LA CUCINA ITALIANA 1940
Medicina a tavola i n s a l d a t e § » * i m a v e v i l i Mi ricordo che, quando ero bambino, ottenni, dopo averlo desiderato tanto... indovinate che cosa? Un temperino, si, un minuscolo temperino! Non cre- diate, però, che in questo mio desiderio di fanciulletto si celasse già una mia precoce vocazione per quell'arte... san- guinaria che, molti anni dopo, doveva divenire la mia professione ufficiale: quella cioè del medico-chirurgo. No, non c'era in me, ancora, neppure l'idea della idea di un piccolo medico in erba; ma, semplicemente, l'aspirazione, allora diffusissima nei bambini (ad imitazione, come sempre accade, dei grandi) di an- dare proprio a far... erba, coi compagni, nelle prime belle giornate primaverili, subito dopo scuola, sui prati verzicanti già, tutti, tra botton d'oro, margheritine e narcisi selvatici, di tènere erbe sme- raldine. A far erba per le bestie, forse? No : a sradicare le piccole insalate sel- vagge, « a far cicoria» come si dice qui a Roma. Era però un mestiere da grandi, a quei tempi, quello da cui eravamo e- sclusi e in cui non si lasciava occasione di gita in campagna per parte degli adul- ti, senza armarsi di un piccolo coltello tascabile destinato all 'uopo suddetto. E vedevate, pei prati solatìi, signorine, si- gnore, uomini seri, giovanotti eleganti, curvi sulla tenera messe di insalatine na. scenti fare a gara per fornire alla me- renda campestre e per servir di « con- torno » ai succolenti arrosti di « abbac- chio » o di pollame recati da casa, la più grossa « fazzolettata » di radicchio tenero e fragrante. Era un mestiere da grandi (e per quello ambivamo rubar- glielo di soppiatto) ai grandi, che da quella gioconda usanza primaverile traevano, oltre ad una igienica insalata appetitosa e nutrientissima, lanche lo spunto ad una lieta e salubre poesia a- greste. (« Tu non sai — cantava, allora, senza disdegnare l'argomento umile il Poeta innamorato delle cose semplici e buo- ne — Tu non sai come è buono il ra- dicchio, ma non senza la sua nepitel- la! »). Dolce usanza e semplice poesia dimenticata, purtroppo ! Ora la cicoria classica ( cechorium dens leonis — come la chiamano i botanici, il dolce radicchio primaverile è divenu- to, insieme a tutte le sue numerose va- rietà, un alimento dispregiato e negletto. Si seguitano, si, a mangiare le insalate nei pranzi più scelti, perchè la moda lo vuole ma non sono più le vergini insa- late che la primavera ci offriva già pron- te sui prati, tra le primule e le marghe- ritine: ina insalate « s i gnor i l i» così det. te, sbiancate ed esangui (poiché la clo- rofilla che fa verdi le piante è il loro sangue, fatto vivo e prezioso dai raggi diretti del sole e dai succhi naturali del- la terra) ; creature artificiose di incroci complicati e di calori fittizi di serre, cui si riesce solo a ridar sapore servendole intrise di maionesi pesanti ed indigeri- bili ; il più delle volte ammanite già bollite e lessate: ossia private di quelle vitamine che ai tempi di cui vi discorro non si conoscevano ancora, è vero, ma perlomeno s i . . . mangiavano in gran copia. Oh, il bel radicchio Pascoliano, colto ancor vivo sul campo : vivo nel senso che, negli indugi dei trasporti da altri paesi e negli altri ritardi mercatizi, alcuni de- gli elementi attivi che fan delle erbe, in genere, un alimento prezioso, decadono o addirittura si trasformano e scompaio- no! Bisognerebbe fare, ed io ci metto le mie modeste forze, bisognerebbe, dico, fare una vera crociata igienica per il ri- torno, all'uso sulla mensa quotidiana, delle belle insalate selvatiche, aromatiz- zate con nepitella, o mentuccia di prato, o tina, o basilico, che ne accrescono la £ oMoAd e& tnan§iaMO> i/ù/a? Pare impossibile, ma anche le ricette di cucina scatenano di tanto in tanto furori polemici e scambi di note violen- te. Di solito, questo avviene quando qualche indicazione urta contro i senti- menti (nobilissimi) di pietà che i cuori bennati