GIUSEPPE PORTA
Morbegno 14 settembre 1724-Parma 29 gennaio 1802
Nato da Giovan Battista e Maria Cotta. Studiò nel Collegio dei padri Somaschi di Como. Iniziati in seguito
gli studi di medicina, a diciotto anni decise che la strada intrapresa non lo soddisfaceva pienamente e nel
1742 entrò nel convento domenicano di sant’andrea a Faenza, assumendo il nome di giuseppe Eugenio.
Dopo un anno prese i voti e si applicò agli studi filosofici e teologici nello Studio generale di Bologna dei
frati predicatori. Il 5 giugno 1750 si laureò lettore. Data la sua intelligenza, la sua applicazione e la
brillantezza della sua esposizione, a soli ventisei anni diventò insegnante di filosofia a Pavia e poi nel 1753 a
Bologna. Intanto cominciò a pubblicare e quindi a farsi conoscere. Nel 1756 si trasferì a Parma e vi rimase
fino alla morte. Prima insegnò teologia nello studio domenicano e poi nel nuovo Collegio Lalatta (1759). Qui
cominciò a esercitare in maniera particolare il suo insegnamento: nella sua stanza, al di fuori della rigidità
scolastica, organizzò accademie filosofico-teologiche con enorme successo, accentuando la sua capacità, non
solo di rigore scientifico ma anche e soprattutto di contatto umano, di conoscenza e stimolo agli interessi
dell’insegnamento come modo di vita. Nel 1768 venne nominato professore di teologia morale nella
rinnovata Regia Università di Parma. Uomo abituato a essere obiettivo con se stesso e con gli altri, fu capace
di superare con disinvoltura le proprie avversità: quelle dottrinali lo portarono obbligatoriamente, nel 1787, a
cambiare la sua cattedra di Morale in quella di Sacra scrittura. La lettera che Ferdinando di Borbone gli
scrisse il 30 agosto di quell’anno testimonia l’amicizia, oltre che la stima, per il Porta, il quale l’aiutò e
l’indirizzò nella riconciliazione con la Santa Sede. Ebbe corrispondenza con vescovi della Germania e
uomini colti della Francia, fu consigliere dei vescovi Francesco Pettorelli Lalatta e Gregorio Cerati, operò in
favore di sovrani (tra i quali, soprattutto, Ferdinando di Borbone, duca di Parma), che bene spesso affidavano
alla sua fede, prudenza e integrità affari anche i più rilevanti. Questa stima da lui goduta è confermata anche
da altri documenti, in uno dei quali si legge: Godeva di grande autorità presso il principe ma non se ne gonfiò
mai, mai se ne abusò a proprio vantaggio, e non pensò che ad aiutare i veri bisognosi. Il sovrano l’amò e lo
stimò sempre grandemente. Il frequentare ambienti altolocati, sia per lo studio, sia per le amicizie, non lo
distorsero mai dall’attenzione per gli altri, i meno fortunati e le persone che soffrivano. Consigliere infatti di
Gaetana Moruzzi, forse la seguì anche nella fondazione sia dell’ospedale di Fiorenzuola sia in quella del
monastero delle Domenicane.
Il Porta ebbe l’idea di trasformare il piccolo ricovero delle Luigine di Rosa Orzi in un centro stabile di
studio, lavoro ed educazione. La specializzazione alla scuola fu il carattere peculiare che il Porta impresse
all’Istituto. Ricovero non coercitivo, per togliere alla città il fastidioso disturbo di persone mendicanti, ma
promozionale: nella sua stessa abolizione della clausura si legge l’interesse a preparare costruttivamente alla
vita di famiglia e di società. Per fare questo occorreva prima di tutto capire i bisogni, l’habitus mentale di
queste fanciulle. Perciò il Porta mise una clausola severa e significativa alla sua embrionale scuola
magistrale: le future maestre dovevano essere scelte tra coloro che avevano provato direttamente la povertà e
quindi erano in grado di capirla e di capirne i bisogni. E’ in questo aiuto che non svilisce, non umilia e non
cade dall’alto con caratteristiche principalmente correttive e coercitive, tanto care alle istituzioni
contemporanee, che sta la vera novità dell’opera del Porta. Anche qui, come in altre occasioni, la sua
presenza fu determinante e discreta: partecipò con denaro e forse addirittura con il cibo che avanzava dalla
mensa domenicana. Si adoperò perché il duca Ferdinando di Borbone, nel 1779, riconoscesse l’esistenza
legale dell’istituto, convogliò sulle Luigine, che ormai avevano moltiplicato le loro attività, i doni e i lasciti
delle persone più in vista della beneficenza parmense, come la marchesa Vidoni Pallavicini, e partecipò
sempre alle riunioni della Congregazione di sacerdoti che amministrava l’Istituto, proponendo, discutendo e
perorando, ma sempre con molto rispetto per le decisioni che la Congregazione stessa deliberava. Il Porta
trovò locali più adatti e confacenti alla vita di comunità, si preoccupò che le nuove scuole di trovassero
dislocate nei quartieri di Parma che ne avevano più bisogno, volle che le maestre ritornassero giornalmente al
Conservatorio in modo da mantenere i contatti con le consorelle e che la loro vita di lavoro, scolastico e
assistenziale, si svolgesse uniformemente e unitariamente. Il Porta trovò per loro anche la possibilità di una
sede definitiva nel fabbricato di borgo Valorio (1796).
Biografia tratta dal “Dizionario biografico dei parmigiani” di R. Lasagni