LA CUCINA ITALIANA 1936

10 Dicembre 1936-XV ILA CUCINA ITALIANA ST L'umeil amoer deall massaai L'amorosa cuciva vuol fuoco lento, La massaia che mette la pentola al fuoco mezz'ora prima di mezzogior- no ti dà quasi sempre una sbroscia. Puoi « arrabbiare » un pollo novel- lo in venti minuti; ma non si pre- para in venti minuti una buona taz- za di brodo nemmeno coll'estratto di carne, come non sarebbe possibile dar profumo a una minestra di fa- gioli o preparare in un quarto d'ora l'intingolo per le « pastasciutte » alla fiorentina » un'altra pietanza qual- siasi. Gli arrosti sopmtuito vogliono molto amore. Tutti: quelli in gratel- la o i cosidetti arrosti morti che han da rosolare lentamente nell'olio o nel burro che io detesto. Ma deve trattarsi di una mia idiosincrasia. Devo credere che sia cosi, perchè non si spiegherebbe come vi siano invece migliaia di persone che lo preferiscono senza sentire una vera e propria ripugnanza per. l'otto che Dio ci ha dato. avvolte di lardo no... Ma le allodole incamiciate net lar- do no. Nè incamiciate nel lardo, nè rivestite di prosciutto; ma nude, io le mangio come 4 tordi, morti nel tegame o allo spiedo, con una stri- scia appena di « rigatino », aggrazia- ti eli salvia, tra due fette di pane. Avvolgere nella « pancetta » un 'al- lodola tenerella, piccola da fame un boccone è lo stesso che abolire l'al- lodola, nel senso che acquista un al- tro sapore. Non bisogna abusare dei profumi. Non bisogna, sopratutto, con gli ar- rosti, abusare dei grassi col perico- lo appunto di alterare la sostanza delle jose. E' questo, del resto, il criterio di tutte lo nostre buone massaie, che in fatto di cucina dàn- no spesso dei punii ai cuochi di car- tello ai quali è riserbato un altro campo: quello dei miracoli. Ma non è qiiesto il tema. Ella mi domandava infatti, signora, come io possa conciliare la mia gola con le regole francescane eh« vo dettando in cucina. Non si scusi: « probabile ch'ella abbia detto la verità « pur conoscere- domi poco ». Accetto dunque la qualifica di ghiotto. Avrei preferito ch'ella mi dicesse che só mangiare, ma non mi considero offeso. E poi ella mi ha dato det goloso con tanto garbo, ohe le son quasi debitore. Non giusti fichi: Ma non ho, ve- de, l'anima di padre Zappata. Amo la tavola e non le nascondo, signora, che basta il profumo di una buona pietanza a mettermi di buon umore, ma non sono né mangiatore nè ghiotto. Mi piacciono le cose fat- te bene. Non disdegno un boccon- cino delicato ma preferisco la cuci- na semplice, casalinga, che ha mille risorse e il pregio di non guastare lo stomaca. Ma come ha fatto, signora, a g lieì-mi in flagrant et Ammettendo ch'ella abbia scoperto in me *un delicato ghiottone», non vedo che il giudizio sia balzato dalle mie conversazioni o dalie ¡ni» ri- cette. E sarei curioso ch'ella mi dimo- strasse con un suo esempio la mia flagranza..„. Chiamiamole contraddi- zioni. Io non le vedo. Il ohe non e- sclude che vi siano. Aspetto. Nell'attesa, le dirò che ri- spondendo nel numero precedente alla gentile signora che mi aveva mandato quella sua complicata ri- cetta sul modo d'imbottir le acciu- ghe, non ho parlato della loro bon- tà per metterla in dubbio. Ho anzi detto, in termini molto chiari, che aspetto con qualche trepidazione il mese propizio alla pesca di quel ge- nere di Cheppie, che portano in mag- gio, a banchi, il profumo della pri- mavera marina, per farne l'esperi- mento. E' qui la figranzat Mi era sembrato, a proposito di coteste ac- ciughe, di avere esaltato una volta di più la semplicità della cucina, se dichiaravo di preferire l'umile sar- dina sulla gratella di cui parlava la stessa gentile abbonata che ringra- zio delle parole cortesi. E ringrazio anche lei, signora, anche se von ho capito molto bene < torti ch'ella mi rimprovera graziosamente. E vorrei concludere 4n qualche modo. Vediamo s'è possibile metter- si d'accordo senza cadere in con- traddizioni. Non disprezzo la grande cucina che ha, tra gli altri suol pregi, quel- lo di appagare l'occhio: quindi tur- che un suo valore estetico. Non sono ghiotto. Non disdegno i bocconi prelibati come ogni mortale che abbia un palato, ma mi schiero tra coloro che ai cibi complicati a base di ripieni, di salse, d 'intingoli, dei quali troppa gente ha bisogno per stuzzicare l'appetito, preferisco- no la sana cucina casalinga che non richiede i mille intrugli nd l'arte di cuochi famosi per essere gustosa. A- bolisco con ciò, salse, intingoli, ri- pieni e -via dicendo t Nemmeno per idea. Non sarebbe possibile dar l'ostracismo a tutti gli intingoli senza abolire gran parte di quelle pietanze familiari che hanno, tra l'altro, una ragione economica: affermo soltanto che l'intingolo s 'ha da ottenere eoi mezzi più semplici, •.ma nude» quelli stessi di cui soltanto possono disporre le messaie meno agiate: le quali, non avendo a portata di mano nè la bottiglia del « xeres » con cui ella annaffia le sue •pernici, nè i! Porto, il Marsala o la Vernaccia con con cui ella divinizza i suoi fagiani o aggrazia appunto lo stufato, si con- tentano dògli odori comuni — aglio, cipolla, sedano, pomodo o, un chiodo di garofano, una goccia di vin bian- co comune quando vi sia — diviniz- zandolo col proprio amore. Perchè c'è un amore in cucina umile e santo col quale le nostre umili donne, so» stituiscono le sapienza di tutti I cuochi. •> »

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