LA CUCINA ITALIANA 1937
22 v LA CUCINA ITALIANA 1" Novembre 1937-XVI JE>'cmlicoL cucina: Romana Per giudicare esattamente quale fosse il tenore di vita degli antichi Romani in fat to di alimentazione e di cucina è opportuno distinguere due diversi periodi storici; poiché men- tre in quello che si perde nella notte dei tempi essi ci si presentano di una frugal i tà addirittura primitiva e su- perlativamente esemplare, in seguito poi si dimostrarono di una voracità e di una ingordigia folli e stomachevoli. All'epoca leggendaria di Saturno, quando la terra dava spontaneamen- te i suoi prodotti, nessuno mangiava carne, perchè tutti vivevano di frutta e di erbe: ma, anche a prescindere dal periodo mitologico, è certo che in ori- gine l'alimentazione principale, il piat- to abituale dei Romani fu il plus o pulmentum, preparato con frumento o spelta (far) pestati in un mortaio e bolliti; e questa specie di minestra se- miliquida, o polenta che dir si voglia, restò in uso nelle campagne ed anche t ra i poveri della città, riducendosi solo a minori proporzioni in seguito all'invenzione del pane). Oltre al pulmentum, sulla tavola dei poveri figuravano diversi legumi cru- di, quali ad esempio: asparagi, cipol- le, agli ed anche piccoli pesci salati (menaej, f rut ta verdi o secche, for- maggio," una specie di biscotti (adi- pata) e molto raramente della carne. A questo regime sobrio e frugale non soltanto si attennero in seguito varii filosofi ed insigni personaggi, ma enche alcuni impeartori, perchè di An- tonino Pio si legge che fu così parco nel mangiare e nel bere che la sua tavola era di «na candida parsimo- nia; e di Severo Pert inace sappiamo che non soleva porre più di nove lib- bre di carne a tavola ogni tre mesi. Nel novero di questi uomini esem- plarmente morigerati possiamo anche ricordare: Plinio il Giovane, Marco Varrone e Lucio Seneca, il quale ul- timo, durante la sua gioventù, erasi astenuto per fino "un intero anno da ogni cibo animale; ed in vecchiaia continuò ad astenersi dalle ostriche, dai funghi, dagli aromi e dal vino. La stessa filosofia di Epicuro, da molti travisata, prescriveva ai suoi discepoli vi ta semplice e frugale, per- chè il maestro di voluttà giudicava de- gno di massima stima chi sapeva contentarsi di pane ed acqua, ed agli personalmente si atteneva con tanto scrupolo a questa norma che, soltan- to in casi straordinari si permeteteva un briciolo di cacio citnico, e non si stancava mai di ricercare quale fosse la minima quantità di cibo necessaria a sostentare la vita per restringersi a quella. Ben pochi però, anzi pochissimi se- guirono i veri precetti di Epicuro ed è perciò che furono emanate apposite leggi suntuarie allo scopo di limitare le spese eccessive della mensa; e tra esse la più carat terist ica fu quella del tribuno Orchio che perscriveva di mangiare a porta aperta, affinchè si potesse più liberamente controllare tutto ciò che veniva posto a tavola. Però, malgrado le più severe e ri- petute leggi restrittive, la prodigalità ed il lusso della mensa in Roma non ebbero freno, come è facile rilevare da numerosi e svariati esempi. A tal proposito narra Plinio che l'i- strione tragico Clodio Esopo, degna- mente emulato in fatto di prodigalità dal figliuolo, spese in un banchetto ben centomila sesterzi — circa settan- tacinque mila lire oro — per una sola pietanza, la cui specialità consisteva nell'essere preparata esclusivamente con-lingue di uccelli canori, o che sa- pessero imitare la voce umana; e lo stesso Plinio soggiunge che Esopo fe- ce appunto questo per mangiare molte di quelle lingue che avessero con l'u- mana favella qualche conformità nel sapere articolare le voci. Come ben si vede, più che di raffi- natezza di gusto, possiamo in questi casi parlare di vere stravaganze e di' autentiche follie, quali furono appun- to quelle di sciogliere le perle pre- ziose nelle bevande, di preparare i manicaretti con cervelli di pavone o con lingue di fenicotteri e di altri uc- celli ammaestrati a parlare, ovvero con i diversi ingredienti, messi in vo- ga dalla moda gastronomica dei ric- chi apuloni, unicamente perchè rari e di