LA CUCINA ITALIANA 1931
"jìflH" Mi f ! Í! J'I! | A 1 •:' ' ¡' « O l i * ® i •m • n"i /» • »• e )W i« " M a : " /fmf l i é • i J 1« «""- j - j| meglio, spender meno„ GIORNALE DI GASTRONOMIA PER LE FAMIGLIE E PER I BUONGUSTAI CUCINA CASALINGA - ALTA CUCINA - CUCINA CONVIVIALE - CUCINA FOLCLORISTICA - CUCINA PER STOMACHI DEBOLI - CUCINA ALBERGHIERA - ARTE DELLA TAVOLA - RICETTARI S O C I E T À ' A N O N I MA N O T A R I (Istituto Editoriale Italiano) - M I L A N O - V i a M o n t e N a p o l e o n e , 4 5 N. 8 - ANNO III - 15 Agosto 1931 (IX) OGNI-NUMERO CENT. 50 — ABBONAMENTO ANNUO L. 5 — ESTERO L. 10 — INSERZIONI: L. 3 AL MILLIMETRO T e l e f o n o N . 7 0 - 3 5 7 ESCE IL QUINDICI DI OGNI MESE UN' A L T RA P R I M I Z I A? IL SIGRNO GERAEMI AI "MAGIAZZIN ITALIIAN DLE BUNO MEROCAT „ II successo ottenuto fra le almeno una volta la settima- nostre lettrici dal capitolo del na, e insieme alla mamma, nuovo lavoro di Umberto No - bene inteso, dovrà alzarsi da tari intitolato (( Il Signor Ge- tavola dicendo — e se non lo rerrììa », ci ha indotti ad offrire ' dirai, almenq lo penserai — un'altra primizia, ossia un a / - ' « Be questa mia figliola m'è tro capitolo dello stesso volu - costata un occhio, anzi due, me il quale sarà licenziato al per gli studi, il liceo, l 'univer- pubblico fra fiochi giorni. 1 sita, le lezioni di musica, di 11 nuovo capitolo conduce il .canto, di ballo, di equitazio- signor Geremìa in un grande ne, di nuoto, di patmaggio e magazzino di vendite. La fi - di altri mille capricci, ma, do- glia del delizioso personaggio po tutto, ha una cucina, una creato dalla fantasia di Notari è alla vigilia del matrimonio e deve metter su casa. Le nostre lettrici, espertissime in mate - a mano mano placato e appa- rsa, gusteranno senza dubbio riva ormai rabbonito, sull'ul- l e nuove arrabbiature del si - tima battuta s ' impenna: cucina... ». Vieni a vedere, pa- pa, cbe cosa abbiamo scelto. Il signor Geremìa cbe s'era gnor Geremìa e il monito in- diretto eli esse contengono. — N. d. R. — Da questa parte, papà: di là c'è il riparto « pigiama, —• Hai già scelto? — Mi sono spiegata male, papà; abbiamo scelto per mo- do di dire; cioè abbiamo det- to fra di noi; questo andreb- r . be benissimo, ma bisogna pri- oni-nkinazioni, maglieria » eccJ ,• v i comDinaiwi ". e ma sentire papa; quest altro è assolutamente indispensa- bile, però se papà non vuole... . _ . y-t- • per esempio, c'è un frigidaire, giamino Di tu, Giorgio: non , , L , • - 7 • . e ' , ah, papa, che frigidaire !• Vedessi papà, cbe bellezza di pigiama! Ce n'è uno, nero e Verdino chiaro chiaro: che pi- ini sta eh è un amore Il signor Geremìa schizza gli occhi: — Tu in pigiama? Un pigia- ma con i calzoni da uomo? — 1 Papà, papà bello mio; sai benissimo che tutti ì pigia- ma da donna sono pigiama da uomo; ma sono larghi, sai, i calzoni; larghi, larghi. — Tu li hai provati? — Certo. 'ui — Papà che dici? Ci sono le salette di prova: vero, Gior- gio? — Cosa c'entra Giorgio? — Ma papà! Doveva pur darmi il suo giudizio. Che ma- le c ' è? Con ì calzoni... Il signor Geremìa scuote la testa come un cavallo pre- so dalla mattana : Il signor Geremìa ha l'aria di afferrare una rivoltella: — Un « frigidaire » ? ! Eccolo lì; guarda, papà, guarda che bellezza, che pu- lizia, che nitore! Là, vedi, ci si mette la carne f resca; là sotto, le uova, il latte, Ìl bur- ro; qui l 'arrosto, o la verdura cotta, la roba avanzata del giorno avanti, perchè non va- da a male e per fare econo- mia utilizzando tutto come tu hai sempre insegnato alla mamma; in quell 'armadietto, lo vedi quell 'armadietto, co- m'è carino, lì ci si mettono le fragole, o l'altra