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ÈLANOSTRALINGUA
Credo che la nostra parlata si possa definire sia lingua che dialetto. Siccome però il termine
“dialetto” ha ancora “incrostazioni “ negative, preferisco dire che la nostra parlata è una lingua che
solo per comodità e tradizione definiamodialettoma è una lingua vera e propria.Ma non una lingua
qualsiasi: è la nostra lingua e dovremmo tenercela cara come ci teniamo cari i nostri genitori perché
sono i nostri.
Una lingua completa
E’una lingua che viene da lontano, che ha una sua letteratura, dei testi teatrali e un ricco patrimonio
di modi di dire e di proverbi. È la lingua che permetteva alle persone di esprimersi e capire il
prossimo perché, come scrivevaRenzoPezzani il nostromaggior poeta, il dialetto parmigiano:
è bello, armonioso e bastevole a tutte le necessità e contingenze della vita e dello spirito”.
Scriveva ancoraPezzani a proposito del dialetto:
Colore e sale
Il vernacolo (dialetto) non è soltanto linguaggio rusticale di una contrada ne è il colore e il
carattere, l’immagine e il sale.
Ereditàmaterna
Ed è soprattutto una ricchezza che è stolto respingere da noi perché è della vita un’amorosa
ereditàmaterna.
(Il dialetto veniva trasmesso dai genitori).
Tesseradi identità
Diresti che col dialetto la natura ha voluto darti una tessera di identità, una classificazione
nell’ordine distributivo delle residenze umane.
(
Dal dialetto riusciamo a capire la zona di provenienza delle persone).
ALCUNEMINIMEREGOLEDIGRAFIA
L’inserimento di questeminime regole ha lo scopo di facilitare la lettura dei testi dialettali per i
quali occorre fare particolare attenzione alle accentazioni.
La vocale “a”
presenta due suoni
: “a”
aperta es.
“mat”
(matto), oppure
“ä”
con un suono
allungato tendente ad
“è”
(es.
“cärna”-
carne,
“Pärma”-
Parma). Per leggere con la giusta tonalità è
importante osservare l’accento.
La vocale “e”
presenta due suoni: uno aperto come
“è”
di
“erba”
(es.
“insèmma”-
insieme), l’altro
chiuso come “é” di
“chiesa”
(es.
“pianén”-
pianino).
La vocale “o”
presenta due suoni: aperto come
“ò”
di
“fuoco”
(es
. “solit”-
solito), e chiuso come
“ó”
di
“torre”
(es.
“pisón”-
piccione).
La “g”
italiana davanti ad
“e”
e
“i”
tende a dare
“s”
dolce o sonora e nella grafia dialettale viene
resa con la
“z”
(es.
“zardén”-
giardino).
La
“z”
di
“razza”,
“tazza”,
ecc. viene resa con la
“s”
aspra o sorda
: “rasa”, “tasa”.
Raddoppiodella consonante finale
Quando si vuole indicare la pronuncia rapida di una vocale, si ricorre al raddoppio delle consonati.
Esempio:
“j ànditt”-
hanno detto-, indica la pronuncia rapida della
“i”
mentre la grafia
“co’ dit?”-
cosa dici?, è un esempio di pronuncia lenta della
“i”.
Altro esempio è
“pòss”-
pozzo distinto da
“pòs”-
posso.