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scartata l’eventualità di scrivere
ts
e
dz
secondo la grafia italiana, inquanto, come si
èvisto sopra, la lettera
z
rappresenta il fonema
z
; si proponequindi di usare i digrammi
ts
e
dz.
Quantopoi ai fonemi
e
, si può seguire lagrafiadell’italiano,ma soltanto
nei casi “normali”, nei quali le lettere
c
e
g
sono seguite da quelle vocaliche
é, è, e,
ì, i
. Se i fonemi
e
ricorrono invece in posizione finale di parola, si deve optare
per una soluzione diversa, visto che le lettere
c
,
g
rappresenterebbero i fonemi
k
,
g
,
mentre i digrammi
ci
e
gi
le sequenze foniche
+
i
e
+
i
: scartata l’ipotesi di un’even-
tualegrafia
c’
e
g’
78
, incompatibilecon la scelta (fatta inquestagrammatica) di usare
l’apostofo per distinguere le singole parole nell’ambito di sequenze ininterrotte di
suoni e per segnalare la sincope delle vocali in sillaba finale di parola, si propone di
usare le lettere
ć
e
ǵ
79
, scrivendoper es.,
veéć
“vecchio”,
oòć
“occhio”,
pòć
“intingo,
intingi”,
maàsć
“maschio”,
maàǵ
“maggio”,
apoòǵ
“appoggio”. La lettera
ć
verrà
usatapureper scrivere
nella sequenza fonica
s+tʃ
seguitadavocale (per es.,
mèsćia
“mestolo”): lagrafia
sc
è inaccettabile inquanto rappresenterebbe il fonema
ʃ
,mentre
quella “tradizionale”
s’c
(per es.,
mès’cia
) usata da Capacchi va evitata in quanto,
come si è appena detto, l’apostrofo ha in questa grammatica funzioni differenti.
Leaffricatealveolari sonoestremamente rare: risultanodauna“compattazione”di
due suoni consonantici contigui, come nel caso di
tsevòd
“insipido”,
dzì
“dite” (≈ 1a
pers. sing.
dìg
). Come si è visto sopra, a it.
ts
(scritto
z
oppure
zz
) corrisponde
s
del
dialettoparmigiano,mentre l’equivalente normale di it.
dz
(scritto
z
oppure
zz
) è
z
80
.
Leaffricatepostalveolari hannounusomeno raro. Sonodocumentatenelleparole
i cui equivalenti italiani presentano un’occlusiva velare (scritta con i digrammi
ch
o
gh
) seguita perlopiù dalla semivocale
j
81
(per es., in
ceèr
≈ it.
chiaro
82
, ceéza
≈ it.
chiesa
83
, ceèva
≈ it.
chiave
84
, giaàs
≈ it.
ghiaccio
85
, ciameèr
≈ it.
chiamare
86
, cicia-
reèr
87
≈ it.
chiacchierare
), oltre che in parole le quali sono prestiti evidenti dall’ita-
liano adeguati allamorfologia del dialettoparmigiano (per es.,
cimént
≈ it.
cemento,
78
Una tale alternativa è scelta daCapacchi, op. cit., p. XI.
79
Queste letterenon sono sulla tastiera,madevonoessere inseritecome simboli (
ć
=0107,
ǵ
= 01F5); non rallentano la scrittura in quanto vengono usate abbastanza di rado.
80
Il fonema
dz
si è conservato in italiano,mentre è diventato
z
in dialetto.
81
L’esitodel dialettoparmigianoèpiù spesso il risultatodi unapalatalizzazioneabbastanza
tarda, che ha avuto luogo dopo il passaggio dei nessi latini
cl
e
gl
a
kj
e
gj
(cf. Lausberg, op.
cit., vol. 2°, pp. 288-290): esso è differente rispetto a quello delle palatalizzazioni antiche,
alle quali si è accennato sopra.
82
Lamatrice è lat.
clāru
(
m
)
.
83
Lamatrice è lat. volg.
clesia
<
ecclesia
(
m
).
84
Lamatrice è lat.
clāve
(
m
)
.
85
Lamatrice è lat. volg.
glaciu
<
glacie
(
m
).
86
La parola si spiega come prestito da it.
chiamare
(< lat.
clamāre
), adattato alle norme
foniche del dialetto parmigiano, piuttosto che come derivazione diretta da
clamāre.
87
Inquesto caso si tratta, conogni probabilità, di un adattamentodialettale di unprestito
antico dalla lingua italiana.
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