Gli esseri umani si distinguono in
maàsć
“maschi” e
fèmni
“femmine”: al primo
dei due segni sono riconducibili gli iponimi (indicatori di un’età approssimativa)
putén
“bambino”,
ragaàs
“ragazzo”,
fjolén
“giovinetto”,
òm
“uomo [= maschio
adulto]”,mentre al secondo
putéⁿna
“bambina”,
ragaàsa
“ragazza”,
fjoléⁿna
“giovi-
netta”,
dòna
“donna [= femmina adulta]”.Altri iponimi del medesimo tipo sono gli
aggettivi
giòvon
“giovane (m.)” ≈
giò·nva
“giovane (f.)” e
veéć
“vecchio” ≈
veécia
“vecchia” usati con la funzione referenziale (ovvero come nomi).
Gli esseri umani hannounnome (
nòm
), un cognome (
cognòm
) ed eventualmente
un soprannome (
stranòm
).Vivono inuna società il cui nucleoècostituitodalla fami-
glia (
famìa
); i rapporti all’interno di questa vengono espressi permezzo dei nomi di
parentela:
peèdor
“padre”,
meèdra
“madre”,
fjoól
“figlio”,
fjoóla
“figlia”,
fradeél
“fratello”,
soreéla
“sorella”,
zìo
“zio”,
zìa
“zia”,
noòn
“nonno, suocero” (/
nonón
“nonno”),
noòna
“nonna, suocera”,
anvoód
“nipote (m.)”,
anvoóda
“nipote (f.)”,
marì
“marito”,
mojeéra
“moglie”,
cugnè
“cognato”,
cugneèda
“cognata”. Se i nomi
fjoól
e
fjoóla
nonaccompagnati da specificatori vengonousati in funzionepredicativa (cioè
come verbi), significano rispettivamente “non sposato” e “non sposata”; esempi:
Zvaàn l’é^fjoól
“Giovanni è scapolo”,
Zvaàn l’é^’ncòra^fjoól
“Giovanni è ancora
scapolo”. Lamedesima semanticaviene espressapiù spessopermezzodei nomi
pùt
e
pùta
, che sonomeno ambigui, avendola come primaria.
L’insieme degli individui di una data società costituisce il
poòpol
“popolo”, nel-
l’ambito del quale si distingue il
baàs^poòpol
“plebe”. Per denominare i singoli in-
dividui delle diverse classi sociali si usano in funzione referenziale (ovvero come
nomi) aggettivi quali
sjoòr
“signore” (femm.
sjòòra
),
borgheéz
“borghese” (femm.
borgheéza
),
povrèt
“povero, proletario” (femm.
povrèta
), l’ultimodei quali denota i
membri del
baàs^poòpol,
chiamati anche
génta^edbaàsa^macelarìa
“personedi poco
conto”; ci sono pure i
pjoóć^arfaàt
“pidocchi rifatti”, cioè gli arricchiti. Un posto a
parte va riservato alla
Ceéza
“Chiesa”, che comprende i
preét
“preti, sacerdoti seco-
lari” e i
frè
“frati” (femm.
soóri
“suore”), oltre ad esponenti di rango più alto quali
monsignoór
“monsignori”,
vèscov
“vescovi” e
peèpa
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“papa”; il
preét
più comune
è il
pàroc
“parroco”, cui il parlante dialettofono più spesso fa riferimento usando il
termine generico (iperonimo)
preét,
come, per esempio, nella frase
al noòstor^preét
l’é^rivè
“il nostro parroco è arrivato”.
Alla classe dei
sjoòr
si può far riferimento anche usando il nome
padrón
“pa-
drone”, che tuttavia denota in primo luogo proprietari di beni (che possono venire
concessi in uso o affitto) o datori di lavoro; per questa sua semantica
padrón
ha una
relazione stretta con una serie di segni che implicano un rapporto di subordinazione
rispetto ad esso:
709
Questaparolavieneusatanel sintagma
steèr^dapeèpa
, che significa“viverenell’agia-
tezza”.
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