LA CUCINA ITALIANA 1938
FEBBRAIO 1938-XV-I LA CUCINA ITALIANA 15 Filetti di medio o grosso pesce altantìco. — Soppressa che sia la pelle e le altre parti inutili ai fini di farne filetti,, tagliate le polpe a fett ine oblunghe od a striscioline; marinatele con un poco olio, sale, pepe e limone. Un'ora, dopo almeno asciugate le striscioline passandole replicate volte f ra le dita per to- gl ierne l'untuosità, poi immergetene una metà in una salsa gialla' fatta con besciamella, trito, di funghi, prezzemolo e tuorli d'uovo. Stendete questi filetti su teglia per farli raf- f reddare; dopo di che avvolgeteli nel pangrattato, quindi nell 'uovo e nuo- vamente nel pane. Le altre striscie le immergerete in una pastella leggera alla chiara di uova montata; e sia le une che le al- tre striscie friggetele nell'olio, dan- do la precedenza a queste per-chè non lascino sedimenti scuri nell 'olio che fr igge. Una salsetta di pomodo- ro è indicata per questo secondo fritto, per l 'altro bastano spicchi di l imone. Per contorno si possono alle- stire dei «lettini di zucca gialla in- farinati o delle barbettine di piccoli porri freschi, ben lavati; tagliate in c i u f fo a mezzo dito al di sopra delle radici, poi infarinate ed anche sbruf- fate d'uovo battuto e fritte. •Pesce a fette alla giuliana. — Prendete fette di pesce atlantico, di qualsiasi qualità e di spessore lieve; dividetele in quarti se troppo gran- di el iminando pelli e spine. Infar ina- te, passate nell 'uovo sbattuto, quindi friggete il pesce e annegate ogni fettina dentro una buona salsa di pomodoro al prezzemolo trito e origano. Poi preparate un abbondan- te « f i lettaggio » (giul iana) di caro- te, sedano, porro e patate; sbollen- tate queste asticciole e finite di cuo- cerle in una teglia, con burro ed olio. Ponete il baccalà sul vassoio, rico- pritelo con le erbe ed il resto della salsa, c i rcondando il piatto con c r o- stini fritti, E dopò aver digerito tanto pesco, non mi sembra fuor di luogo di ...ri- farvi la bocca con una buona fet- tadi: Biscotto alle noci. — Ponete in una terrina 130 gr, di zucchero con 6 turlì e mezza scorza di limone grattata; battete vigorosamente il composto con un mestolo per ridur- lo in spuma densa. Avrete ridotto in trito alquanto f ino ISO gr. di gherigli ben mondati di noci, mescolateli con 60. gr. di buona farina stacciata. Montate in neve ferma 4 chiare di uovo, mescolatele dolcemente ai tuor- li. poi subito aggiungetevi il pulvi- scolo di noci e farina con pochi giri di cucchiaio metallico, allo scopo di non ammassare l ' impasto. Fate ca- dere in una teglia, imburrata, serven- dovi di un pezzetto di cartoncino o di una fettina di patata cruda, che fungerà da sottile mestola, per sten- dere anche il biscotto in modo uni- f o rme nella teglia. Cuccete nel for- no di medio calore e servitelo fred- do, spolverizzando di zucchero im- palpabile alla vaniglia. Non posso trattenermi dal darvi un altro bi- scotto, fratel lo siamese , del prece- dente il quale concorrerà con il pri- mo a darvi squisiti sensi del gusto. Biscotto all'Harrarina. — Mettete sul tagliare 125 gr. di farina con 100 gr. di burro molto freddo ossia duro; tritate insieme questi ingre- dienti fino a che il burro si ridurrà in granelli come piccoli chicchi di granturco. Montate col mestolo 150 gr. di zucchero, odore dì arancia e 4 bei tuorli. Ridot to in spuma il composto aggiungetevi le 4 chiare ben montate in neve; quindi versate nel modo suindicato dentro stampa liscia o cassaruola imburrata e ri- coperta con una granella eguale di gherigli di noci. Cuocete in f orno dolce. RovesQiate sul piatto ed inumi- dite il biscotto con 7 o 8 cucchiaia- te di sciroppo non molto denso al liquore, * AMEDEO PETTINI Capo Cuoco di S . M il Re La musica in cucina Non ho qui, ora, ti volume. Hi trattava, sì, dì una salsa che al pro- fumo dei tartufi di Norcia mescolava quello delle acciughe della Gorgona, con