LA CUCINA ITALIANA 1943

dere con una certa continuità, senza pe- ricolo di disturbi: ma è meglio alternare con altri decotti, come camomilla, ti- glio, etc. Si possono togliere le macchie di unto da una pagina di libro? Sì, con una ri- petuta applicazione d'acqua saponata, a cui sia stato aggiunto del bicarbonato, o anche soltanto della soda. Resta però una traccia, sulla carta, che va via quando si stende tutto il foglio in modo che non faccia pieghe, e lo si soffrega dolcemente con uno spazzolino intinto d'alcoie rettificato. Ed eccomi al resto. Cosa è veramente la « ramazza »? E' una granata, una sco- pa: anticamente, le granate eran fatte di f i onde d'alberi, e cioè di rami in- trecciati o legati insieme. Da ciò il no- me: ramazza. Nel gergo militare la pa- rola è rimasta. Comunemente non si di- ce: non vedo una signora fine dire alla cameriera di ramazzare la camera: a- vrebbe un po' l'aria di quelle vecchie mogli di colonnelli dei romanzi francesi del tempo di Courteline, che si espri- mevano in istile di caserma. Mongana (Dio vi benedica, amiche ab- bonate! a parlar tanto di carne da ma- celleria mi fate venire l'acquolina in bocca) è una corruzione di mungana, e « mungana » è parola che viene da « mungere ». Ossia, in altri termini, è il nome dato alla vitellina di latte, per- chè « munge » il latte di sua madre. Ma ora direi di lasciare un po' di spazio alle altre risposte. Il resto ve lo dirò un'altra volta. FIOR D'ALPE. - Tutti i miei augu- ri vi raggiungono nella nuova residenza. Tio mandato la vostra cartolina a Frida. Essa vi risponderà con molta' maggior competenza di ne : anzi con quella com- petenza che io non ho. ARMANDA, ABBONATA NOVIS- SIMA MA ENTUS IASTA. — Cara, ti dò anzitutto il benvenuto fra noi. Vera- mente si dovrebbe dire la benvenuta: visto che benvenuta sei tu: ma il verbo fa intendere che benvenuto qui è un so- stantivo: vale « saluto ». E non potrei mica dire saluto a un maschio, e sa- luta ad una femmina! Ma lasciamo an- dare queste dissertazioni a cui mi ab- bandono sempre, in fatto di lingua: un giorno mi succederà come a quel tale purista che, nel momento di mo- rire, mormorò ai figli piangenti: — « Ra- gazzi miei, me ne vo ». Poi stette un momentino soprapensiero, e quindi disse: — « O me ne vado, perchè si può dire in tutti e due i modi ». Indi morì. Dunque, tu sei la benvenuta fra noi: 10 ti dò il benvenuto, e passo all'ordine del giorno, che reca: sciroppo d'arancio, 11 quale non è l'aranciata comune, e neanche quella che ho bevuto io tempo fa, e che aveva una pasticca multicolore galleggiante, e il resto era costituito da un'acqua dolciastra. Il siroppo d'arancio si fa prendendo (è una parola!) un chilo di zucchero e facendolo fondere in un recipiente di rame non stagnato (altra parola!) in mezzo chilogrammo di ac- qua (di questa ce n'è quanta se ne vuole!). Col densimetro, tu dovresti accertare che U siroppo sia giunto a 31 gradi di densità. Allora dovresti toglierlo dal fuo- co. Intanto, prenderai 4 aranci spremuti, li metterai in una terrina, ci verserai sopra il siroppo caldo bollente, e lasce- rai le scorze d'arancio in fusione per 5 ore. La terrina deve essere coperta. Dopo 5 ore, filtra il siroppo da uno staccio pulitissimo: aggiungi 5 grammi di acido citrico fuso (o sugo di limone, che sarebbe meglio: ma la ricetta dice «acito citrico» e io pari pari la rico- pio) e basta. A questo punto, regolati: se la bottiglia entro cui ti accingi a ver- sare questo siroppo è stata ben lavata e benissimo asciugata, il siroppo si con- serverà. Se ci sarà, dentro la bottiglia, anche una goccia d'acqua, il siroppo fer- menterà. E tu vuoi farti un siroppo d'a- rancio, non uno sciampagnino spumante. Grazie per 1 due abbonamenti. Continua t sarai non soltanto la consolazione dei tuoi genitori, ma anche la mia. • CAMERATA L. — No, non è una superstizione: c'è stato un tempo che il burro veniva prescritto anche « per uso esterno ». In certi casi di irritazione del- la pelle, di geloni, e di bronchitelle leg- giere, si facevano dei massaggi col bur- ro, ritenendosi che esso avesse proprietà emollienti. Del resto io ricordo benis- simo che una mia vecchia domestica, quando ero raffreddata o influenzata, se vedeva che mi davano qualcuno dei so- liti prodotti sintetici scoteva il capo e diceva