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Si è in tal modo graficamente giunti alla spiegazione del perché le colonne del Chiostro di
Sant’ Uldarico appaiono per lo più tozze o mal proporzionate.
Per le basi delle colonne il discorso invece è più complesso.
La base attica ( tavola 8 ) dovrebbe misurare in altezza la metà della dimensione
dell’imoscapo ; la base analizzata invece supera i due terzi di tale misura. Questo è senza
dubbio un altro motivo che favorisce la sensazione visiva di schiacciamento dei fusti delle
colonne, i quali si trovano “bloccati” fra capitelli e basi più alti rispetto ai canoni classici.
Al di là di questa sproporzione, tenendo ferma la misura dell’altezza della base, infatti, la
regola avrebbe voluto per il fusto un diametro inferiore di cm 12 ( facendo riferimento
all’esempio riportato nella tavola 8 ), la tipologia di base “attica” presente nel Chiostro
rispetta le regole del trattato di Vitruvio : l’intera base è divisa in tre parti, la prima delle
quali è occupata dal plinto ; i restanti due terzi, a loro volta suddivisi in quattro, accolgono
toro inferiore e superiore, scozia e listelli.
Più difficile il discorso per la tipologia di base qui denominata “parmigiana” (tavola 9 ) :
non trovando infatti simili esempi classici analizzati dai trattatisti, si è considerata una
modulazione simile alle basi “canoniche”. L’altezza della base “parmigiana” considerata
arriva ad occupare quasi un intero modulo, quando invece in tutti e cinque gli ordini
dell’architettura la base dovrebbe misurare mezzo modulo. Si è dunque passati ad un’analisi
che portasse a rintracciare una modulazione “desunta”: si è partiti dal presupposto che in
ogni ordine classico il plinto occupa un terzo della base. Da qui si nota la sproporzione, in
confronto anche con il precedente esempio di base, tra il toro inferiore e la scozia con il toro
superiore e tra tutti questi elementi ed il plinto.
In base a tali considerazioni sulla modulazione delle colonne del Chiostro di Sant’Uldarico
e delle loro parti, risulta difficile capire come abbia operato il progettista ; perché seguire
solo in parte i canoni dei trattatisti, soprattutto in un’epoca come il Rinascimento, tanto
devota alla classicità ?
La domanda rimane senza risposta, ma collabora indubbiamente ad arricchire il fascino di
questa opera d’architettura parmigiana, avvolta da una misteriosa storia costruttiva.