secondo, una porchet ta eotta in forno vestita da fantesca ch e filava vigi lando un» covai» ài pulcini e dest inata a r igovernare il eijnbollc» recipiente; il ierzo, ima testa di v i t e l li r ipiena e model lata a incudine per mal- te 11 ar ia. I n quanto ad Andrea del Sarto, ecc--», secondo la descrizione del Vasari, la vi* vanda che aveva i dea t o :: «Rappr esen- tava un tempio ad ot to faccie, simi le » quel lo di San Giovanni, ma collocato so. pra colonne. Servivagli di base un gran- dissimo vassoio pieno d! gelat ina simu- lante un pavimento di mosaico e scoiti' par t imeuti di vari colori; le colonne, c h i parevano di porfido, erano gl andi egro»- si salsicciotti, la base e i capi tel li erano di cacio parmigiano, i cornicioni di p i . sta di zucchero e la t r ibuna di quar ti di marzapane. Nel mezzo vedevasi il» leggio, come vedescue nei cori del l* chiese, fa t to di vitella f redda con un messale di lasagne, che; aveva le let tere e le notg da cantare fa t te a f u r ia di g ì * nelli di pepe, e quei ch e cantavano a! leggio erano tordi cotti col becco aper to e ri t t i, con ce r t e camieiuole, a uso <H cotte, esegui te con rete sot t i le di porco, e diet ro a ques ti Cori, per contrabbas.i,, erano due piccioni grossi con sei ortola- ni che facevano da soprano. Questa cena ebbe tale successo, eh» sul momento venne del iberato di chi» mare la società: » Compagnia del Pa iu» l o » ; e ne f u steso anche lo statuto. Eccezionale, come t ra t to psicologico cont rastante, la partecipazione di Ali, drea dei Sar to al pr imo consesso di buongus tai ch^ sia stato regist rato -"ili« cronaca del suo tempo. Non solo: la le tizia doveva durare, giusto al l 'epoca di un' al t ra fondazione ancora più s t ravi- sant e, a proposi to d ' una Compagnia tan- to famosa da assorbi re la pr ima e ciò* 1 quel la della cazzuola, cosi battezzata ad unanime ispirazione per il bel tòcco di cucina che, con una cazzuola, i lBa ia incu- teva in bocca a Feo il gobbo suona t ori di piffero, ment re quel lo ad occh; chiudi aspet tava dal l ' amico un pezzo di ricotta, laggiù nel l 'orto a via del Campaccio, l ' anno di grazia 1512, in cui Firenze ve- deva g l j odiati Medici di r i torno per ' « seconda volta. Poi l ' ar te gioconda, la l ibertà di rida- re, la ghi ixteuer ia. la burla, finiscono per l ' amante della bionda Lucrezia, « Una volta divenuto suo mar i to — d i e , il Vasari — egli stet te pressoché sempr«' in doglie fino al l 'ul t imo respi ro ». capricciosa f emmi na era un bel "c pa- sticcio » aoa fatto dal le s u e mani. REMO CHITt

RkJQdWJsaXNoZXIy MjgyOTI=