LA CUCINA ITALIANA 1939

1" Agosto 1939-XVII - Pag. 227 - LA CUC I NA I TAL I ANA « ¡ la selvaggia Sera d'incanto. Sotto la tenda che ospita i nostri tettucci da campo giun- ge tene il fruscio del ruscello che mor- mora eterne cose, dolcissime alla lumi. Un usignolo romantico gorgheggia, lontano, una sua serenata d'amore al- la usignolo che l'ascolta, ancora restia e peritosa, fra il frascame d'un faggio. Sera divina. Domani, all'alba, le pri- me risse rabbiose dei passeri ci chia- meranno a salutare il superbii irrom- pere. della Luce, trionfatrice sul mi- stero delle cose. E ritroveremo i canti <iella nostra letizia spensierata. E la cerimonia dei fuoco ci chiamerà an- cora li, come le nostre antiche proge- nitrici delle età primordiali, intorno ai Ramoscelli refrattari e fumogeni. Il fuoco! Noi lo conosciamo come Un fenomeno facile, addomesticato e disciplinato, dacché oscuri o celebri Personaggi remoti hanno inventato per noi quelle cose così apparentemente semplici che sono i fiammiferi, e il gas, e l'energia elettrica, e i liquidi Carburanti: ma te genti primève eh" dovettero rapirlo al sole — dopo i lunghi secoli passati nella tristezza fe- roce delle notti gelide, dei ¡tasti ili carne cruda consumati dopo aver vinto Vii animali alla corsa ma l'umanità r emota a cui il primo comparir d'una ' ' " n i d i brindilli segnò il transito 'l'ili a barbarie più assoluta al primo baluginare d'una civiltà che s'iniziava, ""¡levano quale cosa eccezionale esso fosse — e come occorresse faticare per Procurarselo, strusciando due legni secchi /ino a ottener la combustione, e come fosse difficile conservarlo, re- carlo con sé nelle migrazioni frequen- ti, difenderlo contro tutti gli incidenti detto vita selvaggia... E noi ci sentiamo un po' genti delle 'averne, stamani, al nostro risveglio. fi' che, partendo, abbiamo deliberata- mente voluto rinunciare ai fornello a s Pirito, e all'alcool solido, e a lutti altri ritrovati che la tecnica nio- 'terna mette a disposizione dei turisti e denti sportivi. — Oh! si! ha detto Rosalinda, c he sì ricorda ancora i romanzi di Fe- "itnore Cooper e di Venie, cari alla laritusia avventurosa di suo fratello. ,J U'JI distinto impiegato postale a Mi- '"iio — Dobbiamo essere immuni da "Qui servitù mondana, di lusso e di * conforto ». Libere e semplici, come Ideile donne ricoperte di pelli per le 'l'iati il primo comparir della fiamma ""stinse il carattere di miracolo, e che 'bearono poi la religione del fuoco, lo "'"•<) tu Vestale... Ed eccoci qui. Vestali non ricoperte ecis-unente di petti, o di clàmidi, ma ' cosium ini modernissimi o iti pigia multicolori, a cercar di rinnovare '' sacro miracolo del fuoco. Solo che V'estì ramoscelli secchi fumano ina Prima giornata di campeggio ledettamente. e a soffiarci sopra per- chè si accendessero mi sono strinata un ricciolino. Tutte piangiamo a calde lacrime, come se ci fosse successa una disgrazia: Rosalinda ci spiega che st invece di un giornale e di una scatola intera di fiammiferi t avessimo adope- rato una lente per concentrare i raggi del sole su un po' di musco bene li- sciai io, queste lacrime non ci sarebbe- ro state. Un'altra volta porteremo la lente e cercheremo il musco. Bevutio il c a f f è , che è stato trovalo buonissimo, benché sapesse un po' troppo di fumo, abbiamo fatto le no- stre abluzioni giù al ruscello, fra la meraviglia sorniona di un paio di ra- nocchie. che si san subito rintanate in fondo a qualche cespuglio subacqueo, e di là ci dovevano ¡spiare, gelose e dif- fidenti. E poi abbiamo compiuto di sciplinatamente tutti gli esercizi tìsici che sono comandati da quel signore dell' Eiar, che parla sempre così ar- rabbiato, tutte le mattine. Da una ca- va colonica un ¡io' distillile ¡ersero non l'avevamo vista, quando siamo ar- rivate con la nostra lenita e i nostri bagagli - due o tre persone ci guar- ii,ino, ritte sull'aia, e