altissimo prezzo. Sono tuttora proverbiali le cene di Lucullo, che, in seguito al ricco bot- tino raccolto in Oriente, potè vivere quasi Sei-se in toga e spendere som- me favolose, particolarmente nei ban- chett i; ma la fama di Lucullo fu in molti casi offuscata da quell'Apicio, famoso per la sua ghiottoneria e au- tore di un trat tato di culinaria, di- sgraziatamente andato disperso, per- chè quello pervenutoci è di un tal Ce- lio Apicio, posteriore di circa due se- coli. I l primo Apicio, che visse ai tempi di Augusto e di Tiberio, dilapidò oltre cento milioni di sesterzi per seconda- re i capricci della dannosa colpa della gola, ed allorquando vide la sua for- tuna ridotta a soli dieci milioni di sesterzi, ci rca sette milioni e mezzo di lire oro, finì per suicidarsi, giudican- do di non avere più mezzi sufficienti per vivere con un patrimonio così meschino, o secondo altri perchè, a- vendse orauoitjffishrdlu shrdul shrdlh vendo esaurito il repertorio di ogni voluttà, non credeva possibile trova- re nella vita altri godimenti. Tra i molti aneddoti relativi alle sue follie gastronomiche si narra che, avendo udito che sulle coste dell'Afri- ca i gamberi di mare erano più grossi e più qèuisiti di quelli che pescavansi presso le coste d'Italia, s' imbarcò a Minturno per andarli ad assaggiare; ma essendosi convinto alla prova che non erano affatto migliori degli altri, se ne tornò immediatamente a Roma. A fianco di Apicio, il posto d'onore spetta al figlio del grande attore tra- gico Esopo, già ricordato, il quale, e- mulando euo padre, aveva l'abitudine di porgere a ciascuno dei convitati una perla da bere, sciolta nell 'aceto; ed il poeta Orazio at testa di averne bevuta egli stesso una che Metella portava all'orecchio, sorbendo per tal modo di un sol fiato il valore di un milione. Anche i manicaretti preparati con lingue di pappagalli e di altri uccelli ammaestrati a parlare, trovansi da al- cuni attribuiti al figlio di Esopo, men- tre Pl inio li attribuisce allo stesso E- sopo, soggiungendo che ognuno di tali uccelli costava, per lo meno, seimila sesterzi; e Orazio riferisce che en- trambi i figli di Quinto Arrio solevano cibarsi di usignoli pagati a prezzo assai rilevante. Per imbandire un banchetto si ri- correva alle Indie; per un altro al- l 'Egitto, a Cirene, a Creta e così di seguito; e non soltanto si videro af- fluire a Roma, divenuta capitale dei mondo, i prodotti più scelti e più squi- siti provenienti da remotissime regio- ni; ma si organizzarono persino delle vere spedizioni e delle grandi caccie in lontani paesi al solo scopo di cer- care qualche novità gastronomica. Così appunto fece l'imperatore Vi- tellio, il quale mandò navi nella Spa- gna ed in Oriente per raccogli i r e ' i varii ingredienti di un gigantesco ma- nicaretto composto, t ra laltro, di sgombri, di cervelli di pavoni e di fa- giani e di morene nutrite col lat te; nè Vitellio fu il solo a distinguerai per simili follie, perchè venne degna- mente imitato da Eliogabalo e da al- tri suoi successori. E ' opportuno però ndtare che que- sto lusso smodato e addirittura folle, per il quale furono profuse ingenti somme, non soltanto fu determinato dalla voracità e dalla ghiottoneria, ma anche, e forse principalmente, dalla moda e dalla mania di far par- lare della propria persona e delle proprie ricchezze, perchè, come scri- veva Seneca, gli scialacquatori, per farsi un nome, non si accontentayano dì una vita voluttuosa e splendida, ma sentivano il bisogno di eccedere in maniera inverosimile, appunto per far parlare di sè. Per tal modo, mentre in origine la cucina non ebbe in Roma alcuna im- portanza, perchè la preparazione dei pasti semplici e frugali non richiede- va particolari attitudini, col volgere del tempo ed in seguito al dilagare del lusso, la culinaria divenne un'ar- te importantissima ed i cuochi, che fino allora non erano assistiti o tutto al più erano stati dei rozzi schiavi, adibiti anche ai più umili servizi, in- cominciarono ad essere veri specia- listi, molto rcercati ed anche molto lautamente retribuiti. PAOLO Ì ICCA
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