LA CUCINA ITALIANA 1937

1» Dicembre 1937-XV T XACUCINA ITALIANA 19 acque di cottura di altri vegetali fre- schi nella preparazione delie farine; raggiungendo così lo scopo di soddi- sfare il palato, l'igiene alimentare la più scrupolosa, l 'economia e la migliore utilizzazlonenee dei prodot- ti agricoli. Scusate se è poco! E' tutta una cucina, vorrei dire eroica che ne balza fuori; e nfln crediate ch' io abbia voglia di giocare sulle parole; perchè se invece di da- re alle stampe vi potessi tradurre in atto a fervi assaggiare i risultati che ne verrebbero fuori da quella... n a sareste lieti come se navigaste perpetuamente sotto una chiara luna di miele. Bracioline avvaliate all'Imperiale. — Prendete un taglia tenero di car- ne purchessia, fatene fettine che bat- terete e raddoppierete dove occorre per dargli f orma rettangolare ed e- vitando tagli o buchi. Date mano ad una polentina sodetta, ben cotta, fatta con buona farina di legumi; unitevi uvine, pinoli o, magari, pi- stacchi mondati, aggiungetevi spezie ed un tritino di prosciutto. Fate un discreto strat 0 di composto su ogni braciolina, che arrotolerete in f or- ma di salciccia, introducendo le pun- te estreme nell'interno di esse, aiu- tandovi con la punta del coltellino. Infarinate da ogni lat 0 gli'involtini, quindi infilateli in un 0 o due stec- chi secondo la loro grandezza, con ai lati dei crostini di pane tramez- zati con fettine di ventresca e foglie di salvia. Cuocetele in tegame con buon unto, il solito sale e alcune leg- gere bagnatine di vino generoso qua- lunque siane il colore. Staccate il sugo con poca acqua, versatelo sulla carne e servite. Li per li quel titolo alle bracioli- ne sembrerà trasportarci nel regno dei sogni, ove il fegato grass 0 d'oca — ben noto a Roma — tiene super- bamente il suo posto; nulla invece di cesareo, all ' infuori di quella pre- parazione per cui i legionari, sor- passando ogni evento e d ogni sacri- fìcio, tennero duro, rendendosi de gni di poema nonché di storia. Ed ora due dolci ultra-autarchici: Torta alla crema di pistacchio. — La pasta che servirà da involucro alla torta è rimessa al ve l tro gusto, a preferenza vi sarebbe la sfoglia 0 la pasta f ro l l a nelle sue varie pre- parazioni. Dategli lo spessore di cir ca 1/2 centimetro e fatene 2 dischi di 25 centimetri di diametro; indora- tene una all ' ingir 0 che poserete su teglia, con l'altro coprirete il prime- mettendovi tramezzo ai due uno stra- to del ripieno seguente: Pestate dei mortaio gr. 70 dì pistacchi freschi mondati, unitevi 70 gr. di zucchero un uovo ed un tuorlo raschiatola tì' limone ed infine 70 gr. di burro- passate per staccio. Indorate il d< sco superiore, con la lama, dei coi tello disegnatevi una gra. tellina, t ponete a cuocere in torno. Cospai gete di un velo di zucchero impal- pabile e fatelo caramellare al calore Ricciatelli alla siciliana. — Mon- date 100 gr. di mandorle dolci e 100 gr. di pistacchi, fateli asciugare quin- di pestateli nel mortai 0 con 150 gr. di zucchero, spruzzando con acqua fino a darne una pasta finissima da potersi facilmente modellare; uni- tevi profumo a piacere, dategli for- ma di piccoli ovali che poggierete su Non vivo nel gran mondo, vado a letto come le galline, non frequento i teatri nè i circoli nè gioco al bridge, il che deve collocarmi senz'altro in una condizione d'assoluta inferiorità di fronte agli stessi quasi piccoli bor- ghesi, mangio nel modo più frugale e gioco al lotto tutte le settimane per dar la caccia a un terno che se lo becco non muterà il mio tenore di vita. C'è in quello che dico, molta verità: l'altra parte è nelle intensioni. Esagero ? Ammettiamolo senz'altro, signora, tanto più che non