Dispensa Luigine - page 5

La tecnica è quella del buon fresco, eseguito su un intonaco molto fine e ben tirato. Mentre la fascia
orizzontale fu ottenuta con l’ausilio di uno stampo, che consentiva di ripetere il tema all’infinito
sovrapponendolo alla parete, gli angeli ed i medaglioni vennero dipinti sulla base di un “cartone”
preparatorio, riportato sul muro dal pittore incidendo con una punta l’intonaco fresco lungo le linee del
disegno.
A differenza dell’impianto architettonico del chiostro di cui sappiamo i nome degli artefici, gli affreschi
sembrano non aver lasciato tracce nei registri contabili. Il restauro ha tuttavia consentito di rilevare come la
costruzione del chiostro e l’esecuzione degli affreschi siano separati
da un considerevole lasso di tempo, da collocarsi, verosimilmente,
nel primo decennio del Cinquecento: al di sotto della superfice
affrescata si è rivelato un precedente strato di finitura, applicato con
finalità estetica, rappresentato da un intonachino di colore rosso che
riproduce una cortina in mattoni. L’uso di simulare un paramento in
mattoni testimonia come non rientrasse nella pratica costruttiva
antica lasciare il muro faccia a vista e in tutta l’area padana, dal
medioevo all’Ottocento, il mattone, che è il materiale da costruzione
più comune, tende a diventare, riprodotto sull’intonaco
dall’imbianchino o dallo stesso muratore, un elemento decorativo
semplice ed efficace. E il chiostro delle Luigine sembra esserne una
applicazione significativa: il costruttore della fine del Quattrocento
uniformò la cromia di tutta l’architettura attenendosi alla tonalità del
cotto, e cioè velando il fregio con una finitura di colore rosso vivo e
ricoprendo le pareti sottostanti con una decorazione a finto mattone, di un tono appena più chiaro.
Una scelta cromatica non inusuale a Parma sul finire del sec. XV in quanto adottata anche per il cornicione
realizzato nel 1491 sulla facciata dell’Ospedale della Misericordia, come testimoniato da Laudadeo Testi in
un suo testo del 1918, ma di cui oggi non esistono più tracce.
Il paramento dipinto a mattoni non durò molto a lungo e ad esso, come abbiamo visto, venne sovrapposta
una decorazione più ricca e raffinata che si staccava dal fregio in cotto per tonalità cromatica e iconografia,
con la raffigurazione di soggetti più direttamente attinenti alla destinazione religiosa del luogo.
La configurazione raggiunta dal convento nel corso del Cinquecento durò a lungo, come testimonia il
confronto della mappa dello Smeraldi del 1592 (a sin.) con quella dell’Atlante Sardi del 1765 (a dx.)
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