frutta, ma, specialmente, le fragole che a te piacciono tanto con la pan- na e, finalmente, i n quello scompartino là sopra dove ci Dove andremo a finire? ! s o n ° le bacinelle con i rubi- netti dell 'acqua, guarda quei rubinetti, papà, che lucentez- za ! sembrano i tuoi occhi quando racconti i tuoi viaggi; in quelle bacinelle viene il ghiaccio già fatto, in cubetti tutti puliti, tutti eguali, tutti a- sciutti; guarda papà, che cu betti; sembrano un giuoco di dadi. Anzi, con Giorgio abbia- mo pensato di farci ì puntini rossi col kiss-proof... Dove andremo a finire?! La signorina Geremìa infila lesta il suo braccio tornito in quello del padre: — Poi siamo andati subito nel reparto « articoli' di cuci- na » . La cucina, ho detto a Giorgio, deve essere la cosa p 'iu curata della nostra casa. Noi inviteremo spesso papà e voglio che papà sia molto sod- disfatto di me. Papà è un raffinato, papà ha buon gusto, papà se ne intende e quando verrà a pranzo a casa nostra, Ch e cosa; — Si, il hiss-proof, papà ; i lapis delle labbra. Sai, d'està te, giocare ai dadi di ghiaccio, scotolarli nelle mani poi met- terli sulla fronte o sul collo, deve essere una delizia. Il signor Geremìa si svinco- la dal braccio della figliola con una parola imperativa detta di striscio: — Basta! La signorina mette un po di muso : — Infine, il frigidaire, lo compravamo per te, papa. — Prima di tutto dirai « ar- madio refrigerante » e non frigidaire. — E lungo... — Lungo o corto si dice co- sì ; poi ì frigidaires sono pro- dotti americani e nella casa di una ragazza italiana deve en- trare soltanto roba italiana. Ha capito lei, signor avvoca- to?... La stoccata coglie il « signor avvocato » di sorpresa. — Giustissimo, giustissi- mo ; è quello che dico sempre a Titina. Il signor Geremìa prende ombra di nuovo: — Chi è Titina? — S u a figlia, signor Gere- mìa, la signorina Antonia... — Se si chiama Antonia, la chiami Antonia. In mia pre- senza certe svenevolezze, confidenziali non vanno. La signorina Geremìa corre in soccorso del fidanzato con una pertica di salvataggio. — Sta bene, papà. Niente armadio refrigerante. — Lo comprerete quando ce ne sarà uno di fabbrica ita- liana. — Peccato! Con l 'armadio refrigerante avremmo avuto la cucina elettrica al compier to. La cucina elettrica? — Sicuro, caro papà. Una cucina elettrica con i fiocchi. Spesa minima, massima pu- lizia, igiene, rapidità. Niente mani sporche, niente grembiu- li sporchi, niente cuoche spor- che, niente cameriere spor- che, niente scagliole di carbo- ne nella minestra; niente stu- fatino che sa di f umo ; niente acido carboni co; niente scot- tature. — Ma si papà, guarda; ti abbiamo fatto mettere in fila tutto quello che abbiamo scel- to. Incominciando dai fornel- li. Guarda: si gira l'interrutto- re; tac; in due minuti lì l 'ac- qua bol le; là si rósola il sof- fritto; qui va l'arrosto a fuoco lento; sopra puoi mettere la torta; in quell 'angolino si pos- sono cuocere ì piselli al burro e prosciutto, quelli che ti piac- ciono tanto, oppure ì fagiuoli- ni, o le zucchine, o ì pomodo- ri ripieni, quello insomma che preferisci. In mezz'ora tutto è pronto. Non è una meravi- glia? — No. — Perchè? — Fabbricazione tedesca. La commessa interviene: — Domando scusa, signo- re: è fabbricazione nazio- nale; non vede la plachetta? « Compaglnia' generale italia- n a . . . » . Il signor Geremìa fulmina con un'occhiata l'interlocutri- ce : — Lei stia zitta che non sa niente! la placchetta è uno dei soliti trucchi; questa è ro- ba dell' Allgemeine Geselh schaft di Altona, Germania. — E' inutile, non te lo di- cevo Giorgio? Papà sa sem- pre tutto. Per fortuna che non abbiamo fissato niente. Guarda