LA CUCINA ITALIANA 1938
1» Settembre 1938-XVI \AAvt\vwwi/tvvvvvwvA.Y^^ Pag. 7 . LA CUC INA I TAL I ANA Difendiamo la nostra * cucina Non giurerei che le trinette col pe- sto alla genovese siano le più indicate per un ammalato di stomaco, al quale non darei nemmeno un piatto di bac- calà a scaglie preparato anch'esso alla genovese, se non lo preferisci alla fio- reatina, fritto prima nell'olio che lo indori e ammorbidi to poi in una sal- sa di pomodoro con un senso d'aceto; ma non vedo, signora, che una donna di spirito possa trovarsi davanti allo stesso angoscioso problema del mine- strone freddo di cui ho parlato, mi sembra, nell'ultimo fascicolo-, rispon- dendo a un'altra lettrice che mi aveva rivolto press'a poco la vostra stessa do- manda. Vogliamo, signora, affrontar la que- stione decisamente? Che una padrona di casa si preoccu- pi di fare onore al suo ospite, è degno delle nostre tradizioni di gentilezza; ma che proprio in quella circostanza ella senta il bisogno di cercare altrove le buone pietanze che può trovare nel- la sua cucina, mi pare un errore. Ma c'è, forse, una parola più cruda per condannare senza preamboli codeste forme di snobismo che l'ospite giudi- ca probabilmente con la stessa seve- rità. Non si capisce, infatti, per quale ragione le nostre famiglie dovrebbero rinunziare alla loro cucina regionale che da wi po' di tempo a questa parte alterano, pur troppo, anche i nostri trattori, seguendo anch'essi, chissà per- chè, il criterio dei grandi albergatori, i quali affermano che la cucina deve essere fatta per tutti i palati, senza av- vedersi che i loro cliènti van poi a cer- care, nelle piccole trattorie che han con- servalo il loro carattere, la pietanza locale, per la gioia di mangiare una bistécca che non sia stata airoslita in padella, una triglia arrosto che lo scia- gurato cuoco non abbia cotto al for- no, un piatto di vermicelli alla na- poletana che non siano conditi con la salsa di pomodoro al burro margari- nalo e via dicendo, per la boria di pa- rer signori di un'altra classe: di quel- li che hanno il cuoco in cucina. Son forme pericolose anche questk che bisogna avere il coraggio di com- battere, come tutto ciò che può modi- ficare in noi gusti e abitudini, in cui sono altrettanti segni della nostra na- scita. E la nascita è orgoglio al quale non puoi rinunziare senza diventare un al- tro. Ho dimostrato più di una volta dal- le colonne di questa nostra Cucina la cui propaganda va al di là dei fornel- li, che le cucine regionali costituiscono insieme la varietà e la ricchezza della nostra cucina che dobbiamo conservare intatta, in quanto fa parte anch'r.ssa del nostro patrimonio, e vorrei aggiun- gere, ora, che la nostra massaia — e la massuia è per me la buona madre di famiglia qualunque sia la sua posizio- ne sociale — han l'obbligo di traman- dare le* consuetudini che han trovata nella loro casa, opponendosi a tutte le infiltrazioni, in nome appunto di quel- l'orgoglio di razza al quale accennavo dianzi. La famiglia è continuità. Guai se si dimentica questo precetto: c'è il caso d'imbastardire. Bisogna difendere, del- la casa, iutte le tradizioni, impedendo che costumanze forestiere sgretolino l'u- nità familiare da cui nasce la stessa compattezza nazionale. Questo senso della unità, prima che nelle manifesta- zioni esteriori, dev'essere dunque in noi, nel nostro modo di vivere e di pensare, e deve trovare nella famiglia il suo più vivo alimento. Che una padrona di casa, dicevo, si preoccupi dì fare onore al suo ospite è gentile: ma deve farlo senza alterare in nulla la propria mensa, nel senso che non deve accettar da nessuno ri- cette o consigli. La nostra cucina ha mille pietanze e non c 'è bisogno di ricorrere a prestiti col pericolo, tra l'altro, di disgraziate esperienze. Se l'ospite è della sua gen- te sarà felice di trovare nella sua casa le sue stesse abitudini, chè ci si rico- nosce anche a tavola: s'è forestiero e non ha guasto il palato, troverà che i tuoi ravioli, le tue lasagne, i tuoi mac- cheroni che ha mangiato male in casa sua, le tue trinette profumate d'oglio e di basilico, sode e gustose, i tuoi les- si, gli arrosti della tua cuoca, quella ragazza venuta dalla montagna che tu, massaia cittadina, hai potuto trasforma- re in quindici giorni perchè aveva an- ch'essa le radici sprofondate da millen- ni nella sua terra, i tuoi fritti, il tuo stracotto, i pesci del tuo mare o dei tuoi laghi, la tua cucina, insomma, ge- novese o toscana, romagnola o cala- brese ma tua, italiana, ha tali sapien- ze d'intingoli e di sapori e una sanità sua così schietta che le supera tutte. E tu, come italiana, devi avere an- che questa superbia. Giacomo Favoni Sorridono orgogl iosi, i nostri cuochi, per i loro squisiti piatti di peece cucinati al l ' i tal iana.
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy MjgyOTI=