LA CUCINA ITALIANA 1938
26 S.A CUCINA ITALIANA GENNA IO 192&-XVI ttaaicinamenti in cucina S'hà dunque da riprendere il te- ma? riprendiamolo, signore Questa nostra « Cucina » del resto, ch'ella segue col suo istinto di « massaia », non si é mai proposta altri scopi. Siamo stati noi ad insorgere tra i primi contro quei trattori che con la scusa di floversi adattare a tutti i palati alterano la loro cucina: noi a predicare che dalle nostre mense deve essere bandita la cucina stra- niera. E abbiamo ripetuto a questo pro- posito, anche nel fascicolo prece- dente, che la nostra cucina no n ha bisogno d'accatti o di prestiti. La massaia che in circostanze eccezio- nali, quando abbia « ospiti di riguar- do » cerca la pietanza delicata in un Artuso francese, inglese o russo, è dunque all'abbicci; lontana dalla varietà e dalla ricchezza che la sua cucina le offre per tutte le occasio- ni- dal saporito desinare della gente più umile al pranzo servito in guanti bianchi; dalla minestra di fagioli, di lenticchie o di ceci o alla zuppa d'erbe che le nostre massaie cuocio- no a crudo con una croce d'olio che basti, al fagiano che non è, se Dio vuole, una prerogativa dei cuochi francesi, alla sogliola al vin bianco che ai miei; invitati, se mai avvenga ch'io inviti qualcuno a mangiare, de- licato, farei servire come l'ho ve- duta friggere dalla mia vecchia non- na: in , padella. L'kmiea di cui ancora mi parla viene dai paesi del nord? E allora dovrebbe amare la cucina italiana. Non mj dice ch'essa preferisce le piccole trattorie romane « che man- tengono il loro colore ». E' logico che sia cosi. Cosa vuole che se ne fac- cia di una fetta di rnasbiff. delle sal- sicce o della carne di montone che ha mangiato finora? E' questo l'errore di molti nostri trattori, Non parliamo degli alber- gatori di elasse i quali non si con- vinceranno mai che i forestieri, quan- do vengono in Italia, vogl ono man- giare all'italiana: i vermicelli a Na- poli, le «trinette» col pisto a Ge- nova, le pastasciutte o le bistecche a Firenze, i tortellini a Bologna a Livorno il cacciucco, il « brodetto » nei paesi marinari del Marchigiano la polenta con baccalà a Venezia e via dicendo. Ma i nostri trattori non se ne rendono conto. EJ il peggio co- me dicevamo prima, è che non se ne rendono conto sopratutto i grandi trattori; i quali, avendo molto viag- giato, dovrebbero almeno esserp in grado; di stabilire talune differenze fondamentali tra la nostra cucina semplice gustosa e delicata quando si voglia, e quella- delia sua. amica in contradizione con se stessa, esat ta la lesrrerezza. quasi a dare la sen sazione che i cuochi francesi, per i quali ella ha una predilezione... let- teraria, visto che preferisce le pic : cole trattorie romane, alla cucina internazionale della sua pensione o del suo albergo, faccian le polpette col fumo. Che i nostri quasi cugini sappia- no cucinare, nessuno lo mette in dub bio. Quel che si esclude, invece, è che la loro cucina usuale o consueta, co me vuol dire, sìa più gustosa della nostra, mentre si afferma che ogni lostro cuoco rimasto italiano, ch'è quanto dire alle pure tradizioni del- ia nostra cucina da cui i córdom francesi han molto imparato, è in grado dj ammannirti ogni più deli- cata vivanda.. L'opinione diffusa una volta tra gli snobs, per fortuna quasi seom parsi, che la cucina francese abbia sulla nostra una superiorità per cer- te sua sfumature e finezze, è una delle- tante opinioni che s'erano ve- Mass,aie leggeet e diffonedet "La Cucina Italiana nute formando, tra noi, quando era- vamo un pò servi della moda altrui o, se par meglio, gli scimmiottatori degli altri. ' Che la decantata superiorità