LA CUCINA ITALIANA 1939
t ,A C U C I NA I T A L I A NA - P a g . 164 Í W J b ò i U H m W m T T O m m m W W W W In G i u g no 1939 -XVII Dm tipici efruttammcedi c II caffè non è necessario alta nostra razza dinamica, attiva, svegliatissima, quindi niente affatto bisognosa di ecci- tanti o stimolanti in genere. Quando• ap- parve la bevanda nigra nella storia vo' luttuaria del nostro Paese, suscitò, ac~ canto all'opposizione che consegue natU' raímente l'apparizione di una novità, l'i- ronia che la stigmatizzava come bevanda esotica, cara al palato della infrollita eie' gante società aristocratica settecentesca. L 'abate Panni faceva il primo immortale ritratto del bevitore di caffè appena de- statosi ai raggi importuni del sole di mezzogiorno, penetrati attraverso le do- rate imposte " a saettargli i lumi ". Il bevitore di caffè era il giovin signore rientrato a palazzo dopo la veglia noi' turna, e coricatosi dopo aver spelluZZt' cato i più stravaganti cibi " pruriginosi " inaffiati di liquori e di vini stranieri, di' scesi dall'Olimpo della moda a trionfare sovrani sulla tavola. L'Italia del '700 aveva,, in quel passo del " giorno ", la prima critica arguta e severa di quella esterofilia che ha domi' nato la tavola italiana e che sta ora per essere finalmente travolta dal nostro nuo- vo costume voglioso di affermare anche in fatto di cucina una italianità ad ol- tranza, U tutto vantaggio della vostra aw tirchia spirituale ed economica. Quel " siedi delle mense regina! " detto alta bottiglia del tokai che impreziosisce la mensa del gentiluomo e abbassa il gio- vili signore alla ridicola schiavitù di' un tenore di vita imposto dalla moda del mondo elegante, rivela tutta la piena irò- lavoratore, è un consumatore di minima quantità di caffè; il caffè lo beve quan- do e ammalato: nella pienezza della sua gaghardia e della sua operosità, non ha altra bevanda che il vino, rosso come il suo sangue generoso, acutamente odoro- so come la sua terra. Il caffè è la bevanda degli intellettuali t- degli, impiegati: ma il tipo dell'intel- lettuale e dell'impiegato che ha bi sogno di molto caffè nella giornata, andrà scom- parendo non solo perchè non consumare caffè e itahano, è fascista, ma anche per- che la nuova coscienza del lavoro come dovere sociale esclude questo continuo ri- dicolo puntello del caffè nella giornata la- vorativa. A voi, donne, tornerà indubbiamente gradita la non piccola economia che rea- lizzerete sul vostro bilancio domestico non comprando più caffè. Ne sarete liete an- che per quei vantaggi che ne deriveran- no alla salute dei vostri familiari, alte- rata spesso dall'abuso di caffè che, co- m'è noto, porta dopo il primo sollievo l immancabile depressione. Naturalmente la rinuncia al caffè com- porta qualche sacrificio al nostro piacere e alte nostre abitudini. Non siamo infatti generalmente dell'opinione di quel bur- lesco poeta che avrebbe preferito una tazza di ve l eno a un bicchier che fosse pieno dell amaro e rio c a f f è; ma siamo anche per felice disposizione naturate pronti a troncarla con l'abitudine e più di tutto pronti ad accettare lietamente quella parte di sacrificio senza la quale non_ avrebbe nemmeno per noi valore ogni azione da noi compiuta. Una volta di più, anche in questo modesto campo, padroni assoluti di noi stessi, rifiutiamo il caffè straniero e ritorniamo alle no- stre tradizioni: vino e frutta. Vino e frutta uniti assieme ci danno la squisita macedonia gradevole e profu- mata, opportuna nelle diverse ore del giorno, giovevole alla salute anche secon- do i dettami di quel " crudismo " che l'autorevole opinione degli igienisti non finisce di consigliare. Eleonora della Pura nm del poeta nato da gente umile, sana, operaia, che predilige i vini italici e i doni meravigliosi della nostra terra. Alla bontà, alla fragranza, al calore dei vini d'Italia, amati dai poeti, dalla gente d'ar- me, da tutto un po-polo di forti, tenaci, geniali lavoratori, si ritorna oggi per so- stituirli al caffè. Il caffè non rappresenta per noi una necessità, ma una ghiottoneria, un'abitu- dine, un pregiudizio che sia la panacea di molti mali o l'indispensabile aiuto di quel lavoro che non ci sgomenta mai neppure se snervante o continuo o iden- tico a se stesso, quel lavoro che per es- sere da noi integralmente e sanamente compiuto non ha bisogno delle pause al banco degli " espressi ". L'operaio, che è in definitiva il più forte e il più sano
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