papà, questa macchi- netta; com'è nichelata bene, ti pare? Sai cos ' è? Il lava- piatti elettrico. Facilissimo. Basta fare così e la macchina prende piatti, scodel le, bic- chieri; li volta e li rivolta nel- l 'acqua, li strofina, li asciuga e li mette dall'altra parte ter- si e in ordine. Vuoi vedere? — Non voglio vedere nien- te. — Perchè papà? Desideri che i piatti siano lavati da tua figlia? — I piatti li lava la came- riera. — Le cameriere lavare i piatti l Che cosa dici papà? Si of fenderebbero ! — Li laverà la cuoca. — Ma no, papà; le cuoche non attendono che alla pura cucina; cioè a comprare, pre- parare e cuocere le vivande e basta. — Insomma, non voglio sa- pere di macchine lavapiatti. E' importazione americana. La signorina Geremìa invo ca con un'occhiata la solida- rietà della commessa : — E' americana la lava- piatti? La commessa è ancora ri sentita della sfuriata precer dente : — Non lo so, signorina. Sa tutto il signore. — Per fortuna! — tuona il signor Geremìa. — Oh si, papà; per fortu- na mia e di Giorgio. Guarda queste altre belle cosine. Questo è un tritacarne elettri- co, questo è un tritaghiaccio, questo è la sorbettiera, que- sto è il frulla-uova per la ma- ionese, questo è il grattafor- maggio, questo è il macinino del caffè : com'è bellino, vedi? Tutto va con l'elettricità. E questo papà? Sai cos 'è que- sto? E' la macchina per fare il caffè frappé, così buono di sera, in giardino, quando fa tanto caldo e tu fumi la tua bella pipa di schiuma. E que- sto? Vedi che bella graticoli- na ! Sai cos 'è ? E' la graticoli- na per il toast, cioè no, per il pane abbrustolito, quello col burro che si prende la matti- na con il caffelatte, a letto, nel caldino, mentre fuori nevica, vero Giorgio? Come sono f e- lice papà, con la mia graticoli- na elettrica. Il signor Geremìa è inac- cessibile ed inesorabi le: — Via tutta questa tede- scheria ! — Papà! . .. Il signor Geremìa si è chi- nato su una montagna di altri arnesi : — Che è st'altra roba? — Le pentole, papà, le pa- delline, ì tegamini, le pirofile, tutte di terra rara, refratta- ria che non manda cattivo odore, che non « attacca », non si scrosta, non s'incrina al calore. —- Non bastava l 'America, non bastava la Germania, an- che la Ceco-Slovacchia sei andata a scovare. A casa! UMBERTO NOTARI ALIM.ENTI SCIAENZ E BUNO SEONS Bucce, baccelli, vitamine e... tifo » Viia mia nota pubblicata nello scorso numero intorno alle diffamazioni ed al- le esaltazioni che alternativamente, se- condo la moda, il clima o la latitudi- ne, si fanno di questi o di quegli ali- menti, ha provocato una magistrale ri- sposta da parte di uno dei più illustri scienziati contemporanei: il Prof. Carlo Foà direttore dell'Istituto di fisiologia alla Università di Milano. Sono quasi confusa per l'onore toc- catomi e, nello stesso tempo, felice di avere ottenuto, per le nostre lettrici, una lettera che è, in sintesi, quasi un corso di scienza dell'alimentazione; credo di interpretarle tutte esprimendo all'eminente uomo di scienza, gratitudi- ne ed ammirazione. — DELIA. Cara Signora Delia La ringrazio anzitutto per avermi eletto a consultore delle massaie, del- le donne cioè che hanno la responsa- bilità dell'alimentazione delle famiglie. Il quesito che Ella stavolta mi pone è fortunatamente assai facile da risolve- re. Ella osserva: Se è vero che le vi- tamine sono tanto importanti per il be- nessere dell'uomo, e se è vero che pro- prio le bucce ed i baccelli sono le parti dei frutti e dei legumi più ricche di vitamine, spieghino un po' i fisiologi e gli igienisti come, « in nome del vita- minismo possa essere tramontata la teo- ria batteriologica da cui per