LA CUCINA ITALIANA 1941
r&icUèvi wwviqtwie •v se sono sempre allegra? L 'allegria mi mantiene ^•g i ovane! Però, quando mi tormenta un raffred- dore o qualche dolore reumatico, prendo subito l'Aspirina. Ma. .. attenzione alla CiAc* fàaySÙk T S P I R I M I il rimedio efficace nei raffreddori, nel reumat ismo ecc. » M I . talor. m. M I » W « | M • * V » ro d'uovo che toglierebbe all'impasto fi- nezza e leggerezza. Preparate le « duchesse » foggiarne sulla spianatoia infarinata dei cannelli della grossezza del dito mignolo; imbur- rare un piatto da portata rotondo, di porcellana resistente al fuoco e sul fondo di esso, partendo dal centro, disporre i cannelli a guisa dei razzi di una ruota, in modo che fra un cannello e l 'altro vengano a formarsi tanti scomparti della stessa grandezza. Chiudere gli scompar- ti passando attorno al bordo del fondo un cannello lungo a sufficienza; spalmare tutti i cannelli d'uovo sbattuto e far prender loro in un forno di buon calore una lieve tinta dorata. Ritirato il piatto dal forno', rompere un uovo in ogni scomparto, mettere sulle uova poco sale, e molto parmigiano grattato, aggiungen- do qua e là dei pezzetti di burro e passa- re di nuovo la preparazione in forno. Ap- pena le uova saranno rapprese servirle sole o con un accompagnamento di salsa di pomodoro. È questa la ricetta che desideri? Oppure è quest'altra? Tagliare a fette non troppo grosse un certo numero di patate lessate in acqua salata, cercando che le fette rimangano intere : e con esse formare uno strato non troppo spesso sul fondo di un vas- soio di porcellana resistente al fuoco e copiosamente imburrato. Mettere sulle patate qualche fettina di mozzarella, schiacciare le uova, salarle, cospargerle abbondantemente di parmigiano gratta- to, disponendo qua e là su di esse qual- che pezzetto di burro. Passare quindi il vassoio nel forno cal- dissimo e, appena le uova sono cotte, mandarle in tavola. Si calcola una patata di media gran- dezza per ogni uovo. Pataet in camici.a.. A NNA - Napoli. — . . .o in veste da camera come generalmente si dice. Ma si chiami in un modo o nell 'altro... l'indumento in questione non è che la buccia delle patate. La quale, durante la cottura, limita effettivamente la disper- sione delle vitamine. Procuratevi delle belle patate di buona qualità e della stessa grossezza; lavatele bene e, senza sbucciarle, mettetele al fuoco con acqua fredda e salata che le ricopra del tutto. Fatele bollire per una diecina di mi- nuti, quindi scolatele, disponetele in una teglia, e mettetele in forno a finire di cuocere. Meglio, se le metterete addirit- tura sulla placca del forno. Mandatele in tavola caldissime, servendo, a parte, del burro fresco. N Y G A . — Non mi consta che gli sformati si cuociano in stampi imburra- ti e col fondo coperto di fettine di lardo. Lo stampo si unge di burro e si spolve- rizza di farina, rovesciandolo poi e bat- tendone l'orlo sulla tavola per far cadere la farina superflua. Quando lo stampo è preparato con attenzione, lo sformato, a cottura ultimata, si stacca con facilità. Si può foderare lo stampo all'interno di carta pergamenata leggera, tuffata pri- ma nell'acqua, ma io non ho troppa sirnpatia per questo procedimento che mantiene la preparazione troppo umidic- cia. Siccome gli sformati si cuociono ge- neralmente a bagno-maria, mi sembra più opportuno spolverizzare di farina gli stampi imburrati che di pangrattato. Cuocendoli in forno, il pangrattato, che deve essere finissimo, cioè passato per staccio di seta, si presta di più perchè forma attorno alla preparazione una sot- tile crosta dorata. 11 budino di patate, da cuocersi in for- no, richiede esclusivamente il pangrat- tato. Per lo sformato di spinaci che è quello di uso più comune, alcuni libri di cucina prescrivono il pangrattato, altri la farina. Perciò la massaia può usare quello che più le piace. * * # Il procedimento che sto per indicarvi è di una semplicità primordiale, ma l'ace- to che se ne ottiene non ha nulla da invidiare a quello prodotto dai moderni metodi di acetificazione. Si comincia col procurarsi della « madre », ossia il fon- diglio di un buon aceto. Veramente la cosa non è troppo facile, ma, dato che sia possibile procacciarsi questa « ma- dre », non c'è da far altro che metter- la in un recipiente di terraglia insieme con del buon vino rosso o bianco e la- sciarvela finché sarà necessario, non tra- lasciando di agitare tutto di frequente con un mestolone. Vi prevengo però che non ci vuol furia. Prima che l'aceto, come suol dirsi, sia fatto, del tempo ce ne vuole. Al momento opportuno, si to- glie dal recipiente l'aceto già pronto al- l'uso e, sostituendolo con altro vino, si ricomincia da capo. C' è un altro metodo casareccio, ma più lungo ancora del primo, col quale si provoca l'acetificazione senza l'aiuto della madre; ciò che si può ottenere solo adoperando vino di una gradazio- ne molto alta. Diversamente il liquido marcirebbe. Essendoi dunque in possesso di una certa dose di vino legittimo e ga- gliardo, versarlo in un orciolo o in un piccolo bigoncio e metterci dentro un fastellino di paglia di grano, bene sbuc- ciata. Dovendo la paglia rimanere som- mersa nel liquido, occorre tenerci sopra un corpo pesante, purché sia di sasso o di vetro. Anche con questo sistema il vino deve essere agitato di frequente, affinchè quel- lo della superficie che inacetisce prima, venga di continuo a mischiarsi col rima- nente. È opportuno tenere il recipiente co- perto da un velo per ripararlo dalla polvere o dall'insetti. Vi sono, ripeto.
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