LA CUCINA ITALIANA 1937
1» Dicembre 1937-XV T XACUCINA ITALIANA 27 Desinaretto a l l ' a n t i ca n e l l a vigi l ia Antiporto di carote alla Viterbese — «Le anguille di Bolsena e la Ver- naccia » — La « nociata » degli E- truschi — Un fiaschetto di Est- Este-Est. Ri cordo le strade di un tempo ogni aual volta ripercorro la Via Cassia: dalla salita di Radicofani a quella, ch'era meno ripida ma non meno mal ridotta, di Montefiascone. Venivo da Siena e dovevo raggiungere i miei a Roma, la vigilia di Natale, Il cortese invito di una famiglia pa- trizia mi permetteva di far la strada in automobile; allora non si tenevano le medie di oggi, soprattutto per lo stato delle strade; cosicché le soste per via con relativo desinaretto e re- lativo necessario riposo delle ossa mal- concie, erano più frequenti e più lun- ghe. Oggi le magnifiche strade asfal- tate se rendono il turismo gastrono- mico più facile, lo rendono anche me- no meritorio. In compenso Montefia- scone è più facilmente raggiungibile da Roma, centro turistico nazionale e mondiale. La sosta che ci feci allora, al tem- po delle strade non asfaltate (come sembra lontano!) mi è restata nella memoria per quattro specialità che ci of frirono, in un casale di campagna, in vicinanza del Lago di Bolsena, al- cune egregie persone; che avevano un debole, anche loro, per la buona ga- stronomia condita anche di un po' di letteratura. L' ora era di quelle inter- medie tra i due pasti principali, ed era la più scomoda forse per la pa- drona di casa, che deve of frire agli ospiti stanchi e affamati un rapido sufficiente e simpatico asciolvere. Ma eravamo vicino al luogo dove avvenne il miracolo di Bolsena, e il miracolo di una merenda prontissima, tutta lo- cale, e indimenticabile, avvenne. La signora che ci aveva offerto l'auto, era riluttante ad accettare; ma i padroni di casa ci ricordarono i versi dell'aba- te Casti nel « Poema Tartaro » (al suo autore Abate Casti si attribuì nella conversazione, la ricetta dell'anguilla ripiena che esponiamo qui sotto) quei versi che descriv--ido un'imbandigio- ne orientale apparecchiata riccamen- te per certa lattuna, dicono: « Cortesemente Ella accettò l'invito, E forza è pur ch'ella l'invito accetti Che da gran tempo si sentia appe- sito.... ». Bisognò confessare: l 'appetito c'era E cominciammo con le carote rosse di Viterbo, delizioso italianissimo anti- pasto che consta di sottili fette di ca- rote rosse in uno speciale infuso di vin rosso, zucchero, aceto e chiodi di garofano. C'è un segreto nella loro preparazione; ma "¿-ni massaia, per tentativi, dopo che l'abbia assaggiata di Na t a l e una volta, può riuscire a prepararne una passabile imitazione. Quindi ven- ne in tavola l'anguilla ripiena « alla Casti ». L'abate Casti (l'irrequieto e fantasioso autore del « Poema Tarta- ro » e degli «Animali Par lant i» e an- che di., altro non certo all'altezza qualunque essa sia dei due poemi sa- tirici), era nativo di viradoli nelle vi- cinanze di Montefiascone ed ha lascia- to, chissà se a torto o a ragione, fama di buongustaio. Le anguille di Bolse- na erano celebri già al tempo di Dante (« le anguille di Bolsena e la vernac- cia.... ») . Quella che ci è portata in ta- vola è superlativa: era preparata per stasera, per il « Cenone », ma la padro- na di casa ci avverte che se ne può preparare rapidamente altrettanta allo spiedo, alla maremmana (cioè con fet- tine di limone e fogl ie di alloro insi- nuate f ra i singoli pezzi). L'anguilla ripiena è gustosissima da tutti. Dopo, al solito, chiediamo la 'ri- cetta, che riferiamo, pari, pari, alle pa- zienti nostre lettrici nella forma tradi- zionale. Si scelga un'anguilla molto grossa ma non mol to grassa. Si spelli e se ne c:: tragga accortamente, con le interiora, la spina; si metta poi aperta su di un panno (di canape grezza che la asciuga subito). Si prepari