LA CUCINA ITALIANA 1938
GIUGNO 1938-XVI • L CUCINA ITALIANA 27 La saan caucin «popo l a r esca » Se ho risposto sin giti alle lettrici, non vedo per quale ragione non do- vrei « polemizzare » con lei ch'è un let- tore. Aggiunga che ho poi l'obbligo di ringraziarla per l'onore che mi fa- credendomi « buon mangiatore ». A- vrei preferito che mi dicesse che «oc no un buongustaio e che al buon mangiatore Ella non attribuisse ec- cessi di gola, ma tutto non si può avere. Ghiotto, dunque, no Si può desiderare di mangia,r bene senza es- sere ghiotti e senza « invol tar boc- concini ». E chi glie l'ha detto — scusi — che chi mangia bene, man- gia ricercato f Nei senso, quel « ri- cercato », di raffinato se non ho ca- pito male. Ma non sono d'accordo con lei. Si può essere dei raffinati senza essere ghiotti, come si è spes- so dei buongustai senza essere com- plicati, nel senso che si preferisce la cucina semplice e sana. L'hanno informata male. E ho la impressione ch'ella non abbia segui- to queste mie « conversazioni » duran- te le quali, in cinque o sei anni, da che discorro con le mie lettrici, de- vo avere ripetuto almeno venti vol- te che amo appunto la buona, sem- plice, sana, gustosissima cucina qua- si campagnola delle nostre massaie: le pastasciutte o i « topini » di pata- te novelle, una minestra di magro come la san fare nella sua, terra di Toscana, in Romagna, nella Lombar- dia o nel mezzogiorno di questo suo Paese che conserva integro il, suo palato, se il cuoco lasci l'iniziativa al- l'umile donno di seì'vizio: una bistec- ca sulla gratella, un rocchio di carne rosolata nell'olio o davanti a una bel- la fiammata, una zuppa di fagioli o un piatto di ceci, una sogliola o un paio di triglie d'un etto e mezzo ca- dauna, come dice il mio pescivendo- lo, cotte come le sa cuocere lei in una lieve salsa gustosa che non ti pigli in gola e un ' saporino d'aglio che saran magari alla livornese, dei totanetti grossi come un dito da far- vi ripieni coi loro nastri, un pollastro alla cacciatora, col pomodoro che ar- riva o una gallina cotta in una pen- tola d'acqua per un' tazza di brodo chei il buon mangiatore non disde- gna mai; un piatto di lenticchie o un fagiano che « non cacchi a pezzi » e non ha bisogno d'imbottir di tar- tufi, una fetta, di stracotto o un frit- to di cervella e schienaM o una mo- desta frittata di cipolle che qualcu- no non mangia — ahimè! — per non sembrar popolano. «La frittata con le cipolle? Senta: a il suo consigliere ha gusti plebei « un palato degno della sua rustica progenie, o è un avaro » non lo ha detto lei, lo so. E' la risposta che ha dato, giorni fa, giusto un signore che conosce tutte le raffinatezze della ta- vola, a una gentile lettrice • che mi aveva domandato, non sò per quale ingenuità o capriccio, se la frittata con le cipolle s'ha da, fare coU'olio, col burro o, peggio che mài, con lo strutto, che sarebbe un obbrobrio, e alla quale propria ia, dunque, avevo esaltato l'umile deliziosa pietanza ple- bea consigliandole di mangiarla qua- si fredda. Non è lei, ma non se ne abbia a male se le dico che ho l'impressione ch'ella pure disdegni la sana cucina. Me lo fan pensare, dopo quel suo garbato saluto al « buon mangiatore goloso », certe sue considerazioni sul- l'arte di mangiar bene « in cui è il segno della tua educazione e della tua civiltà ». E non dice nulla di nuovo, lo non le domanderò come mangia, signore, per dirle chi ella sia; è certo, in ogni .modo, che le raffinatezze del palato possono essere in rapporto con la tua civiltà. Ma bisognerà intendersi sulle raffinatez- ze, che non sian traviamenti. C'è un modo di mangiar raffinato che non ha nulla di comune con là civiltà di cui parla se i molti intin- goli t'hanno rovinato il palato. Il contadino che trova gustosa una zup- pa di fagioli e d'erbe o un piatto di fagioli conditi con buon olio d'oliva come te lo da il frantoio, o mangi, dopo una sola nottata di sereno, la lepre che mangerà dopo quattro o cinque giorni per « sentire la cac- cia », 'può avere nel suo cervello le sue stesse stratificazioni di civiltà con questo di meglio: che mentre il suo stomaco non digerisce più e il suo palato ha bisogno di mille ingredien- ti per trovar dei sapori, il suo è in- tatto. Se c'è dunque un rapporto tra la civiltà e il palato, non mi pare sia il caso di cercarlo in quel genere di raffinatezze al quale ella allude se- parando nettamente « il mangiar po- polaresco plebeo » dalla tavola dei si- gnori, con un evidente richiamo alla cucina dei francesi. Non confondia- mo. E non dimentichiamo sopratutto che la cucina del nostro popolo, sem- plice sana gustosa, ha su tutte le al- tre cucine del monda quel segno di cui parlavamo in principio. Le nostre massaie, da un, capo al- l'altro d'Italia, riescono tutte, con li- na croce d'olio, a farle una buona minestra; e. son tutte capaci, d'am- mannirle un pranzo da signore senza bisogno di complicate ricette con quel loro senso della cucina ch'è proprio •il caso di separar nettamente da quei traviamenti di cui parlavo dianzi che possono essere anch'essi chiarissimi segni di... civiltà in decadenza, GIACOMO PAVONI ra-WTraTj f e r-<rr-< Qn y% c o * rr-P - c » o ¿ 0 o C O M P R E S S E DI E L M I T O L O - - Putiti! tìul PfeJ. Mitene IM. 4045
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