dei cordoni francesi sui nostri cuochi, i quali eran tali quando l'arte della cucina era quasi ignorata da molta gente venuta al mondo molto più tar- di di noi, sia il risultato di una in- telligente grida? Son maestri. Ma noi, signora, c'eravamo prima. Crediamo di aver dimostrato un'al- tra volta, discorrendo intorno a co- testa decantata superiorità france- se, che i cuochi toscani, per esem- pio, eran conosciuti fuori di Tosca- na e di la dai confini, in Polonia, per esempio, e in Turchia, fino dal 1000. E non dovevano essere francesi «chè il modo eccellente di arrostire i volatili e la carne in genere è un vanto della cucina fiorentine », i cuo chi che per le nozze cospicue di Ric- cardo Rucellaric con la figlia di Pie- ro De Medici prepararon, tra l'al- tro, oltre ai consueti arrosti di qua- glie, 1 pollastrini dorati con lo zuc- chero e l'acqua rosa che nessun pa- rente prossimo o lontano può aver mangiato se non era tra i convitati.. Ma non ha ella pensato qualche •'olta, signora, che tra gli ultimi del XV secolo e i primi trenta o quaian É'annj del secolo XVI fiorii ono in I- talia Leonardo e Raffaello, Michelan-, gelo e Andrea del Vasto, Fra Bar- tolomeo e il Giorgione e Tiziano? Ma non era forse informe come voglion taluni, l'arte di quei predecessori che si chiaman Paolo Uccello u Antonio Pollaiolo, Verrocehio o il Ghirlandaio o Filippo Lippi. Non si meravigli di questi avvici- namenti signora. Vasari narra di un Mariotto Biagio di Bindo Albertinel- li noto pittore fiorentino dei 400 « In- quieto e carnale nelle cose d'amore e di buon tempo delle cose del vive- re » che lasciati i pennelli « si risol- vette darsi a più bassa e meno fati- cosa e più allegra arte », aprendo u- na bella osteria in piazza S. Mar- tino, all'ombra della Casa di Dan- te e della Torre della Castagna, che ebbe tra i suoi frequentatori il Cel- imi, Michelangelo, Maso Manzuoli e Andrea del Sarto; ma non si cerca, qui, un nesso qualsiasi tra l'arte dei dipingere e dello scolpire a quella di cucinare i pollastrini al profumo del- l'acqua rosa, nemmeno se volessimo parlare di nature morte... Ci sian ri- cordati di quei colossi per tuttaltra ragione. La cucina non c'entra. Ci aiuti lei, signora, ch'è donna in- telligente e fine. Io rileggevo, veda un pò. un libri- cino del Taine sul Rinascimento quando la sua lettera di garbata i- ronia è venuta a ricordarmi ohe al 27 del mese bisogna scrivere Tarti- eolo per la Cucina. ; Ero a pagina 18. «Ec co perchè se voi paragonate l'Italia del secolo XV alle altre nazioni europee, v'accorge- rete che è più dotta, più ricca in- finitamente più civile e capace d'ab- bellir la sua vita; cioè di gustare e di produrre le opere d'arte ». Mi aiuti lei, signora, e concluda lei. Se in Inghilterra, « rimasta fino al 500 un paese di villani e di cacciato- ri, le case dei signori erano allora capanne ricoperte di pasrlia che pi- gliavan luce da qualche foro anerto qua e là», 1 lupi potevano entrare <ìn dentro i sobborghi di Parigi e il Rabelais ci mostrerà in pieno seco- 'o XVI « la zoticheria sgraziata e la bestialità dei costumi gotici « ment- f re in Italia fioriscono le arti e le 'attere, mi dica lei, signora, metten- dosi d'accordo con la sua graziosa i mica, se può essere il caso di par» ' ¿r di primati. Come vede, c'eravamo prima. A Tieno che non si riesca a dimostra« "e che si poteva vivere in una ca- •wnrja con gli stessi agi e le -stesse -afflnatezze con cui si doveva . vi- vere in n°lazzo vecchio nel Qua» ' 'ero di Eleonora di Tolendo o in -"ol io di Leone X. Evidentemente la sua gentile ami» ^a è in ven" "^m-rcfe GIACOMO PAVONI.
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