LA CUCINA ITALIANA 1936
LA CUCINA ITALIANA 1. Giugno 1936-XTV sto:: dòpo le Pi ramidi, vol eva del pilaf e dei datteri. Un giorno gli venne il capr iccio di ordinare agli As i at i ci del la sua Casa di pr epa r a r e -un pas to al la ma- niera cinese. Ma, di sgustato dall 'a- spet to dei cibi, li respinse e f ece ser- vire del ie costolette per s f ama r si il che f e ce voracemente. Un' a l t ra vol ta ordinò una zuppa, da soldato. Non osando servi r la se- condo la f ormu la rudimentale di ca- serma, gli f u servi ta una zuppa leg- germente modi f icata con pane e fa- gioli. Ma i l «pi ccolo capor a l e» non ne f u contento e per il giorno suc- cess ivo vol le unsi «zuppa da solda- t o» regol amentare che gli f u servi- ta a dovere. I l ca f fè gli f u sempre indispensa- bile. A l la Malmai son gl ielo serviva, debi tamente inzuccherato, l ' imperia- le consorte. S'egli non beveva un po' di ca f fè caldo, la digestione gli r iusc iva dif- ficile. A Sant 'El ena fu pr ivato a lun- go di questa bevanda prefer i ta. Quando potè berne ancora dimostrò al legramente la sua soddisfazione. I l governatore di Sant 'El ena sem- brava compiacersi a tormentare l 'au- gusto prigioniero lesinandogli le provvigioni e costringendolo a priva- zioni. Napoleone, che so f f r i va atroce- mente mal di stomaco, fini per peg- giorare le condizioni del la sua salu- te g ià minata dal c l ima micidiale dell ' isola. Divenne sempre più di f f ici- le da accontentare, di nessun cibo era contento con grande af f l izione dei suo fedele cuoco Chandel ier che l ' aveva segui to fino nell'esilio. A L P A . Bistecche a vela latina BRUWÌÌ O G N I F A M I G L I A r i sparmia in un a n n o LIR E200 cons e r vando oggi 5 0® U O AV eoi f amosi Pa c co per 5 0 0 u o v a f ranco domi c i l io L, 28 COM.T L A I !IN & C . J E S I ( A n c o n a ) Era facile dimostrare che la carne arrostita non l'avevano inventata i nostri amici inghilesi: non è altret- tanto facile, signora, dar qui la dimo- strazione che la bistecca è stata in- ventata dai fiorentini. Che a Firenze si mangi bene è un fatto su cui non si sollevano dubbi. La, cucina fioren- tino e tra le più gustose e le più deli caie, nè mangi altrove gli arrosti o i fritti che ti servono in, quella mera- vigliosa città, che aggiunge alle sue armonie anche questo equilibrio. Il che non esclude che si mangi be- ne in quasi tutte le nostre città. Ma i fiorentini, per certe loro pietanze hanno un gusto, una finezza, un eqiù- librio appunto che non sono comuni. Mi riferisco a quella cucina casalinga ch'Ella ha ragione, signora, di prefe- rire a tutte le manipolazioni dei gran- di cuochi. D'accordo, dunque, nel ri- conoscere che la bontà della cucina è in rapporto alla sua semplicità. E' quello, del resto, che io sostengo da molto tempo in questa nostra ri- vista, che vuole sopratutto esser vi- cina alle nostre massaie, così esper- te, del resto, nell'arte di « cucinar sa- porito badando al risparmio ». Le dirò poi quello che io pensi del- la bistecca che i medici sconsigliano ai miei denti canini; ma a %woposito del risparmi ai quali ella accenna, mi consenta di dirle che non vedo la necessità di aggiungere agli umidi o alla trippa le patatine novelle che san di terra e che io preferisco a sè. Avremo occasione di parlare un'al- tra volta degli umidi familiari sulle basi di cotesta economia che una buona mamma non perde mai di vi- sta; ma lasci, signora, che la trippa alla fiorentina io la mangi tagliata a striscioline lunghe e sottili mescolan- dola a un po' di zampa di vitella, rac- colta in un tegame di terra cotta, con un umido asciutto, se posso render così l'idea, di cui sia rimasta tutta la lucentezza dell'olio, un nulla di bu-r- ro crudo e molto formaggio parmi- giano. Servita così, è una pietanza che ti resta nel palato e nella memo- ria, indimenticabile. Pietanza familiare, d'accordo, ma che ¡non è necessario amalgamare con le patate per arricchirla, proprio per le ragioni di cui parlavamo, che som quelle della semplicità. Tornando, dopo questa parentesi, alla invenzione della bistecca, io non sò, dunque, chi l'abbia inventala, ma sò che come la mangi a Firenze non la mangi in nessun altro paese dei mondo. E' quindi probabile che i fio- rentini tengano, in cucina, a questo loro primate. Oliando parlo della bistecca fioren- tina mi riferisco a quella della lomba- ta, la bistecca a vela latina, come l'ho sentita chiamare una volta da un im- maginoso barcaiolo livornese che la aveva rizzata sul piatto e... guardan- dola, non doveva aver pensato ai ter- zaroli per entrare in porto. Che la bontà della bistecca dipenda dalla qualità della carne è vero; ma non è meno esatto, signora, che molto di- pende dal modo con cui la bistecca viene arrostita, che se la getti sul- la lastra rovente della cucina diventa il solito pezzo di carne che puoi man- giare da per tutto con mille sa,pori. I fiorentini arrostiscono invece la lo- ro bistecca sulla gratella, col carbon dolce, a fuoco lento e uguale, ungen- dola con olio e servendotela così suc- cosa e fumante che capisci allora la esclamazione del barcaiolo livornese che faceva tutt'una gioia coi suoi più vivi ricordi di marinaro. S- P- DIABETICI Il Laboratorio Chimico Gugliel- mo Senepa, che da molti anni pre- para Discoidi di' saccarina, oramai da tutti preferita per la pronta so- lubilità e la accurata preparazione, comunica che ha messo in vendita flacoìieini doppi, contenenti 200 di- scoidi, che si vendono in ogni far- macia al prezzo di L. 7.50 il flaco- ne. Naturalmente, l'acquisto deve essere, come sempre, prescritto dal medico.
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