che quello che fa un pezzo di carta su cui sia stata sgocciolata una candela di sego, di quelle che usavano una volta e che puzzavano per dodici, non lo fa nessuna medicina. « Prendi questo foglio unto, (mi diceva) metti- telo cosi caldo sul petto, e vedrai che domani sarai guarita ». Il che vi dimo- strerà, prima di tutto che i rimedi di una volta erano piuttosto elementari ed economici: poi, che la mia vecchia ca- meriera mi dava del tu. E' vero che, in cambio, io le davo del lei. Ma neanche l'autorità che le derivava dal fatto di avermi visio nascere poteva impedire che quelle sgocciolature calde e puzzo- lenti sulla pelle mi repugnassero. Rico- nosco peraltro che il sego fuso mi fa- ceva bene. Anche il burro, penso, do- veva fare lo stesso. Col burro, però, l'eventualità dell'irrancidimento doveva spesso far diventare irritante una ap- plicazione che avrebbe dovuto essere emolliente Avrà fatto bene? Non avrà fatto be- ne? Chi sa! Del resto le creme le pomate ¡e unzioni di adesso hanno, quasi tutte, come eccipiente, delle sostanze untuose, vaselina, lanolina, olio di vaselina, gli- cerina, etc-, che non sono certo meno antipatiche del burro. Per lo meno, al- lora c'era il conforto di poter darsi una leccatina alla parte ammalata. Vi sfido a farlo oggi, con le medicine sintetiche che ci mettiamo addosso. Ho avuto i tre abbonamenti e li ho mandati all'Amministrazione con la più viva preghiera di rimettervi subito il premio. E grazie. NINA IIM Ilal fiair La quercia, gagliardo componente del- la famiglia fagacee, farnia o farnetto dei meridionali, dà un frutto che contiene ;o, j per cento di acqua, 6 per cento di sostanze azotate, 4 per cento di grassi, 4 per cento di zucchero, da 63 a 65 per cento di sostanze estrattive non azotate, da 4 a 4,i per cento di cellulosa, 3 per cento di ceneri. L'impressione sgradevole è dovuta al- l'asprezza astringente amara e secca del tannino associato all'acido gallico e alla quercitrina. La percentuale del tannino va dal sei al nove per cento. Il sapore disgustoso può venire elimi- nato? Mediante una prima bollitura di quindici minuti, indi con l'immergere le ghiande in una soluzione di cloruro di sodio al cinque per cento, col rinnovare la soluzione ogni mattina per tre giorni di seguito o anche di quattro giorni. Se la percentuale del tannino è elevata co- m'è in certi tipi di ghiande — si ottiene ''effetto di separare l'acido gallico dal tannino. Ottenuto questo risultato, con una suc- cessiva bollitura di venti minuti, la ghianda perde quel saporaccio astrin- gente e diventa atta ad alimentare anche gli esseri umani. Senza risalire ai primitivi selvaggi del- le Americhe (pellirossi) che sapevano u- suiruire di questo frutto dell'Agrifolia, della Quercia nera per la loro alimenta- zione di guerrieri, si ricorda che nella Germania attuale, torrefatta e macinata, ia ghianda sostituisce il cibo tanto caro agii Dei: il cacao. Comunque, per i pregi che ha la ghian- da quale corroborante per i suini in par- ticolare — salvandoli dall'anemia provo- cata dalla stabulazione prolungata in lo- cali senza sole e da avanzi sprovvisti di minerali (ferro, manganese, rame, vana- dio) necessari alla formazione dei glo- buli rossi — oltre a servire per cavalli e per mucche, vale la pena di raccogliere ghiande, anche da Lecci o Elei, da Ro- veri, anziché lasciarle marcire al suolo. Da fanciulli si raccoglievano ghiande per ricavarne minuscole trottole con le quali si protraevano svaghi oziosi. Oggi i fanciulli potrebbero andare a raccogliere ghiande allo scopo di prepa- rarsi una buona tazza di surrogato o — se non manca la pazienza el l'abilità materna — una buona torta, in cui si può introdurre uno strato di marmellata. La marmellata di susina, per esempio, è ia meglio appropriata alla farina della ghianda, perchè deriva da una frutta pri- va di tannino. Ma anche la marmellata d'albicocca vi sta benone. E poiché l'umile ghianda è in realtà il seme d'una gagliardissima pianta che vegeta vari secoli, talvolta millenni, si deve ritenere che contenga pure quella costellazione segreta e benefica di so- stanze e d'attivatori, ormonidi, la cui irequenza concorre a irrobustire e a pro- lungare la validità dell'esistenza umana. Prof. G. B. PALANTI 10

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