LA CUCINA ITALIANA 1938

LA CUC INA I TAL I ANA - Pag. 6 <vvvv\aaa/vvvvvvwvvvvvv\w ]o Settembre I938-XYI La (ivilfà e la v i . La bellissima dogaressa, venuta dall'o- riente sposa ad Orseolo II, dormiva da lunghi anni il sonno uguagliatore; sonno prematuro, succeduto ad una morte atro- ce che, dopo le invettive a lei lanciate da S. Pier Damiano, fu considerato il giusto castigo alla sua vita trascorsa nel lusso e nelle feste, tra raf^natezze, pro- fumi, sete che davano maggior risalto alla sua rara avvenenza. Ma non si era spento con lei l 'uso del quale ella si era tanto compiaciuta e che aveva avuto non lieve peso nella riprova- zione del Santo: quello cioè di portare alla bocca, con delle forchettine d'oro a due rebbi, il cibo sminuzzato in prece- denza dagli eunuchi. Nelle cronache e nella storia dei tempi che seguirono si ha notizia, qua e là, di questa innovazione, ammessa sempre come propaggine dello stesso tronco che a Venezia aveva avuto radici vitali. E per qualche secolo l 'uso visse e fiorì, ma solo in Italia, dove si aspirava ad una maggior finezza di costumi, ad una vita più perfetta: fino da allora gl'italiani ri- tenevano il più alto ideale l'istruzione e l'educazione, ed estendevano quest'idea- le dal sommo delle cose eccelse all'umiltà di quelle più semplici e modeste. La maggior cultura, pur ¡¡spettando le parole di un santo, faceva sì che qual- cuno adoprasse il nuovo oggetto senza timore, di meritare poi le eterne pene del- l'inferno, come aveva minacciato S. Pier Damiano! I retrogradi però, non per ri- gidezza spirituale, ma per opposizione a qualsiasi novità, si scagliavano contro il nuovo costume, colorendo di foschi pre- sagi le inevitabili conseguenze: labbra e . lingua sanguinanti pe~ le bucature dei rebbi de 'h forchetta, aumento di sporci- zia perchè, usando uno strumento aooo- sito. nessuno più avrebbe fatto le ablu- zioni alle mani prima di mangiare, sop- primendo riti e cerimonie secolari. Tante altre minacciose proteste e spie- tate canzonature mettevano in campo i_ retrogradi, originate specialmente dalla vista di maldestri che, pur volendo, non sapevano servirsi del nuovo oggetto. Ma essi brontolavano invano!. .. La forchetta aveva la forza e la sorte delle cose realmente utili e buone!... Nel l ' inventario dell'argenteria di alcune famiglie nobili, a Venezia, a Siena, a Fi- renze, le forchette figuravano già nel do- dicesimo e nel tredicesimo secolo! A quei tempi erano ancora oggetti rari e artistici da tenersi negli astucci come gioielli, da servirsene in eccezionali occasioni; ma nel 1390 si ha. notizia dei loro impiego regolare in alcune famiglie di Piacenza. Nel 1518 un nobile signore francese in viaggio a Venezia, Jacques la Saige. in- vitato ad un banchetto dal Doge, osser- vò, con grande sorpresa, che quei si- gnori a tavola prendevano la carne con una forchetta d'argento, e ammirò gran- demente il nuovo uso, che qualificò: « chose honeste ». Qualche secolo fu necessario perchè la conoscenza di questo * nuovo oggetto si diffondesse nel mondo, ma nel 1600 fi- nalmente, almeno in Italia, dalle mense più ricche discese agli umili deschi. Nel 1700 contribuì in gran parte alla sua affermazione la moda maschile dei colletti alti, delle trine sul petto ed ai polsi, delle guarnizioni arricciate e ca- pricciose, il cui candore avrebbe corso serio pericolo a tavola, facendo passare Cinquantanni d'esperienza e vostra disposizione le vivande dal piatto alla bocca senza l'aiuto di uno strumento apposito. Anzi alcuni sentirono la necessità di manici più lunghi ai. cucchiai per salvare la im- macolata bianchezza delle 'oro eleganze. Però nei conventi, nelle rigide famiglie si tenne duro coll'ostracismo alla forchet- ta, fin quasi alle soglie dell'ottocento. Nel 1820 il galateo Gioia, con una punta di sarcasmo per le mani dell 'uomo dichiara: e l 'uso delle zampe diritto esclusivo delle bestie ». I re stranieri, che tante volte nei secoli erano discesi in Italia come padroni e avevano approfittato del suo annienta- mento politico per opprimerla, tra le tan- te cose di maggior progresso che da essa, avevano imparato e portate nei loro paesi, non avevano tralasciato questo pic- colo e singolare strumento. Ma molto ipiù a lungo che da noi esso rimase, ol tr 'Alpe, cosa rara, prerogativa dei sovrani e di pochissime case princi- pesche. L' imperatore Carlo V possedeva un esi- guo numero di forchettine d'oro, col ma- nico adorno di pietre preziose, e se ne serviva lui solo per mangiare le frutta e certe fettine di formaggio arrostito sulla gratella e cosparse di zucchero e cannella, delle quali era ghiottissimo! Enrico III, il figlio di Caterina dei Me- dici, venendo a Venezia, ammirò que- st'uso e volle diffonderlo in Francia; ma invano!. .. Dopo un secolo e più, Lui- gi XIV, il grande «Re Sol e», a v e v a .a tavola, lui solo, il privilegio di servirsi della forchetta; gli altri, le nobili dame, le belle favorite, i cortigiani se la sbri- gavano alla meglio col coltello e le dita!... Ed era incominciato il diciottesimo se- colo! L'Inghilterra, sempre uguale a se stes- sa, fu tra le nazioni più restie ad ac- corgersi di quest 'uso e a volerlo adottare. Però, nel 1611, un gentiluomo inglese, Tommaso Coryate, viaggando in Italia si trovò a Piacenza, città che, dopo Vene- zia, era stata all'avangurdia per la dif- fusione del terzo pezzo della posata da tavola. Invitato a pranzo in una aristocra- tica famiglia, fu sorpreso nel vedere i commensali adoprare uno strumento a lui completamente ignoto; ne rimase entu- siasmato e, tornando in patria, l'adottò in casa sua e tanto ne parlò coi compa- triotti, che finì con l'essere schernito e col guadagnarsi un nomignolo che gli ri- mase finché visse: « furcifer », il por- tatore di forca. L'umi le rassegna storica è terminata: servendoci giornalmente della forchetta, ricordiamoci talvolta che essa riflette in sè una piccola parte di quella inconte- stabile gloria che l'Italia in ogni tempo si acquistò nel mondo sempre prima a coltivare il sapere, a promuovere la ci- viltà. Virginia Ott

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