nutrono nei riguardi degli ani- mali. Quando si tratta di descrivere co- me si deve ammazzare un animale per mangiarlo, c'è sempre qualche anima gentile che eleva una sdegnosa protesta. Questa volta, l'esplosione è stata sòda parecchio: una signora che non firma, ma che, in compenso, non lesina negli aggettivi, ci ha scritto una lettera furi- bonda, a proposito della ricetta fornita dalla noistra Frida ad una signora spez- zina che voleva sapere come si cucinasse l'aragosta. La ricetta, pur non nascon- dendo il sentimento della nostra valorosa collaboratrice, che osservava trattarsi di un barbaro modo, diceva che Varagosta va gettata viva nell'acqua a bollore, dopo averla legata perchè non schizzi fuori della pentola, o almeno non faccia schiz- zare l'acqua bollente. E' questo metodo che la abbonata protestante trova sem- plicemente infame, e rivelatore delle peggiori qualità di carattere. Ora non neghiamo che il metodo sia barbaro. Tutti i metodi, del resto, sono barbari, quando sono volti a togliere la vita a qualsiasi creatura. Il cacciatore che abbatte con una fucilata un uccellino gar- rente ebbro di gioia nel cielo luminoso, appetività e la digeribilità; irrorate di semplice olio di oliva, e con l'aggiunta di un pizzico, parco, di sale e della cuc- chiaiatella tonificante di buon aceto na- turale. Quanto vantaggio ne avrebbe la nostra salute, specie in questo periodo prima- verile in cui più vive, più energiche, più doviziose, si presentano le virtù nutri- tive e purificatrici delle erbe e più il nostro organismo è bisognoso di certi elementi vitali imprescindibili ed è più pronto ad assimilarli! Quante vitamine preziose, quanti preziosissimi sali mine- rali indispensabili che si vanno a cer- care nelle farmacie e nei barattoli delle specialità come « medicine » talora di sapore ostico e di prezzo elevato, che ci si ostina a ricercar di seconda mano nelle costose carni macellate che tali elementi contengono soltanto perchè li hanno trat- ti direttamente ed unicamente dalle erbe di cui si nutrono, non troverete in un bel piatto di insalata selvatica, dì classi- ca cicoria, fresca e profumata, nutriente e depurativa, gustosissima e appetitosis- sima e, se tutte queste virtù non bastas- sero, economica più di ogni altra vivanda! DOTT. TIOLI il macellaio che accoltella il pio bove, la massaia che tira il collo a un galletto intraprendente o schiaccia il cervello a un piccioncino, possono esser sicuri che le loro vittime (quale che possa essere il mezzo usato per ucciderle) trovano il mezzo usato di scarsissimo gradimento. Nè, del resto, è certo che morire di len- ta asfissia, in 2 o 3 giorni di lontananza dall'acqua marina, sia per le aragoste preferibile al tuffo fatale nell'acqua bol- lente t che almeno assicura una morte immediata. Il problema non è qui-, il problema dovrebbe esser posto su altre basi, e cioè se Fuomo abbia diritto di uccidere gli animali per nutrirsene. 1? una disputa ormai annosa. I vegetariani hanno già risolto questo problema per conto loro: solo che gli studi dei naturalisti tendono a mettere sempre più in luce una note- vole sensibilità nelle piante. Come ce la caveremo, il giorno in cui sarà dimostrato scientificamente che an- che le piante soffrono? I vegetariani non potranno più dare un morso a una mela senza mettersi a piangere (pel rimorso) come se si trattasse d'una cipolla. A calmare almeno in parte la nostra vivacissima abbonata, desideriamo dire che la « mala » morte dell'aragosta non è stata inventata da Frida: tutti i classici della Cucina, i grandi autori dei trattati più celebri e i nostri autori più moder- ni, compresi i popolarissimi, consigliano tutti di cucinare l'aragosta nel modo in- dicato, Non diciamo che la cosa sia com- mendevole; diciamo che così è stato sempre fatto, e pare che il mondo — ec- cezion fatta per Vabbonata zoofila (e per le aragoste, naturalmente) — se ne sia sempre trovato bene.
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