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ma anche del funzionamento strutturale accertato, qualora questo non presenti carenze tali da poter
comportare la perdita del bene.”
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Ad esempio gli interventi eseguiti a seguito del sisma del 1983
non hanno rispettato questo presupposto.
Dai primi anni Settanta, nel nostro paese si é assistito alla progressiva omologazione delle tecniche
di intervento sul patrimonio esistente, come documentato pure dalle esperienze post-terremoto di
Ancona, dopo l‘evento del 1972, e del Friuli (1976). Considerando secondario e ininfluente il
confronto con lo specifico contesto edilizio, i progetti di riabilitazione strutturale ricorsero a
tipologie e protocolli realizzativi predefiniti e generalizzati. Nella pratica corrente, le costruzioni in
muratura tradizionale furono assimilate alle modalità di calcolo delle costruzioni intelaiate,
agevolando l‘applicazione di elementi costruttivi tipici dell‘edificato contemporaneo, certo, favoriti
dallo sviluppo tecnologico, dalla disponibilità di nuovi mezzi di calcolo e, più in generale, dalle
istanze economiche e dalla facilità esecutiva. Non è un caso, quindi, che all‘adeguamento sismico,
definito proprio in occasione del sisma 1980, come «complesso di opere tali da rendere l‘edificio
atto a resistere alle azioni sismiche», siano in quegli anni associate le modalità di intervento della
ristrutturazione edilizia e della riparazione, portando, in verità, l’adeguamento alla coincidenza
effettiva con il consolidamento medesimo, quindi, con la restituzione dell‘efficienza strutturale
conseguita con ogni mezzo. Soltanto in seguito e con estrema gradualità si impose, infatti,
l‘adozione del miglioramento sismico come unica categoria operativa possibile per il patrimonio
culturale nel suo complesso, sebbene la sua definizione risalga a quello stesso periodo.
Troppo spesso, con i restauri post-terremoto degli anni Settanta - Ottanta, inserendo indistintamente
materiali e strutture di rigidezze diverse rispetto alle qualità dell’impianto preesistente, quando
quegli stessi edifici hanno affrontato fenomeni dinamici ulteriori, si sono evidenziati meccanismi di
collasso più pericolosi di quelli precedenti, con l’innesco di cinematismi collaterali, frutto della
presenza di apparecchi misti.
Pertanto è stato individuato un modello di progetto per la mitigazione della vulnerabilità sismica
attraverso la eliminazione delle carenze costruttive e la messa in opera di presidi antisismici minimi
di elevata efficacia per i singoli meccanismi di collasso. Per raggiungere tale obiettivo, con i
finanziamenti a disposizione, non sempre sufficienti, dovranno essere eseguiti gli interventi che,
con un costo contenuto, consentano la maggiore riduzione della vulnerabilità. Di conseguenza si
sono ritenuti prioritari gli interventi di riduzione del rischio sismico rispetto a quelli di riduzione dei
cedimenti fondali.
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DPCM 09/02/2011, “Linee guida per la valutazione e la riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale” con
riferimento alle norme tecniche per le costruzioni di cui al D.M. 14 gennaio 2008