LA CUCINA ITALIANA 1939

I o Novembre 1 9 3 9 - XV I I I Pag. 319 - LA CUCiNA ¡ TAL IANA I A " P I Z Z A Un itinerario gastronomico d'Italia non potrebbe trascurare quella regione che ha nome da Tol fa. Vi permango- no, tenaci, usi e consuetudini secola- ri , 'agevolat i, nel loro perdurare, da un certo qual isolamento in cui i paesi vengono a trovarsi rispetto alle gran- di arterie di comunicazione. Al turista gastronomico Tol fa richia- ma innanzi tutti gli accenni che il Chiàbrera e il Redi le dedicarono. Que- st 'ultimo, nel suo celebre di t irambo, non tralascia di far cenno del vino del- la To l f a; Altri beva il Falerno, altri la Tolfa, altri il sangue che lacrima il Vesuvio... Egli lasciava ad altri bere tal vino, perchè il suo gusto di « gentil bevitor », come dice poi, lo traeva piuttosto ver- so altri v ini ; ma è appena necessario aggiungere che numerosi altri non e- rano, e non sono, del suo parere, e provano un sentimento diverso dal suo davanti al l impido liquore che provie- ne dai lunghi filari di viti che fanno pittorescamente ricchi i declini tol fe- tani. Da diversi sentimenti verso i pro- dotti di Tol fa era mosso il Chiabrera quando scriveva: Io sprono a tutta briglia ver' la Tolfa là dove Bassareo marina distilla, ove sembra doversi rintracciare espli- cita al lusione ad un' industria che ave- va nei secoli scorsi largo svi luppo: la estrazione da l l ' ome l l o, mediante iibili incisioni fatte nei tronchi, di un umo- re che prima fatto solidificare e poi A M A R A . disciolto in acqua calda dava la man- na, bevanda di grato sapore, assiti ri- cercata {> pregiata. Di tal produzione, rimasta in vita fino a circa la metà del secolo scorso, oggi non si ha più traccia. * * * Tenacemente invece sopravvivono altre consuetudini cucinarie di cui ar- duo sarebbe rintracciare l 'origine. Al- cune appariranno bizzarre a chi ni prenda per la prima volta conoscenza; tali i maccheroni colle noci, miscuglio che al forestiero non può non appari- re per lo meno originale, ma di cui nessun nativo del luogo farebbe a me- no il giorno della vigilia di Natale, dar la alla quale quel piatto è strettamen- te legato. E come esso è in certo senso nella mente di ogni tol fetano parte integrante della ricorrenza natalizia, così nessuna famigl ia lascerebbe pas- sare la P,asqua senza le pizze che dal- la Pasqua prendono il nome, e che meriterebbero pari, se noti superiore, fama di quelle simili di Civitavecchia, note ai buongustai. L'elenco delle specialità del luogo potrebbe cont inuare; ma noi vogl iamo oggi sof fermarci su un dolce che me- rita di essere conosciuto in più larga cerchia: la « pizza ani,ara », che se nel- la ruvidezza del nome fa quasi pen- sare a qualche... preparati* contro i topi o altri animali incomodi, è in realtà una torta assai gradevole al palato. Si prenda una terrina e vi r battano dentro 4 uova, tuorli e albi, ne, men- tre vi si faranno cadere dentro lenta- mente 4 ettogrammi di zucchero e quindi 25 grammi di cannella. Si ag- giungano poi 2 etti di strutto l iquefat- to, 4 piccoli bicchierini di alkermes e infine la scorza grattugiata di un l i- mone. Ciò che dà il gradevole sapore amarognolo, e il nome, al dolce sono le mandorle amare, che per 150 gram- mi occorre triturare in minutissime particelle, pestandole nel mortaio, per poi mescolarle insieme al tutto. L' in- sieme cosi ottenuto va versato su un piano dove gli si fa raccogliere tanta farina quanta occorre affinchè la pa- sta non riesca dura. In una teglia un- ta con un poco di strutto si collocherà e si assesterà la pasta, e si cospargerà sopra di zucchero e cannella mescolati. Indi si mette al f orno e vi si terrà a fuoco moderato fino a quando un bel colorito biondo oro assunto dalla tor- ta non faccia avvertiti della compiuta cottura. Ecco la pizza amara; non ha nel suo esterno, conformemente alla sua carat- teristica di dolce campestre, nulla che ne illeggiadrisca in qualche modo l 'a- spetto. Recata sul desco a coronamento del pranzo in occasione della fest ivi- tà del Celeste Patrono del paese, o per nozze, o per prima comunione, è il dulcis in fundo del rustico banchetto, acquistando in aggiunta un nuovo par- ticolare sapore quando, come inevita- bi lmente capita, è inzuppata nel bi c- chiere di vino che chiude la serie, non eccessivamente esigua, dei precedenti... Alla. DEPOSITO SAEMA • VI» A. Mario 38 e curare ANEMIA, LINFATISMO, NEVRASTENIA, ESAURIMENTI, ecc. D à appe t i t o, di ges t i oni f ac i l i, tonni tranqui l l i, nervi c a lmi , f o r za, v i g o r e, c a rnag i one f resca, co l or i ta e un b e l l i u imo aspet to. E f f i c a c ia garant i ta. A n c h e una sola s ca t o la p r o du ce e f f et ti meravigl i os i. £

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