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TESTIDATRADURRE
DIVAGAZIONI SULLAPOLENTA
In Italia l’utilizzazione delmais nella dieta umana, sotto forma di polenta, un tempo
era assai diffusa. Diffusa anche troppoperché i piùpoverimangiandopraticamente
soltanto polenta oquasi, erano soggetti alla pellagra amotivo del fatto che imais di
un tempomancavanodi nutrienti importanti. Quelli di oggi, fruttodi incroci sapienti,
sono più completi e nonprovocherebberopiù la temutamalattia. Ciononostante la
polentamerita riconoscenza perché ha sfamatomilioni di persone
.
“Polenta”
è una
parola latina. Apuleio ci ha lasciato la testimonianza di una
“polenta caseata”,
cioè
condita con formaggio.
Ovviamente si trattava di una polenta fatta con grani diversi dalmais che ci è
pervenutodall’America. La polenta simangiava indiversimodi. Lamigliore
risultava quella
“consäda”
(condita),ma non sempre era possibile. La polenta non
condita o
“scónsa”
veniva anche chiamata
“polenta sórda”
. Il termine deriva, con
ogni probabilità, dal latino
“sordidus”
che significa anche
“misero, spregevole,
povero, piccolo”
. Anche scondita la polenta era comunque preziosa come recita il
proverbio:
“Quand as gh’à fam la polenta lapär
salam”
.
Spesso veniva abbrustolita nel camino e risultava ottima specialmente nel latte
nonostante si sporcasse di cenere. Raccontamia cugina che quando si era lamentata
con lamamma perché la polenta si era sporcata di cenere ebbe questa risposta
:
“Fa
miganjént, primma ‘dmorir bizzògnamagnär tri sach ‘d senndra”
. (Non fa niente,
prima dimorire bisognamangiare tre sacchi di cenere”. Apropositodi polenta
scondita c’è una simpatica storiella. Inuna famiglia simangiava la polenta cercando
di insaporirla strofinando, a turno, ogni fetta di polenta, controuna saracca (aringa
sotto sale). Una fetta, una strofinata. Ad un certo punto uno dei commensali strofinò
la sua fetta per due volte di fila. Il capo famiglia lo redarguì dicendo:
“Co’ vot carpär
(Vuoi crepare?)
Miamamma, quando rovesciava la polenta sul tagliere dove l’avrebbe condita, o
meglio “sporcata” di conserva, immancabilmente esclamava:
“Ecco la béla chicón’na, dólsa e bónna”.
Nei borghi dell’Oltretorrente girava un tempouna famosa venditrice di polenta, la
“Firmina”, che ogni pomeriggio, verso le quattro, usciva in strada col paiolo inmano
e avvolta in una nuvola di vapore rovesciava la polenta su di un tagliere sistemato
sopra un carrettoda ortolano, gridando:
“strabucca lapolenta donni”
(rovescia).
Si accontentava di poco e gli avventori nonmancavano.