LA CUCINA ITALIANA 1941

Qilna ìispóude a... e * ® ' P © IL ^ I 0 IDRIS h i . D ABB. SOL ITARIA. — Veramente, col- la di f fusione anche nei più remoti caso- lari del l 'elet t r i c i tà, il fabbr icare ghiaccio per uso domest ico non è più d i f l i c i le ad alcuno. Basta un modesto f r igor i fero ed una presa di cor rente! Tut tav i a, se non volete comprare il f r igor i fero, o se nella vostra casetta montana l 'energia e l et t r i- ca non arr iva, fatevi spedire da qua l un - , que farmacia del « n i t rato dì .ammonio », e del «c l oruro di ca l c i o». Mescolate a par ti uguali questi due prodot t i, sciogl ie- teli in acqua,, e... fate come se doveste prepaj-are un gelato: vale a dire versate questo miscugl io in un secchiello di le- gno, dentro il quale poi int rodur rete un recipiente metal l ico, possibi lmente mol- to sot t i le, pieno d'acqua. Quando il bloc- chet to del ghiaccio sarà tat to, e tol to, versate la miscela salata in qualche reci- p i en t e-mo l to basso e mol to largo, e la- sciate che evapori al sole l 'acqua della soluzione. Recupererete così il cloruro di calcio e il ni t rato di ammonio, che, mes- si da parte, pot ranno servirvi per un ' al- tra vol ta. LAURA. -— Se apr i te una tomba dei Faraoni (ma credo che in questo mo- mento avrete al t ro da fare, e d'al t ronde non mi pare che a Montecat i n i -Terme ci sieno stati mai sepolti i re e le regine del l 'ant ico Egi t to) ci trovate, se si t rat ta del l ' ipogeo d'una donna, bel let t i, pinze, t u t to l 'armamentar io delle cure di bel- lezza. Sempre la donna ha voluto cor- reggere la natura, sia per nascondere i propri d i fet t i e quel lo chg i poeti f ran- cesi chiamavano '« l ' i rreparabi le ol t raggio degli anni », sia per rialzare il tono del- la propria bel lezza, o per modi f icar la: chè spesso i cambiamenti appor tati dal le donne ai colori dei capel l i, al l 'aspet to del vol to, etc., non sono che mani festazioni di un'unica ansia di migl iorare, di una ricerca sempre più febbr i le di quel la per- fezione così d i f f i c i lmen te raggiungibi le. .. Ecco perchè io indulgo alla faci l i tà con cui le donne si precipi tano sulle nuove mode, anche in fat to di pet t inature, di prodot ti di bel lezza, etc. Indulgo: purché però si isappia conservare una certa mo- derazione e una certa digni tà, nel lo spe- r imentare. nuove fogge: e purché t ruc- chi, bel let t i, creme, cipr ie etc. sieno ap- pl icati con garbo e con parsimonia. Se certe signore si vedessero con gli occhi con cui le guardano gli al t r i, quale uso più giudizioso farebbero, di t u t t i gli i n- t rugl i moderni! E soprat tut to come si l i- mi terebbero nella quant i tà dei be l l et t i! Ho let to in questi giorni un « Breve Compendio di maravigl iosi segret i», pub- bl icato 300' anni fa da un chimico che allora andava pei: la maggiore. Ci^ho t ro- vato tante r icet te curiose: vi dò, a t i - tolo di curiosi tà, questa che dovrebbe ser- vire a decolorare i vostri capel li senza dover ricorrere al parrucchiere. Anzi ve la trascrivo testualmente, pregandovi di r i - cordare che si t rat ta di una ricetta stam- pata 300 anni fa, e quindi che il modo con cui il chimico di al lora chiama il re- cipiente da met tere sul fuoco non deve scandal izzarvi. « Miele buono quanto vuoi, met t i lo in boccia, ovvero orinale di terra, con la quarta parte di arena ben secca, acciò il miele bol lendo non esca, fuor i, e dist i l la a lento fuoco, e pr ima uscirà l 'acqua, poi augumenta il fuoco, et uscirà l 'ogl io, muta recipiente, perchè è nero, ma si pu- r i f ica al Sole, e diventa di color di ru- bino; l 'acqua è buona per far crescer li capel l i, e l 'ogl io li t inge in color d ' o r o». Come vedete, basta, far dist i l lare a len- to fuoco il miele, e pr ima uscirà l 'acqua che fa ricrescere i capel l i, e poi I '« oi io di miele », che li t inge color d'oro, io non mi trucco non mi t ingo e non mi decoloro, e aspetto di pie' fermo che i capel l i ... si decolorino, un giorno, da sé. Ma potrebbe valer la pena di tentare. ABB. MILANESE DALLA FONDA- ZIONE. ,— Per di rvi la ver i tà, f ino a poco tempo fa avevo visto usare la fa- rina di ceci sol tanto per quel le « tor te alla genovese» che viceversa a Genova chiamano « Farinate » o « Faiinà », e che sono così buone. Come sapete, si t rat ta di un impasto assai denso di acqua e fa- rina di ceci, salato e get tato in una lar- ga tegl ia, in quant i tà tale che lo strato della far ina con l 'acqua sia al to al mas- simo mezzo cent imet ro e possibi lmente meno. Cot ta al forno, questa specie di f r i t t a ta è sapida, faci lmente diger ibi le, appet i tosa e salubre. Ma, naturalménte, bisogna che la tegl ia sia unta d'ol io. Ho assaggiato poi, in Toscana, dei biscot ti secchi, dolci f icati ma l ievemente salati, mol to croccant i, fat t i in questi u l t imi tempi con la far ina di ceci: biscot ti del genere del le « Mar ie » o di quel li che una vol ta si chiamavano « Pet i t -beur re ». Mangiati così, sono assai buoni e gu- stosi :' inzuppati nel lat te mat tut i no r i - velano un po' il gusto del cece. Tut tav i a, per chi vogl ia dare ai bambini qualche biscot to casalingo, rappresentano una t ro- vata. autarchica. Credo f inalmente che si possa fare una crema con brodo d'er- be, in cui l 'elemento farinaceo, invece della far ina gialla o di quel la bianca, sia rappresentata dalla farina di ceci. Ma non l 'ho ancor sper imentata, e sarei gra- ta alle let t r ici che volessero vedere con quali erbaggi (bietola, cavolo, spinaci) l 7 J

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