un'arditezza da cordon francese. Ma non era arditezza: quei vermi- celli al velluto nero di Norcia che un mio amico buongustaio, ospite anche lui dell'amico che ci riunisce, ogni tanto, alla sua. mensa per certi man- giari di stagione, aveva sperato di rivedere accanto a un altro vassoio di « ferrettini » all'acciuga, conditi di mare, per un confronto immediato, rappresenta.no invece una tradizione che si perde nel tempo. Non sono cattivi. L'idea di mesco- lare il sapore del pesce al profumo dei tartufi può sembrare una strava- ganza, ma son problemi che in cucina risolve il senso della massaia. Non è nemmeno qxiestione di dosi. Una fattóressa dei dintorni di Fi- renze, alla quale, un giorno, doman- davo, come si potevan far così buoni certi fagioli ch'ella ci aveva servito in una di, quelle insalatiere di cui cer- chi il fondo per bearti gli occhi col passerottino che canta, sul ramo di un fico, dipinto dalla mano ingenua di Un vasaio che si è fatto scuola da sé, mi rispondeva che a star vicini al fornello ci si avvede se occorre ag- giungere un pizzico di sale, manchi un tantin di pepe, la conserva l'abbia, troppo insaporiti o la salvia, di cui s'ha da sentir soltanto il profum,o «co- me in un'estasi», ti dia il fortore. — Ma le dosi? — domando. La fattóressa mi guarda: poi, sor- ridendo: — A occhio, risponde. Fò co- sì anche se al posto dei fagioli, che le son gioie di tuffi giorni, rosolo un pollastro, intrido un castagnaccino. o metto al fuoc- un di quei rocchi di carne che stracoci per far lo stracotto che ha mangiato ieri; tenero, con quel tanto d'intingolo che t'inonda la bocca di sapori senza stuccarti. — Era squisito anche quello Ma ci, saran le basi. . — Ci sono: la carne ha prima da rosolare quel tanto che basti, la con- serva s'ha da colorare in quel dato modo, a quel dato punto, gli odori sarar., quelli in quella misura... Ci si ri Ne sapevo quanto prima.' E penso che per i vermicelli di cui parlavamo in principio le massaie di Norcia si affidino allo stesso senso. L'amico che l'anno passato ci rac- colse intorno Ila sua mensa signorile per la rituale tartufata, e ci ha rac- colto, sere fa, per offrirci invece un risotto in « bianco è nero », mi diceva anche lui, del resto, che non saprebbe dar norme assolute per « il gustoso intruglio ». — E' probabile — saggiungeva — che mi faccia guidare anch'io da un mio istinto di massaio... Sciolgo le ac- ciughe in un tegame di terra cotta, calcolando che bastino a condire quel- la data quantità di pasta, e vi gratto poi i tartufi. — Quanti? — Non sò: continuo a grattare fin quando mi par che basti. L'ho pregato di far la ricetta. — Tenterò — mi dice. — Quello di far ricette è un, po' il mio mestiere, ma non vedo come potrei cal- colare a, milligrammi i tartufi, che che più ne metti e più ti vien voglia di rimescolare il riso su cui avevi get- tato la coltre funeraria. Parlo, s'in- tende, per me, che davanti a un piat- to di spaghetti condì,ti coi tartufi se non perdo il lume degli occhi, smarri- sco quasi sempre il senso della misu- ra. Si può tentare. Ma sono persuaso che in cucina tutte, le ricette siano affidate al garbo della massaia che de- ve servirsi di quei termini per una sua creazione, — Così è. Se hai suggerito a due diverse mas- saie che le lenticchie si preparano in quel dato modo, e trovi poi che le len- ticchie dell'una, non valgono le len- ticchie dell'altra che H ha dato, in- vece, un piatto da primogenitura, de- vi- necessariamente concludere che può avvenire in cucina quello che si verifica spesso al piano con. due in- terpreti diversi di una stessa sonata. E' stata perfetta anche lei. d'accor- do: chiara, precisa, limpida, con un suo tocco sicuro; ma l'altra ti ha dato qualcosa di più. un suo slancio, la sua, sensibilità d'interpetre, un suo stile. Non avevano sul leggio lo stesso spartito ? G i a c omo P a v o ni
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