LA CUCINA ITALIANA 1935

T marzo 193Ö-XITX t-A CUCINA ITALIANA Vanna Marta ha festeggiato il suo compiemmo con v» ricevimento al quale sono stati invitati pochissimi amici: gli intimi. Ma non tanti, che la casa ti piena. Tra i suoi amici Varaueama è ap- péna una conoscenza., ma parlandomi di Tei con quella, dolce bontà con cui parla <H tutte le sue amiche che ne dicono male, donna Marta mi di- ceva giusto ieri d'averla invitala per chè subiive il fascino della sua bel- lezza. -- Che vuoi che ti dica Giorgio ! Sei cotto, li vedo. Ma ti giustifico. Ti capisco tanto, che se fossi un uo- mo avresti in me il tuo più pericola- no rivale. — Donna Marta., che dite? — Che hai ragione, figliolo. Vuol che ci avviciniamo al gruppo delle belle? Eccole là: guarda se Io stes- sa Silenzi non pare una grazia an- che lei. • Ma parla troppo di tutto. S'in- tende di troppe cose. — E' un intelletto vivido. — Che se ne fa allora dei miei brillanti... — Ma tu, scusami, perchè glie lo hai raccontatof — Io ? Me se devo ancora sapere chi ha inventato la panzana! — Questo non esclude che quan- do ella insisterà sulla tua scoperta tu l'abbia avvalorata annunziando la pubblicazione di un volume che non scriverai mai. —•• Potevo, Marta, voi che conosce- te quell'episodio doloroso della mia vita, dirle la verità" — Certo: l'aver puntato sopra una carta la fortumi della propria fami- glia, abbandonando quasi alla vigilia, delle nozze la donna che ci amava con tutta la sua tenerezza, non è un gesto che ti nobilita; ma è un gesto pieno di nobiltà quello di aver paga- to la propria colpa affrontando di- sagi, fatiche, la faine, per ricostruir- si da uè, col proprio lavoro la fortu- na perduta... risalendo dai pozzi del- 'e miniere in cui eravamo scesi per "•''prendere intatto il proprio none. Eh si, la ricchezza, il nome! E il resto« — Vuoi venire Giorgio? Entriamo anche noi nel calottino "•a cui si eccede alla, : rande sala, di 'icevimento, e ci avveiniamo al grup- delle tre Grazie. La Contèssina Silenzi, '-he aveva Sperato di trovar- mi lunedi della settimana passata al the di Graziella Rwvoi, una provin- ciale come ella- chiama quella nostra, comune amica che ha rinunziato vo- lentieri al suo ducatino per diventare la moglie di un banchiere che la tra- disce ma V adora, m'aspettava, al varco; ma la mia buoìia amica pre- viene l'attacco. — Sei proprio convinta — le dice —che si trattasse di diamanti 1 — Scommetto che sono falsi; lo di- SOC. CERAMICA RICHARD- G I N ORI PORCELLANE E TERRAGL IE D A T A V O LA ceno: fondi di bicchiere! Saranno siati almeno di cristallo? —• Nulla di lutto ciò, amica: le mi- niere esistono, ma sono di salnitro. Scusate, un momento. —- E l'inganno del libro? — Verrà, pieno delle mie avventu- re — rispondo. — Vita romanzata? — Racconterò la mia vita eh,'è di per sò un romanzo. W più semplice. — Sarà lei, conile, — mi domanda ora la bella araucana — il pe r sona le più importante o vi sarà al centro de suv i da una de aque l l as c i l enas che ha conosciuto laggiù? — E' probabile che nello sfondo del romanzo che si pre a Monte- carlo per conchiudersi, spero, in que- sta, mie Roma che ho lungamente invocato nei miei anni d'esilio, vi sia a mia, persona... — No comprendo: mi spieghe. X poi u suo enigma. — Purché non si tratti di un altro trucco come quello dei diamanti - Non abbiatecene a: Diale, Gior- aio, r mia piccola vendi'la. che mi son presa, per la disillusione che mi avete datu, Dopo la frecciata la contessine Si- lenzi se ne vn anche lei: resto in quell'angolo <feZ calottino coll'arauca- na e la marchesana Walescki cne guardandomi imbambolata mi do- manda senz'altro quale 1 mistero cir- condi la mia, vita. —- Nada, marchesa, risponde per me l'araueana che non sa nulla, del mio passato nemmeno lei, ina se ne preoccupa meno. — Che mi s ter io vuole che ci sia! Ha b rà amato e avrà poi abbandona- to la mu cha cha che amava, perchè si s a rà tmamorato di un'altra mujer. Sono tutti cos'i los bombres. .. — Può darsi che abbiale ragione, domm Carmen, come potrebbe darsi cliè le cose fossero andate diversa- mente. — I.o domanderemo a donna Mar- ta: el la debo saber. .. — Ve lo dirò io stesso: posso rac- contarvi la mìa vita senza arross i re, *Gi siamo raccolti in mi angolo del salotto ch'è rimasto com'era. C'è, sul. pianoforte a coda lo stesso damasco e nella parete centrale quel suo ri- tratto di quando aveva vent'anni. E' vestita da. mattina, con un abito am- pio a gale e una pmnela. enorme cui fiammeggia una corona, di papà- veri. Nulla è mutata: E' lei, ancora bella. — Tornai iunque a .io ma, dopò quella notte di Montecarlo, con la de- cisione già presa. Ebbi con mio pa- dre un lungo colloquio, ma ci la- sciammo -ereni. Partii l'indomani per Genova e m'imbarcai il giorno stes- so a bordo del « Margherita », un pi- roscafo che mi avrebbe portato nel Pacìfico. Non avevo con me una so- la commendatizia. Non dovevano su- pere chi fossi: presi un nome spagno- lo: Alvarez. — Giorgio, ma, si può sapere che fai? Non solo ti allontani dalla pa- drona, di casa ma le rubi te amiche, che oggi sopratutto sono esclusiva- mente sue. — Smino da voi Marta, scusatemi Offro il braccio a, donna Carmen; Marta, ci ?"eèede con la marchesa. — Mi racconterà poi, eondo. Adon- de a imuer za mar i ana? — Adonde Vas quieza, dof ia Car- men. — La espero. — Eni riamo nel salone nel mo- mento cui l'orchestra attacca la sesta, sinfonia.. GIORGIO »1 TORRKBRUNa

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