LA CUCINA ITALIANA 1937

G8 IA CUCINA ITALIANA 1» Novembre 1937-XVI L À P O S T A DE N I N A M'è capitato tante volte di sognare. A volte, sono sogni modesti, di ca- ra ttere casalingo: o che traggono dal- l 'ambiente fami l iare la loro origine e il loro sviluppo; a volte sono incubi: la cannella dell'acqua lasciata aperta inonda l 'appartamento ch'è il mio umile regno, e il letto naviga, galleg- gia come una zattera, infila le scale, se ne va alla deriva, trascinato da quel maledetto filo d'acqua, ch'è di- ventato torrente, poi fiume, poi mare, verso gli orizzonti infiniti e paurosi dell'ignoto. O tutto a un t rat to mi accorgo di essere usci ta di casa in una toilette così strana, così ridicola, così succinta, che mi metto a correre disperatamente per cercare un rifu- gio... Ma a volte invece è la megalo- mania che si disfrena, in sogno: chi sa mai qual lievito di vani tà o di ambizione che germina insidioso e subdolo anche nella fantasia di una umile madre di famiglia, come sono io, di null'altro preoccupata che del- l 'economia domestica, e del benesse- re dei ^ miei cari. E al lora mi pare di esser diventata tut t 'a un trat to o un'oratrice celebre, o una grandissima art ista, di quelle che suscitano delirii di entusiasmo, follie collettive di po- poli dalle mani spellate a forza di applaudire. Ebbene, mai, neanche quando ho mangiato troppo, (qual- che volta succede anche alle donnine misurate in tutto, come sono io) m'è accaduto di sognare cose come quella che mi sta succedendo da un ms- se a questa parte, da quando, cioè, ho prospettato alle masse..-, delle ab- bonate della Cucina italiana questa umile domanda: dobbiamo occuparci anche delle donnó di servizio? Vo- gliamo scrivere qualcosa, per fare anche la loro educazione? Evidentemente il problema doveva esser maturo e urgente nell'animo di tutte le mie lettrici: perchè migliaia, molte migliaia, purtroppo!, di lette- re, d'ogni specie e d'ogni colore, si sono rovesciate sul mio tavolino, por- tandomi i più accesi consensi, le pro- poste più stravaganti, le osservazioni più giuste e più ponderate. E ' una cosa che supera ogpi immaginazione: si direbbe che le 80.000 abbonate del- la Cucina Italiana (ma quest'anno, dice l 'amministratore, dobbiamo supe- rare le 100.000 in tutti i modi) non aspettassero che un segnale per sca- tenare una tempesta di discussioni, episodi, racconti d'ogni genere, e pro- getti d'ogni specie. Ci vorrebbe un bel libro, per esaminare pacatamente tutte le proposizioni e tutte le opi- nioni: ma la Direttrice non mi ac- corda che due pagine per volta. Ve- diamo dunque di orientarci piaijo piano. E INCOMINCIAMO COL NOME Educhiamo la serva f avevo doman- dato, adottando, tanto per far pre- sto, e perchè tipograficamente la fra- se veniva più visibile, una termino- logia un po' volgare. Qualche lettri- ce ha protestato: non si dice serva, mi scrive, l'amica delle domestiche. E ha ragione, benché io non av t essi la più lontana idea di diminuire il prestigio professionale delle nostre aiutanti di cucina (e qualche volta, 0 abbonat e genti l i che volete bene al vostro giornale e riconoscete gli sforzi che fac- ciamo per darvi, con così tenue spesa, una rivista eccellente, voi avete un mezzo semplice e facile di dimostrarci la vostra simpatia: procurateci altre abbonate o date- ci il' nome di persone a cui pos- siamo, sotto i vostri auspici, man- dare dei numeri di saggiò propo- nendo l'abbonamento. Vogliamo superare i 100.000 ab- bonamenti ! purtroppo, anche di.... camera). Non si deve dir serva: nelle case signo- rili, o a costituzione pletorica, ogni categoria ha la sua funzione e la sua denóminaziòne: c'è la cuoca, la cameriera, la guardarobiera, la don- na « di fat ica » o « di faccende », ecc. Nelle nostre famiglie borghesi, inve- ce, dove l 'esercito mercenario è rap- presentato da una donnuccia sola, il nome è domestica, o donna di servi- zio. In certe c i t tà della Toscana la donna di servizio la chiamano la donna, tout court: la donna per an- tonomasia, non perchè riassuma in sè tutte le virtù, le bellezze e le perfe- zioni muliebri, ma perchè eserci ta le funzioni domestiche, che caratteriz- zano una parte della nostra missio- ne di donne, nel mondo. Una nostra gentile abbonata emi- liana, Rosalinda, mi scrive una let- ter ina molto garbata sulle condizioni delle domestiche, e dice che in Pu- glia esse sono chiamate oriate: paro- la della quale la brava emi l iana igno- ra il significato vero, preciso, ma che deve essere offensivo, se a dir criata a una donna di servizio c'è da sen- tirsi rispondere male. « Ecco intanto — essa scrive, mol- to saggiamente — questi dispregia- tivi influire a, creare un certo ma l u- more nell'animo di chi, costretto dal- la miseria a servire, viene nelle no- stre case a malincuore ». Può darsi che questo sia vero: è vero, ad ogni modo, in quelle case, e in quei casi, in cui la domestica entra in una famigl ia grossolana, do- ve manchi il senso del rispetto reci- proco e l'educazione, e dove la povera figliuola si senta estranea, umiliata, circondata di sospetto e di ostilità. Ma nella più gran parte > delle nostre famigl ie la signora, se ha pazienza, garbo, e comprensione, dovrebbe fi- nire per vincere le resistenze selva- tiche della domestica, e affezionar- sela. Questo è, però, un altro lato del problema: quello che potrebbe inti- tolarsi: Educhiamo la padrona di casa. Ora, assodiamo questo princi- pio, che ipi pare pacifico: e cioè che bisogna evitar di umiliare le persone che son costrette, per la loro condi- zione economica, a prestar servizio in casa altrui, e 'anziché serva, o criata, o chi sa come si chiamerà, nei varii dialetti d'Italia, dobbiamo chiamare la nostra donna di servi- zio nel modo più riguardoso possi- bile. In Inghi lterra, quando una persona vuol rivolgersi a un agente di po- lizia, lo chiama Sergente, anche se non è neanche caporale. L'uno e l'al- tro, l ' interpellante e il poliziotto, san- no benissimo che il sergente non c ' è: ma la cosa appare lusinghiera e cor- tese. Anche da noi, del resto, quanti chiamano « professore » un ottimo, coscienzioso, fragorosissimo suonatore di grancassa, anche se non ha mai frequentato un Conservatorio musica- le, e ha imparato a battere il tempo stando a sentire qualche feretnco jazz» Cerchiamo dunque di elevare il pre- stigio delle nostre domestiche, le qua- li, del resto, anche se « vengon giù dalla campagna », sono ora più evo- lute, più incivilite, e soprattutto più ambiziose, di prima. Cerchiamo di in-

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