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per i Pubblici Servizi, principale erogatrice d’acqua emunta dal sottosuolo cittadino, ha chiuso i
pozzi del centro storico, prevedendo di estendere il provvedimento a tutti i pozzi urbani. Dalla
relazione sullo studio della subsidenza dell’area urbana di Parma
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si vede come nel periodo 1982 –
1990 la velocità di abbassamento si attestava tra 1,63 mm/anno (zona Scarzara) e 22,44 mm/anno
(via Trieste). Confrontando questi dati con quelli delle livellazioni precedenti, si conferma che nel
periodo dopo il 1960 c’è stata un’accelerazione del fenomeno di abbassamento del suolo e una
tendenza all’attenuazione negli ultimi anni che potrebbe essere messa in relazione con la chiusura
dei pozzi AMPS. Più recentemente le misurazioni della subsidenza eseguite dall’ARPA della
regione Emilia Romagna dimostrano come nell’area di Parma questo fenomeno sia calato
notevolmente, nell’ordine di pochi millimetri l’anno. Questi dati sono riferiti all’area urbana,
pertanto non ci consentono di verificare se a livello dei singoli isolati vi siano dei cedimenti
relativi tra le singole zone della città. Tuttavia i dati del monitoraggio dimostrano che, quantomeno
per l’area occupata da Sant’Uldarico, i cedimenti differenziali, se ci sono, sono infinitesimi. Nel
caso di Sant’Uldarico un ruolo non trascurabile possono averlo giocato anche gli antichi canali che
un tempo erano in città: non a caso Borgo Felino si chiamava Borgo dei Mulini.
Sarebbe comunque interessante approfondire il discorso pensando di suddividere la città per
microzone in cui individuare i valori di subsidenza. Ad esempio, relativamente al sisma, è stato
fatto con la microzonazione sismica, dimostrando che, in caso di edifici di superficie notevole, il
sisma agisce in modo differente nelle varie parti dell’edificio in base al tipo di suolo sottostante.
In conclusione, alla luce delle considerazioni fatte, si ritiene che sarebbe utile approfondire la
ricerca geologica, cercando di sciogliere alcuni dubbi o portare alla luce eventi significativi che
permettano di costruire un quadro di conoscenze il più completo possibile su ciò che sta accadendo
all’edificio e di poter di conseguenza formulare delle ipotesi serie di intervento sulle fondazioni o
sul terreno fondale. In ogni caso il monitoraggio ha consentito di capire il comportamento delle
lesioni in condizioni statiche, pertanto, per ora, sono da escludere interventi invasivi e costosi
come l’installazione di micropali o l’allargamento della base fondale. Quest’ultima ipotesi, inoltre,
non è efficace quando i cedimenti sono provocati da strati compressibili profondi, poiché tale
allargamento non modifica significativamente l’intensità delle pressioni oltre una certa profondità.
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Il Quaternario, 8 (2) 1995, La subsidenza nell’area urbana di Parma, Petrucci, Careggio, Cavazzini, Conti, Morestori,
p.p. 305-314.