LA CUCINA ITALIANA 1936
10 LA CUCINA ITALIANA 1» Agosto 1936-XIV C o n s i g l i cc fieseffa I l mio vicino è dovuto uscire dopo cena; ed io son venuta a tener com- pagnia a Rose t t a. L a brava massa ina ha già messo il pupo a l et to : ed ora è dietro a sbri- gare le ultime faccende del la gior- nata. Si chi acchi era: ma, via via, Ro- s e t ta dà nelle smani e: — Dio! Che caldo! Che dal do! I n f a t t i si soffoca. L ' a fa ci snerva, ci affloscia. Meno male c 'è un venti- latore. Vado per me t t ere la spina. Un bagliore. .. Uno schianto. .. Addio! Si è bruc iata una vàlvola. Siamo al buio! Ros e t ta si sgomenta. — E ora come si f a ? — S i accende una candelai — Se ci fosse! L a sgrido; — Ah, Rose t ta, Rose t t a! Una can- dela in casa ci deve essere sempre, già infi lata nel candel iere e in un luogo stabi l ito, in modo che anche al buio si possa t rovare! Lei si scusa —: E ' la pr ima volta che si bruc ia una valvola! . .. — Ma il pericolo di vedere andar via la luce da un momento al l 'al tro c'è sempre. Un temporale., un gua- sto al la linea... Che farebbe se si tro- vasse al buio, di notte, con Fol co svegl io? — Beh! — concludo — andrò a prenderla in casa mia, una candela! Vado e, ment re torno sol leci ta sui mie passi, m' imbat to nel la giovane domest ica d'una signora di r impet taia. So; che quella ragazza se la cava abba>' :anza bene nel r iparare valvo- le ed : interrut tor i: '1 suo incontro, perciò, mi sembra provvidenziale. — O Nlna — le dico — la s ignora Ros é t ta è r imas ta al buio. Si è bru- c i a ta una valvola. Pot rebbe venire un momento lei... Non mi lasc ia nemmeno finire. Si- curo che può: Giusto le è r imas to in tasca, da dianzi, un pezzetto dì filo da valvole. E ' , nrnprio duello che ci vuoie. Mi segue. Armena ent rata in casa, si ar ramnl ca sullo scaleo e. a lume di candela, in un bat t er d'occhio ri- para il rruasro. Un fiotto di luce Inonda la cucina. Ros e t ta manda un sospiro di sollievo. — Se Dio vuole! La N<na sorrìde, soddisfat ta del- l'opera sua. . — Mi d;ce — le domando — cni le ha insegnato a f ar l ' elet t r i c i s ta? — Nessuno — risponde — Ho im- parato da me. E noi mi racconta che una sera d' inverno, per un guas+o al termoforo, la sua camera r imase al buio. E 'n casa non c 'era nemmeno un mozzico- ne di candela! In tutta, la notte la Nlna non potè chiudere occhio. Quel sent irsi pri- gioniera del l 'oscuri tà la riemnlva di ' •' ! -r i lento. D' al lora in poi, ogni vol ta che ha visto r iparare una valvola o un interrut tore è s t a ta bene at ten- t a : e ha finito per imparare qualche cosel l ina anche lei. Fa c c i amo a l la Nina tut ti gli elo- gi che si mer i t a: e, dopo che se n'è andata, c a r i ca di r ingraziamenti e di cioccolat ini mi rivolgo a Ros e t t a: — Vede—, le dico: L' esempio di quella ragazza che, memore di una costrizione subi ta, r i esce a met tersi in grado di non subi r la più mi dà un senso di mort i f icazione. Ro s e t ta mi guarda: — Pe r c hè? — Io, al buio ci sono r imas ta tan- te vol te! Sono s t a ta male, mi sono ar rabb i a t a: ma l ' idea d' imparare a f ar da me non mi è mai venuta. Ho incroc iato supinamente le bracc ia e ho aspet tato che qualcuno venisse a levarmi dal l ' imbarazzo. — Noial t re donne s iamo quasi tut- te così. Qualcheduna più brava ci sa- rà ; ma, in genere, in queste cose non ci s i raccapezza. — Oppure, si crede di sapere e non ci si raccapezza. Anch' io ho avu- to sempre in me la certezza ist int iva che questo ramo della tecnica, anche nelle sue più piccole e prat i che appli- cazioni, non sia accessibi le al la mia mental i tà. Nè mi sono mai occupata d' indagare se la natura mi abbia realmente dotata di qual i tà così ne- gative. Pe r c iò valvole ad interrut tori hanno serbato, ai miei occhi, il si- gnificato