LA CUCINA ITALIANA 1936
14 LA CUCINA ITALIANA 1. Marzo 1936-XIY' !i ni i f i l i t i n a l " ieo n !d i pee s t Righe posposte, signora-: un- artì- colo, quetto sitila « morte del pesce », ch'era diventato una specie di rompi- capo- li penultimo periodo, alla quinta riga, ripigliava il senso con la pri- ma riga della seconda colonna; men- tre le uttime sette righe della prima colonna avrebbero dovuto, invece, essere inserite nel periodo della se- conda colonna che comincia con le parole: «I pesci vanno insaporiti ecc. », nella quinta riga, dopo le pa- role: «tutti loro». Prima delle paro- le: « dalla fragaglia allo zero »: veni- vano dunque le altre che cominciano: «dal grongo a Ipesce spada, dai la- certi ai totani ecc. ». E' chiaro ? Ella Ito aveva veduto, 10 so, e aveva dato alle parole, collo- candole al loro posto, il senso che avevano, sostituendosi al proto che si palleggerà, la responsabilità col- l'impacchettatore : ma io dovevo, co- munque, rilevare, non dico lo scem- pio, che non è forse il caso di dram- matizzare, ma gli errori, anche se le lettrici tutte, come lei, han ca- pito che il pastìccio non poteva a- verlo fatto l'autore. Dopo di che, signora, possiamo ri- prendere la conversazione, che a me sembrava esaurita. Devo tuttavia riconoscere che "te sue osservazioni sono giuste. Non le do, con questo, paiiita vinta, ma sono d'accordo con lei quando ella dimostra, fra l'altro, che gl'intingoli sono « un'arte del cuoco, un segreto della cucina e... costituiscono la. gioia dei buongustai ». Non ne avevo, dei resto, mai du- bitato. Nulla insaporisce di più i ver- micelli di una salsa di pò odoro... o 11 sugo di uno stracotto, oliando al- l'allegria di una pas t asc iut t a ta alla napoletana — la più semplice. — alla fiorentina o alla bolognese, ella non preferisca• — supponiamo — i so- praccapellini all'acciuga che ho visto una volta, con raccapriccio, coprire di parmigiano. Ma non le pare eh:, la mia morte dei pesce; senza, escludere gli umidi, al proponesse di dimostrare qualche altra cosaf Ho innalzato anch'io, come ho po- tuto, il mio inno al cacc iucco; ma le assicuro, signora, che del • cacciucco io preferisco il pane imbevuto di sa- pori e di profumi di foresta marina, pùr non disprezzando i pesci che l'hanno così insaporito. E non mi giudichi male se le dico che la tri- glia in umido ' perde qualcosa della sua saporosa freschezza. E' probabile che si tratti di una mia fissazióne, come non escludo che .queste, mie opinioni sul modo di cu- cinare il pesce derivino dalie mie abitudini di... marinaro in potenza, quando ella non creda invece di do- verle attribuire a ìitia mia semplici- tà, che può essere mancanza di gusto. Comunque -— e 'mi ero illuso d'aver- ne dato la dimostrazione — penso che tutt'i pesci debbaìio morire nel- 'olio o nell'acqua, che sono i loro elementi. Non è questa l'opinione dei cuochi? Ho già detto, a questo proposito, che i cuochi fanno il loro mestiere nobilissimamente, ma che nessuno saprà mai mangiare i pesci come lì mangiano ì marinai, i quali si preoc- cupano appunto di non alterarne il sapore con intingoli e droghe. E il modo o i modi son quelli, con L'amguilla non è pesce d'acqua sa- lata, non sale dagli abissi, non ha profumo di alghe o di scogli, ma na- sce di limaccio tii terra, e se non la inzeppi d'odori non la mangi. Che se il lettore l'avesse confusa col grongo marino, gli consiglierà allora di farlo a pezzi e di metterlo sulla gratella evitando di friggerlo a fette come farebbe con la murena, che non è cattiva nemmeno in timi- do, ma in buoìva compagnia, con una mezza aragosta piccola di un cento- cinquanta grammi, una fetta di den- tice o d'orata, qualche scorfano che vi lascìerà tutta la sua sostanza sic- ché la carne è insipi ta, un mezzo gattuccio, che vi. fonderà il sito sapo- re di bestino, un lacerto maggiolino, un polpetto da nulla e quanti altri pesci le piacciano, signora, per la mescolanza del cacciucco famoso, che io mangio con la sua stessa, gioia e la mia ghiottonerìa, e annaffio col generoso vin bianco della mìa ter- ra, ma del quale, ripeto, preferisco sopratutto la galletta, che inzuppata in quella salsa porterà al mio palato sapori e profumi di foresta marma. E ho voluto ripetere ciò, signora, a proposito del cacc iucco alla livor- (fuegli arnesi dA cucina di cui par- lavo: pentola, gratella, padella. Un altro lettore mi avverte a que- sto punto che ho dimenticato lo spie- do, amico di lontane tordate. Capivo dunque allo spiedo, tordi e beccacce o pollastri, ma il lettore che scrive ha memoria di un'anguilla dì Co- rnacchia profumata d'alloro rosolata a quel modo, e richiama la mia at- tenzione su quel fatto storico della sua vita. Non .le sembra signora, ch'egli esca dal seminato ? nese, non certo per demolire un piat- to di cui ella si sovviene con un sera so di nostalgìa, riandando col pen- siero alla sua villeggiatura dell'Ar denza, e che io celebro come uno dei più squisiti, ma per darle ancorò, la dimostrazione che le mie ricette marinare mirano, tra l'altro, a com- battere gl'intrugli che ci son venuti dalle cucine « foreste » le quali non hanno nulla di insegnare nemmeno ai nostri pescatori. 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