LA CUCINA ITALIANA 1939

lo Maggio 1 939 .XVII T T t t t t t t Z T T r t T i m r ^ ^ Pag- 159 - LA CUC INA I TAL I ANA classico per paste asciuett È quasi incredibile che chi scrive ne abbia appresa « a puntino » la ricetta in un luo- go lontano dall'Italia. Eppure è così; e le lettrici mi porge- ranno volentieri ascolto e mi crederan- no. Ero ospite, per la festa di Pente- cpste, di una famiglia di piemontesi, imprenditori di strade ferrate. Gente ferrea che aveva girato tutto il mondo, dall 'Argentina alla Cina, e che aveva conservato, dovunque e comunque, a dispetto talvolta delle risorse agricole del luogo, gli usi e costumi piemontesi. Primissimi tra i quali, s'intende, quelli gastronomici. È tanto bello, all'estero, raccogliersi nelle Festività a tavola e ri- cordare la patria; non sembri sacrilego ma fatto è che con un piatto alla pae- sana pare che la distanza sia minore, e che ci si sia costruiti sul posto un pie- colo lembo d'Italia. La massaia ricordava Biella e Torino; e la ricchezza delle carni di vitello, e la sapidità del burro e quella delle erbe aro- matiche, Del buon vitello s'era però tro- vato in prossimità della « Valle delle Rose » in quel di Plovdviv dove, come è ormai fama universale, si raccolgono le rose più odorose del mondo dalle quali si estrae l'essenza e dove si raccoglie an- che (tanta è la virtù odorifera, diremo, di quel terreno) il timo più fragrante. Ma veniamo alla ricetta, alla prepara- zione, alla quale chi scrive dette man f o r t e , imparando, e rivivendo e respiran- do per una mezza giornata « l'aria di casa ». Dunque ascoltate: una volta che si è a posto con la qualità di carne le cose procedono facili. Occorre un tocco di carne di « vitello » (cosiddetto in piemontese l'animale ben nutrito che ha raggiunto il dodicesimo mese — « vitellone » dei toscani), che sia dei primi tagli, escluso il filetto ed il lombo, dei quali si può fare uso più vantaggioso; la carne può (o deve?) es- sere anche frolla. Avanti di metterla a fuoco, battetela bene con una mestola od altro oggetto adatto e legatela piuttosto pie strettamente con spago. Con ciò si ot- tiene che la carne resti più compatta e quindi facile a ridursi in fette. (A que- sto proposito si ricordi che la trinciatura deve farsi in senso contrario al filo della carne e mai seguendo il filo della mede- sima). Mettete la carne in un recipiente che la contenga comodamente, ponendovi sul fondo uno strato abbondante di odori di cucina (carota, cipolla e sedano) tagliati a pezzi, nonché qualche ritaglio di lar- do, di prosciutto e del burro con qualche cucchiaio appena d'olio; uno stacco di garofano ed un mazzetto aromatico com- posto di prezzemolo, foglia d'alloro e un bel ramoscello di timo, Se la carne fosse molto grassa si può togliere un po| d'un- to a metà cottura, altrimenti vi si lascia fino in ultimo; giacche il grasso ammor- bidisce la carne e trattiene gli aromi. Il fuoco dev'essere proporzionato alla quantità della carne in modo che la ro- solatura si compia in un tempo non troppo breve nè troppo lungo, altrimen- ti,. nel primo caso, gli odori di QMÌM si disfanno impedendo alla carne di colo- rire; nel secondo carne e odori si bru- ciacchiano od attaccano. Durante la ro- solatura non si abbandoni il fornello e si faccia molto uso del mestolo per ri- voltare gli odori e la carne. Regolate di sale; aggiungetevi vino bianco secco in proporzione del pezzo di carne un bicchiere per Kg. — versandolo in più volte e quando il precedente è comple- tamente evaporato. Non met- tendo vino, per finire di co- lorire la carne si aggiunga brodo^ di carni o d'erbaggi (sempre in piccola quantità alla volta). Si faccia uso di una piccola quantità di pomodoro — conserva ben ros- sa o polpa di pomodoro fresco — che si farà sparire nella rosolatura. • Ridotti quasi a Zero gli odori, il po- modoro ed il vino, bagnate poi un poco alla volta in maniera che le carni cuo- ciano a ristretto e ben coperte, rivoltan- dole di quando in quando. Il forno è il mezzo più idoneo per raggiungere le più profumate cotture, giacche gli aromi rac- chiusi in piccolo spazio insaporiscono le carni più del condimento, dei brodi e dei sughi di carne. Soltanto a cottura rag- giunta delle carni, si digrassi il sugo, quindi si passi, riversandolo sulla carne stessa fino al momento che se ne userà in parte per condire il farinaceo, Acciocché il sugo resti chiaro si ri- cordi di ridurre al massimo di evapora- zione la rosolatura e di far bollire blan- damente insieme con i grassi. Ed ora scegliete la pasta asciutta più adatta; un sugo alla piemontese tirato a dovere ha bisogno di associarsi à una pasta asciutta di qualità. Io per me, ho trovato (sotto qualunque clima) ottima la famosa pasta Buitoni di Sansepolcro. Si cuoce con qualunque quantità dì acqua (l'acqua deve essere abbondante); resta al dente, come si vuole, anche dalla mat- tina alla sera, cresce più delle consimili compensando la massaia del maggior prezzo di acquisto.,, ed ha un sapore inimitabile. I formati più noti (anche fuo- ri d'Italia) e che si prestano ottima- mente per il sugo alla piemontese sono « i napoletani i> detti « i settantasette »> gli spaghetti e gli spaghettini. I Pie- montesi sono buongustai di pasta asciut- ta, preparata con buon sugo e buona pasta; a Torino, dicono le statistiche, si consumano annualmente un mezzo mi- lione di quintali di pasta. Prosit. Alba Bozzo

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