LA CUCINA ITALIANA 1940

Le grandi scoperte e le grandi inven- zioni non sono quelle strepitose, di cui si occupano i libri di storia, legate a no- mi grossi di uomini che riempiono delle loro immagini, di marmo e di b / onzo, le piazze di cento città. Le grandi ecoperte e invenzioni che hanno fatto fare agli uomini i passi de- cisivi sul cammino della loro evoluzione, che hanno segnato i punti d'arrivo della civiltà, sono senza nome, senza data e senza luogo. Mi spiegherò con un esempio. Pensate alla ruota. Avete un bel pensare a tutti i grandi che da un secolo a questa parte hanno rivoluzionato la società, in- troducendovi un elemento di prim'ordine, non soltanto tecnico o economico, ma anche morale e sociale: la macchina! • Ebbene, tutto il mondo meccanico non «irebbe, e non sarebbe neppure il più modesto carretto a mano, se migliaia d'anni fa (ina quando, ma come?) non fosse nata la ruota. Al l ' ignoto nostro pro- genitore che in un bel mattino di un'ar- caica selva di felci gigantesche cavò da un tronco d'albero abbattuto due rulli, su cui vide che scorreva agevolmente un piano, a lui si che dovremmo fare un monumento ! E presso a poco le stesse cose si di- rebbero per la scoperta del modo di produrre il fuoco (se n'erano bene ac- corti i greci, favoleggiando del generoso titano Prometeo). E io dico che fra le grandissime in- venzioni, quelle che proprio ci fanno pensare a una favil- la del fuoco celeste messa a covare nella corruttibile carne umana, ci ha il suo posto anche la mi- nestra. Anzi non so- no io a dirlo per la prima volta : c'è la sapienza orientale che mi precede, e di molti secoli, perchè Cuen-Pei-Wan, che la sapeva lunga sui « doni del cielo », e li enumerò tutti con scrupolo e con giudi- zio, cosi come glieli dettava, dal mondo felice dei morti bea- ti, la buon'anima del suo maestro, vi an- noverò la minestra, appunto. Se si è giustamen- te ripetuto che il pane rappresenta ve. ramente la condizio- ne del l 'uomo sul mattino della sua vita civile, la mine- stra ci rappresenta l 'uomo nel giorno pieno e splendente del suo infaticabile progresso. I popoli frugali, per virtù o per ne- cessità, le comunità religiose, del l 'Occi- dente come dell'Oriente, che hanno ri- dotto i ¡piaceri della tavola a quanto basta a mantenere vivo e sano l 'organi- smo, hanno rinunziato a tutto, tranne che alla minestra: di verdure, di legumi, di pesce, e magari di tartarughe, ma sempre minestra. La cena dei Romani del buon tempo della Repubbl ica, quando i costumi era- no semplici e severi e le azioni davvero fortissime, consisteva in un brodetto scu- ro, in cui affogavano dei pesciolini, una specie di antenato del cacciucco, che si mangiava anche nelle case dei patrizi e dei ricchi plebei. Aprite Plauto, leggete l ' immortale Andria, e troverete il padrone di casa cenare nel modo d ie vi ho detto, e non fa nulla che il vecchio signore della commedia fosse un po' tirchio di natu- ra; anche gli spendaccioni non andavano molto più in là di lui, perchè la parsi- monia era nell'aria, insieme con la mo- destia delle case, dei templi e dei pen- sieri, specchio fedele dell 'equilibrio di spirito e di corpo dell'antica Róma. La campagna ha sempre avuto, eotto certi rispetti, molte cose da insegnare alla città, e la campagna è i l regno della sco- della, ossia il regno della minestra. Dirò di più: che la minestra è la vera introduzione al pranzo, e che hai voglia di mettere in tavola gli antipasti più stuzzicanti, lo stomaco, per sentirsi a posto, reclama la minestra. E molti di quelli che mangiano in pre- cedenza il crostino di acciughe e capperi, o la fettina di prosciutto, comincereb- bero più volentieri con qualche cuc- chiaiata di brodo (e non importa che sia di carne) o con qualche forchettata di spaghetti, se l'uso non fosse invalso di servir prima gli antipasti. L'arte della cucina direi che comporta tante ricette quanti son gli uomini e le borse; se c'è campo al mondo per sbiz- zarrirsi, è proprio là tra i fornelli, dove bene spesso un po' di ingegnaccio, di volontà e di amor della tavola (quel lo sano e onesto, che procede di pari passo con l 'amor di famiglia) trovano non una, ma cento maniere di supplire alle limita- zioni rigorose di spendere ogni giorno quel tanto e non più. Orbene, quell^arte vi offre il più sva- riato campionario di minestre, tanto sva- riato che supera da solo, in numero e qualità, quello di tutti gli altri piatti. Una cosa m'ero dimenticata di dirvi e ve la dico ora: guardate gli eserciti di tutto il mondo, il l oro rancio è essen- zialmente una minestra, e come ci si bada, al campo o nelle retrovie, a che sia buona e ben fatta! O' .esto elogio della minestra ve l 'ho fatto perchè so che da un pezzo essa non gode più 'il credito dell'innanzi. ,Ha infatti, agli occhi di certe massaie mo- derniste, questo elemento a suo danno: il fattore tempo. Si ha fretta di allestire il pranzo, perchè si ha fretta in cucina, ossia poca voglia di perdersi intorno alle pentole. Il modo di vivere d'oggi pare infatti respingere la minestra fra le cose che non si usano più, o delle quali si può fare a meno. Oggigiorno impera la frit- tata, il grande abuso dei popoli senza famiglia (America insegni). Oppure ven. gono fuori, in cambio dell'autentica mi- nestra, le scatole dei prodotti già confe- zionati: pasta, condimento, tutto in un involtino che si tiene con un dito e che, una volta arrivati a casa, ci permette in pochi minuti di portare in tavola. Ma prima che il « dado » trionfi, e non mi riferisco soltanto ai dadi di brodo concentrato, ma alla mania in genere dei preparati condensati, ridotti ai mini- mi termini, sintetizzati (curiosa antici- pazione del pranzo in pi l lole che ogni tanto compare nei romanzetti dell'avve- nire o si... degusta, sul serio, in qualche stravagante padiglione di certe mostruo- se fiere mondiali), pensate a quel che la minestra vuol dire, sulla tavola, in famiglia, e infine nella salute. Essa è l ' indice dell'interesse che la donna prende alla casa, così il pentolone patriarcale, che spesso riposa a settimane intere sulla mensola di cucina, è una spia di quell'aria di famiglia che, anche ad essere modernisti, ci fa tanto bene al cuore. ELEONORA DELLA PURA 207

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