discutono: forse ci prendono per saltimbanchi, di quel li che « fanno le forze » alte fiere. Ma il vecchio capoccia si tocca il cranio spelacchialo con un dito: decisamen- te, la Sina diagnosi è d'un altro genere, t* di carattere piuttosto psichiatrico. Ma noi non ce ne curiamo. Siamo venute qui coita nostra automobilina utilitaria, decise a fungile la monoIo- na compagnia dei villeggianti borghe- si. quelli delle pensioni per famiglia Ed eccoci qui. a discutere, libere e selvagge, ma incerte e peritose, sul programma dei pasti. Perchè anche selvaggi mangiano, a quanto dice Mag- ne Heid; e noi ci sentiamo una fame... Quello delta scelta dei cibi è stato un problema che abbiamo lungamen- te dibattuto, prima di partire. Rosa- linda avrebbe voluto « vivere, sul ter- ritorio conquistato », cogliere i frutti dalle piante cacciare gli uccelli o i conigli selvatici... Nora, invece, pro- pendeva più borghesemente per le sca- tole del salumiere: sardine in scatola, carne in scatola, marmellate... « Cè- da farsi legnare dai contadini, dicena, non senza un certo buon senso, ad an- dare a coglier te frutta sugl'i alberi. E quanto ai conigli selvatici, non mi fate ridere! Io non li ho mai visti in vita mia; possibile che li troviamo lì ad aspettarci » ? Ha prevalsi, la mia opinione: Voi non possiamo certo — ho dello 'iravemenle pensare a vivere 10 giorni di sardine in ¡scatola e di fettine di salame. E d'altronde mi ri fiuto energicamente di far dipendere la mia esistenza dal binici volere di un coniglio selvatico, il quale, appunto perchè selvatico, chi sa che caratte- raccio scontroso si rimpasterà. Portiamoci u n a pentola, una padel- la, dell'olio, delle uova, degli odori, un po' di carne fresca per il primi- giorno. delle patate, un po' d'erbaggi, e burro, e formaggio, e spaghetti... Ora siamo qui. La pentola bolle siul focolare che tutti i nostri sforzi riuniti non sono riusciti a rendere me- no lacrimogeno, bella padella tre fet- tine di carne aspettano di esser « sal- tate » al burro. Il pane è ancora quel- lo di ieri. Più tardi andremo al vil- laggio vicino, a fare i prelevamenti. E lilialmente è mezzogiorno. - Non avrei mai. credulo, sospira Rosalinda, che un piatto di spaghetti potesse assumere cosi s'trani sapori. E' vero che questi sono i « nostri » spa- ghetti, gli spaghetti della nostra vita selvaggia... Ma la carne è dura, e le patate sono del tulio carbonizzate. O forse sono dei pezzetti ili ramoscello, che sono andati finire nella padella... La fruita è discreta. Abbiamo lavai < le nostre stoviglie giù al ruscello, le abbiamo riposte sotto la tenda. Il fu- mo delle nostre sigarette si eleva ora nell'aria immobile del meriggio af- focato. E tentiamo di dormire, nel ronzio dei tafani. Alle cinque, una passeggiata ci porla sulta strada maestra, che si perde nel lontano, diritta e tacente come una spada. Sarebbe bello andare così, lentamente. spensieratamente, salutando i contadini che passano sui loro carri e ci sbirciano attoniti... Ma dobbiamo rientrare per la pre- parazione della cena. Uova affrittella- te, insalata di pomodori e di radic- chio, marmellata a piacere... La sacra « cerimonia del fuoco » - senza aver raggiunto ¡I carattere ¡era tico delle nostre pio ave remote — è sempre complicata. Ma il /leggio è eh- nelle uova è caduta una vespa: inu- tilniente cerchiamo di convincerci che si tratta d'un animale patitissimo e. u /iurte il pungiglione, poetico perché vive tra r fiori. Ceniamo, malinconica- mente, con insalata e fette di pane spalmate di marmellata di fragola. Sa- pori assortiti, cerio, ma che ci diso- rientano un po'. Nora sbadiglia. — Hai sonno? — le domando. Veramente, no: ho soltanto fame. Penso allo stufatila> della pensione. A considerarlo obbiettivamente, con l'a- nimo libero da preconcetti filosofici, non era poi tan lo cultivo... Malelda.

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