circa un ventennio fummo ossessionati ogni vol- ta in cui stavamo per assiderci a ta- vola ». E più precisamente Ella mi chiede : « in quale modo si possa conci- liare la attuale fissazione scientifica sui principi vitaminici dei vegetali — eo- pratutto delle bucce — con l'altra... fis- sazione della caccia al microbo ». Se ho riportato qui fra virgolette al- cune sue parole non è soltanto per amo- re di chiarezza, cioè per richiamare al- la memoria del lettore la domanda af- finchè si capisca la ragione della ri- sposta, ma perchè quelle sue parole rap- presentano magnificamente lo stato di animo di chi è bensì devoto alla scien- za ed ai suoi dettami, ma chiede che essi siano chiari ed univoci e non sog- getti alla moda, o ad « ossessioni » o a « fissazioni ». Ella ha perfettamente ragione, ma voglia, La prego, indulgere agli scien- ziati per quanto di ingenuo, di puro, di entusiastico essi pongono nelle loro ricerche. Pensi alla enorme importanza del- l'era batteriologica quando si scoper- sero i germi delle malattie e si identi- ficarono come la càusa di esse; pensi al profondo significato che ebbe nella sto» ria del pensiero umano la scoperta del- le vitamine, scoperta, che, a conoscerla come fu fatta, c e da rimanere stupiti di tanta genialità, e da plaudire i due premi Nobel che la consacrarono. E' ben naturale cbe quando si lan- ciano pel mondo verità di tanta impor- tanza, un po' se ne innebriino gli sco- pritori e molto se ne innebrii il pub- blico, sopratutto se i divulgatori non siano equilibrati o se vengano frain- tesi. E allora sembra che si neghi ciò che si era prima affermato, che una scoper- ta cancelli la precedente, che la moda signoreggi pure questo terreno donde dovrebbe essere esclusa. In realtà, signora Delia, il bacillo del tifo è ancora, ahimè, al suo posto di comando, e le vitamine signoreggiano il loro dominio. Tutto sta a veder chiare le cose. Non nego che la paura di diffondere il tifo con la frutta e la verdura non sia un po' diminuita. Un po' perchè es- se vengono sul mercato più pulite che in tempi passati; no po' perchè si ha ragione di temere sopratutto le mosche o le mani di chi ha il governo della cu- cina, come agenti trasmettitori del con- tagio. S. E. De Blasi, l'insigne Acca- demico e igienista, s'è fatto banditore di questa dottrina e dev'essere ascolta- to. Il bacillo del tifo sta nelle dejezio- ni dei tifosi, oppure anche, ciò che è assai più pericoloso dei cosidetti «por- tatori di bacilli », cioè di chi li ha vivi e vegeti nell'intestino e non ne amma- la. Se la cuoca è una « portatrice », c'è pericolo che essa faccia ammalare i suoi amministrati. Le mosche poi sono le trasmettitrici a distanza e perciò le più sicure responsabili del contagio. E' chiaro che le mosche possono con le loro zampine e con la loro piccola pro- boscide infetta contagiare la superficie delle verdure e sopratutto della frutta, e queste perciò diventare veicolo di contagio. La necessità di lavare bene verdura e frutta, sopratutto se comprate sul mer- cato e non direttamente attinte dalla campagna, si impone ora come si impo- neva all'epoca della « fissazione » bat- teriologica. Ma altro è lavare la superficie di un frutto, altro è sbucciarlo, e il di- lemma per molti frutti neppure si po- ne: ciliegie, susine, albicocche, non si usa in genere sbucciarle. C'è chi sbuc- cia la pesca pel piacére del palato, e quanto alle pere ed alle mele l'uso di sbucciarle è generale, nè udrete mai un fisiologo assicurarvi che gettando quelle bucce, gettiate un inestimabile tesoro, un ficco serbatoio di vitamine. Ma qui un momento bisogna pur
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