sono in vena. Ma non mi metta nella condizione penosa di dovermi scervellare per una pietanza di figura o di ricorrere a un testo qualsiasi per darmi poi l'aria di essere un « cordone azzurro ». Non tengo a tanta celebrità. Queste conversazioni, del resto, han piuttosto lo scopo di riportar la cucir na alla sua semplicità casalinga. Pen- so, d'altra parte, che il nostro Paese non abbia bisogno di ricorrere a nes- suna cucina d'oltr'alpe e che le no- stre massaie sappian tutte arrostire un pollo, fare uno stracotto o uno sformato, rosolar delle lodole o infi- larle nello spiedo, preparare una mine- stra di magro, steccare il manzo, frig- gere i pesci o ammansirli in tutte le salse senza ricorrere alla famosa cu- cina francese che non ha, tra paren- tesi, la nostra varietà e la nostra ric- chezza. Quando si dice che i francesi cuci- nali meglio di noi, si dice un'eresia o si ripete una spiritosaggine dei nostri quasi cugini. Ho sentito dire sere fa a un gentiluo- mo che si crede tale o ne assume le arie forzando un tantino la nascita che non è mai un trucco, che in Italia non ci sà mangiare la cacciagione. Tornava da Parigi, dove probabil- mente no era stato, e aveva bisogno di farlo sapere alle sue conoscenze, — Se la caccia non è stata almeno una settimana non sà dì nulla, ,Deve Rinnoevat l'abbonament o a LA CUCINA ITALIANA ! ostie per granellarne poi la super- ficie con zucchero. Cuocete in forno tiepido. Ho la coscienza di avervi mostrato dei buoni piatti, tali che se ne ri- chiederà il bis, ben sapendo ancora di aver compiuto una buona azione. AMEDEO PETT INI Capo cuoco di S. M. il Re cascare a pezzi: deve avere come un sapore di passato che si fonda a quel- lo delle droghe come la mangi nei grandi restaurante di Parigi da dove ne vengo. •— NOn è anche lei della mia opinio- ne ? — domanda poi a una signora che s'interessa al suo discorso. — Secondo: se son tordi o beccacce bastano ore: s'è un cinghiale lo tengo due notti al sereno. Lasciamoli conversare. La signora si diverte un mondo. E' uno spaccone delizioso. Torniamo dunque alla nostra cucina che non ha bisogno di prestiti ma può farne con larghezza alla stessa cucina francese di cui le han vantato la sit- periorità assoluta. Non si nega qui la bontà della cuci- na francese, ma la sua superiorità che io almeno non vedo in che possa con- sistere, se arrosti e fritti e carni ro- solate che abbiam mangiato prima di loro, sono alla base delle due cucine. Snobismi. Ma c'è pericolo che quella sua gentile amica del resto italianissir ma, se afferma che nessun cuoco, fran- cese farà mai una polenta con gli uc- celli come la mangi .a Verona o il baccalà alla veneziana, faccia un po' d'ironia ? La cosa, comunque, non mi riguar- da. Io predico da anni che la cucina italiana non ha nulla da imparare da nessuno e molto da insegnare a tutti e che ogni nostra massaia deve aboli- re dalla propria mensa i piatti fore- stieri anche per una elementare ragio- ne di dignità. Ho scritto un'altra volta, risponden- do a una domanda simile, che la cucir- na è anch'essa patrimonio di un po- polo. Alterare le mille pietanze che la nostra cucina ci offre o cercarne altre è dunque lo stesso che camuffarsi per assumere un'altra fisonomia. Il che non è degno di noi ohe abbia- mo il dovere sacrosanto di affermare la nostra personalità anche davanti ai fornelli. Dobbiamo, insomma, rimane- re chi siamo in salotto come in cucina. E assicuri l i sua amica, signora, che se le prenda vaghezza d'arnmannirc un pranzo delicato non ha bisogno di tir* correre a nessuno. Le basterà il suo amore, la sua intelligenza, il suo or- goglio di donna italiana... G. PAVONI Cucina ali 9 italiana

RkJQdWJsaXNoZXIy MjgyOTI=