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nati nei primi decenni delXX secolopronunciavano frasi quali
avoój^dal vén
“voglio
del vino”,
dàa’m dal pàn!
“dammi del pane!”,
a’n vèd^miìg’^al càn
“non vedo il
cane”, sembrava dicessero
a voój^dal vé
,
dàa’m dal pà!
,
a’n vèd^miìg’^al cà
.
Poiché il suono nasale velare è riconducibile al fonema
n,
corrisponde all’attesa
chequestoabbiaunapronunciapiùvicinaallepropriepeculiarità fonichequandopa-
role come quelle oramenzionate si appoggiano adun loromodificatore (che può es-
sereunaggettivoo il gruppo
da/ di
+nome), formando sequenzequali
dal vén^amàbil
“del vinoamabile”,
uncàn^afetuoóz
“uncaneaffettuoso”,
al vén^ròs
“il vino rosso”,
uncàn^dacaàsa
“uncanedacaccia”
al pàn^veéć
“il panevecchio”: nei primi quattro
casi il fonema
n
viene pronunciato come alveolare, mentre nell’ultimo come alveo-
dentale.
Al problema della pronuncia velare si ricollega quello del suono
ŋn
- peculiare
del dialetto parmigiano
96
, ma assente in italiano -, che inizia come velare e finisce
come alveolare enellagrafiadel dialettoparmigianoviene indicato con il digramma
n’n,
inquanto si tratta ineffetti di un suonopiùcomplessodellenormali realizzazioni
dei fonemi nasali; in luogodi
n’n
si propone tuttaviadi usare
ⁿn
97
, vistoche inquesta
grammatica l’apostrofohaaltre funzioni. Il suono
ŋn
(grafia
ⁿn
) si presenta incontesti
fonici ben precisi: è preceduto dalla vocale tonica
é
oppure
ó
con intonazione sem-
plice ed è seguito da una vocale atona di qualsiasi timbro
98
, come, per es., in
fréⁿna
“falce”/
fréⁿni
“falci”,
véⁿna
“vena”/
véⁿni
“vene”,
picéⁿna
“piccola”/
picéⁿni
“pic-
cole”,
caméⁿni
“cammino, cammini”/
caméⁿnon
“camminano”,
lóⁿna
“luna”/
lóⁿni
“lune”,
bóⁿna
“buona”/
bóⁿni
“buone”, s
óⁿni
“suono”/ s
óⁿnon
“suonano”; la precisa-
zione che la vocale tonica
é
oppure
ó
ha l’intonazione semplice si rende necessaria,
96
Tale suono si ritrova in altri dialetti emiliani, come, per es., il bolognese (cf.Vitali, op.
cit., p. 3).
97
Il primo componente di
ⁿn
è il simbolo 207F.
98
Volendo spiegare il fenomeno in una prospettiva storica, si può partire dall’ipotesi che
un tempo si avessero forme aggettivali di femminile come *
bòna, *fìna e *picìna,
risultanti
dal normale sviluppo fonetico dellamatrice latina, e le forme odierne
bóⁿna
“buona”,
féⁿna
“fine”,
picéⁿna
“piccola” siano analogiche su quelle di maschile
bón
“buono”,
fén
“fine”,
picén
“piccolo”, nellequali lapronunciavelare (cioè
ɳ
)dellanasaleavevacausato il passaggio
della vocale precedente ad
ó
oppure
é
): la vocale accentata delle forme del maschile venne
estesaaquelledel femminilee insieme il fonema
n
iniziòadesserepronunciatocon
ɳn,
suono
di compromesso che riassumeva in sé le caratteristichedell’allofonodelmaschile edi quello
usato finoadalloraper il femminile. Successivamente, l’analogia fuestesaai nomi femminili
in -
ìna
e –
una,
comportando la sostituzione di
ì
e
ù
con
é
e
ó
e la pronuncia di
n
con il suono
ŋn;
così nomi quali *
tìna
“tino” [< lat.
tīna
(
m
)], *
collìna
[< lat.
collīna
(
m
)], *
lùna
[< lat.
lūna
(
m
)], *
cùna
[< lat.
cūna
(
m
)] vennero rifatti in
téⁿna
, *
colléⁿna
(>
coléⁿna
),
lóⁿna
,
cóⁿna
.
Tali rifacimenti favorirono la pronuncia della nasale come
ŋn
in nomi femminili con vocale
accentata
é
quali *
séna
“cena” [< lat.
cēna
(
m
)], *
péna
[< lat. volg. *
pēna
<
poena
(
m
)],
*véna
[< lat.
vēna
(
m
)]. La pronuncia
ŋn
non fu estesa invece a parole come
pèna
[<*
pénna
< lat.
pēnnam
], e
dòna
[<*
dònna
< lat. volg. *
dŏmna
<
dŏminam
], perché avevanouna vocale ac-
centata diversa da
ó
ed
é.
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