quindi il ripieno composto di mezza libbra (165 grammi circa) di polpa di luccio (altro pesce qualsiasi, due oncle, cioè gr. 6U circa di lardo, (nei giorni di magro so- stituire con ol io), due uova, un fram- mento di tartufo e un po' di funghi secchi ridotti in piccolissimi pezzi. Si mescola il tutto in un mortaio pestan- do prima forte, poi piano, come pres- sione, poi in ultimo, aggiungendo le uova, assai rapidamente. Spargete ora ripieno sull'anguilla, richiudetela, cu- citela, «acc iambel latela», cioè riduce- tela ad anello in modo che si adatti perfettamente alla circonferenza di una casseruola adeguata, avvolgendo- la prima in un pezzo di tela sottile. Versate ora nella casseruola un mez- zo litro di vino bianco (del tipo Est, Est, Est, ma non troppo dolce) e ag- giungete acqua fino a coprire l'anguil- la. Aromatizzate con erbe aromatiche varie oppure solamente con foglie di alloro e pepe bianco intero. Prima fa- te bollire a fuoco forte, poi finite di cuocere a fuoco lento per circa un'ora. L'anguilla deve raffreddarsi nel liqui- do. Si può coprire con gelatina o an che con salsa verde. C'è un'altra ri- cetta di anguilla alla « Casti » o « an- guilla tartara alla Casti » che compor ta però l'uso del burro; ricetta dili- gentemente raccolt - migl iora 'i da! Montuoro, In tal caso l'anguilla si taglia a pezzi e si cuoce in un soffritto di bur- ro, carote gialle e cipolle a fettine, prezzemolo e un po di aglio. Quando il soffritto ha preso colore si aggiungono due bicchieri di vino, pepe ed una fogl ia d'alloro. Si avvol- ge poi l'anguilla, che avrà fatto una specie di gelatina, in pane grattugia- to, in uova battute; si aggiunge altro pane grattugiato e si frigge nell'olio bollente fino a che si raggiunga, un bel colore dorato. La seconda ricetta non vale certa- mente la prima. Passiamo ora al dolce « paesanissi- mo » e certamente retaggio degli E- truschi. Si tratta della «No c i a t a », composta di miele, noci ridotte in pic- coli frammenti, con l'aggiunta di un po' di mandorle. La « nociata » si presenta sotto f or- ma di losanghe tre o quattro cen- timetri di lato, incluse in due fogl ie di alloro. Si prepara, così: si mette del miele con l'aggiunta di poca acqua in un paiolo, a gran fuoco; quando una cucchiaiata di miele estratta lenta- mente e gettata su di un piatto resta di consistenza quasi vitrea e non si attacca al piatto, allora è il momento di aggiungere, a poco a poco e sempre rimettendo, le noci tritate (meglio ri- dotte in piccolissimi pezzi col coltel- lo). Quando l'impasto è diventato o- mogeneo si stende sulla « spianatoia » della pasta e con lo « stenderello » si riduce allo spessore uni forme di mez- zo centimetro. Per render la nociata più gustosa si possono aggiungere mandorle tritate in ragione anche di un terzo, non dimenticando di mesco- larne qualcuna amara. E' il torrone più antico, preesisten- te certo alla fondazione di Roma, e si accompagna benissimo, al « desco molle » (o dessert come diciamo bar- baramente e come non vorrebbe si di- cesse Paolo - lorel li che fu qui a Mon- tefiascone a gustare l'Est, Est, Est, questo vinetto o vinone famoso) che ci fa sembrare più squisita la nociata. A proposito del quale vinetto o vinone sarà inutile ripetere la storia del Ve- scovo De Fugger che veniva a Roma per il giubileo del 1300, e che mandò il servo sempre avanti di una tappa affinchè gli segnalasse col gesso alla porta delle osterie se il vino era buo- no con la parola latina t (cioè est bonum: è buono). Il servo arrivato a Montefiascone trovò quel moscatello che meritò e, merita ancora, tre Est. Sopraggiunto il vescovo lo trovò co- sì buono che ne bevve fino a. morirne. Se non proprio tre Èst, almeno due ne meritano l'anguilla « alla C'asti », le carote di Viterbo e la vetustissima nociata, KIVA BOLLI
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