ermet ico della s c r i t tura ci- nese. Guardi, dunque, quanto vale più di noi la Nlna. .. — E anche di me : —- Sicuro. Anche di lei. E questa è una cosa che non va. Bi sogna noi pure arr ivare dov'è ar r iva ta quella ragazza sempl iciot ta e, magar i, sor- passarla. Ros e t ta sorride. — E come f "~emo? — Come ha f a t to l e i - L a mia vicina segui ta a sorridere, benevola. Mai avvedo però, che la mia «idea» non la fanat izza punto. Insi- sto: — Dopo tutto, figliuola, parlo più per lei che per me. Io appar tengo a una generazione crepuscolare a cui la stanchezza l imi ta il bisogno di at t i- vità. Es s er forte senza abdicare ali? propria femmini l i tà: ecco il prin- cipio al quale deve informarsi la co- scienza della massaia novecent ista. Lot t are con energia virile cont ro le insidie della vita senza mascol inizzar- =r ma, al tempo stesso, non f are del- la nronria senoibi ltà una ragione di anacroni s t i ca debolezza. Ecco, Rose t ta quale sarebbe il mio «tipo» di donna moderna. I l vecchio elidè della don- n/ che ur la di spavento al la vi sta di una rivol tel la scar i ca: che rabbri- vidisce al pensiero di fare u n ' i n d i o ne non è più compat ibi le coi nostri tempi. .. Avant i: senza esagerare! Noti trovo igienico nè ut i le che una gio- vane c i c l i s ta si accodi ai bollenti «gi- rini» sulle vie polverose e assol ate: ma approvo la giovane sposa che, per comodi tà, va a f ar la spesa ir» biciclet ta. — Dunque — mi domanda la mia Rose t t ina — lei non mi cr i t i cherà sa riuscirò a persuadere Cochi (Cochi è il nomignolo al quale risponde suo mar i to nel l ' int imi tà f ami l i are) a compi armi la bi c i c l e t ta? — E perchè dovrei c r i t i ca r l a? Pausa. — E se le dicessi — riprendo — che la bi c i c let ta è s t a ta il sogno del miei begli ann i? — Davve ro?! — Sogno inespresso ed inesprimi- bile. Verso la fine del secolo chiama- to, — a tor to o a ragione, non so! -- lo stupido ottocento, per un pa- ter fami l i as di mani ca l arga che con- cedeva al le proprie figlie le gioie del pedale, quale s e r r a ta coalizione di geni tori gr idava «vade ret ro» con- tro un esercizio r i tenuto troppo con- t r a r io al buon nome e al pudore del- le fanc iul le; ma per il quale mol te fanciul le si struggevano in segreto! EU io ero f ra quelle. Quando, nelle chi are mat t ine del- l ' iniverno fiorentino, vedevo passare in bi c i c let ta sul Lungarno gruppi di miss. .. inglesi r impresc iut t i te, tut te con l ' immancabi le canot t i era di pa- glia in bilico sulle chiome di stoppa. seguivo con uno sguardo pieno d' invidia e di rammar i co. Povere giovinet te ot tocent i ste della piccola borghesia ! Che vi ta scialba e monotona era la nostra! . ,, — Quali erano i loro svaghi? : — Giuochi di sala, un po' di teatro, fiere di beneficenza, reci te asf issianti di filodrammatici e passeggiate in compagnia di persone anziane, use a mi surare il passo sul r i tmo lento del- la convenienza. Quanto poi al l 'abbi- gliamento. .. Oh, Roset ta, che moda soffocante. Nè combinazioni, nè cu- lottes, nè gonne corte, nè gambe e bracc ia nude. : Tut t 'un armament ar io di nas t ri — quanto nas t ro! — di stec- che, di elastici, di faipal i, di pieghi- ne, e di bottoni, che, tenendo prigio- niero il corpo, ci rimpoVeriva il san- gue. Pa t imento e anemia. Vol ti e lab bra pallide. E al lora il bel letto era r i serbato esclusivamente al le donne d; malaf fare. Rose t ta, che non r i esc i rà mai a strappare al suo Cochi il permesso di adoperare c ipr ia e rosset to mi do- manda tut ta contr i ta. — Crede che sia proprio unsi brut- ta cosa t ingersi un poco le l a b b r a ' La quest ione è compromet tente. Perc iò mi st r ingo nelle spalle e cer- co di mut ar discorso. FRIDA
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